Nato in
terra d’Africa (fra il 260 e il 270), Optaziano fu tra i comites (consoli) presso
la corte imperiale di Costantino, nella guerra contro i Sarmati. Caduto in
disgrazia (forse per un adulterio, forse per la pratica di arti magiche),
riuscì a riabilitarsi (compose una raccolta di panegirici in lode all’imperatore)
sino a occupare cariche molto elevate, sino alla prefettura di Roma.
Come si
legge in Introduzione alla poesia latina
(cura di Luca Canali): “fu maestro di tecniche astruse: L’Anthologia Latina
conserva alcuni suoi versi ‘anaciclici’, coppie di distici elegiaci leggibili
indifferentemente dall’inizio alla fine o viceversa. Affiancò a simili
sofisticati giochi metrici dei veri e propri calligrammi, in cui i versi
disegnano un oggetto. Ma la sua specialità – e forse addirittura invenzione –
sono i carmi con versus intexti, cioè contenenti versi ottenuti all’interno dei
normali versi, collegandone le lettere con inchiostro speciale, (minio), a
originare, oltre a scritte, disegni e ornamenti geometrici.
Fra
questi tracciati spicca il monogramma di Cristo, che andrà inteso almeno come
un omaggio a Costantino, se non come segno di una tardiva adesione – forse superficiale
e interessata – alla nuova religione di stato”.
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Testo (da
“Prodentur minio coelestia” a “felicia facta nepotum”)
I segni
celesti saranno svelati dal minio a chi legge. O Costantino, decoro del mondo,
aurea luce di questa età, con quali nuove preghiere può cantare, o sommo duce,
i i tuoi trofei misti ad ammirevole pietà la mia pagina esultante, emula del
Clario genitore di Calliope, bagnata di tale liquore? L’Elicona emani per la
nostra gioia le onde da cui nascono versi, e faccia scaturire dal petto
clemente un nuovo nume; infatti io cantando ritmici versi celebrerò gli scettri
del magnanimo duce. La Grecia ci dà i doni di Gaza, e tu dai sicurezza a questa
età col confine degli alleati Blemmi, o luce Romulea. Canto cose fiorenti,
degne dei nuovi voti, scritte col voto. Marte, assicurata questa regione, con
pari diritto si dirige verso il cielo. Sicché è chiaro che il Rubicone
sconfigge ormai nella guerra ogni cittadino di Misia. Ormai la difficile Musa
felice ed esultante mi spinge a mostrare con le lettere le sue visioni di pace;
ora, lieto, per mezzo mio Febo mostra difficili gioie. O alloro, canta anche la
trama col nuovo plettro intrecciato, plaudendo alla felice età con arte dipinta
di lettere. Così il poeta, prendendo il mare, o sommo Pizio, sotto una guida
sicura, ora tranquillo, ora temerario lo disprezzi; io certo ora ben sarei
capace di fendere col remo il mare di Siga, se tendo le vele difficile per
tutto il Nottifero, spingendo la nave. La Musa mi concede di intrecciare la nave
da me immaginata; questa più la nobile speranza congiunta al tuo voto. La mia
lode dipinta, che rispetta il piede, non spezzi a me insaziabile con la sua
gran mole d’insegnamento la mente stanca per i suoi giri. Con sacra eloquenza svelerò
con buona intenzione felicissime immagini; le disprezzerà forse la clemenza,
quando farà a gara con le più grandi speranze dopo aver sconfitto Marte? Così che
tu, fatto imperatore, fai crescere per noi l’età dell’oro, poi vincitore
renderai ormai al Lazio i doppi ventennali che la mia devozione dipinga con carme
dedicato al tuo nome meraviglioso. La fortunata pagina esprime il voto
tracciandolo con vario fiore, ricordando gli insigni Fati della Augusta
discendenza. Le fortunate imprese dei tuoi nipoti, degne di avere te per
giudice o per pio testimone, si uniranno ai meriti dell’antenato.
Versus
Intexti (disegnano il monogramma di Cristo, ☧)
Bisogna pensare che la nave sia
il mondo e tu l’arredo all’interno, teso dai possenti venti della tua virtù. Il
navigante disprezzi ora, o sommo, sicuro le tempeste; disprezzi ora, o sommo,
sicuro, le nere tempeste; sicuro disprezzi cose arricchite di grandissimi
trofei; scacciati i cattivi pensieri disprezzi, o sommo, le tempeste; anche
Roma con buona speranza disprezzi, o sommo, le tempeste, Roma felice fiorisce
sempre per i tuoi voti
Grazioso tale
componimento in cui svela all’amico cornuto, nei versus intexti, il nome dell’amante
della bella moglie Imnide.
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Testo (Da “ingemui
graviter” a “Fryx coiux, crede canenti”)
“Molto io piansi commiserando l’amico greco, al quale l’animo
mio, dolente per ciò che è stato perpetrato, desidera raccontare tutto, sicché
egli, leggendo da solo questi fatti che gli sono nascosti, si infiammi di ira,
perché possa tenere in catene il dissoluto e colpevole, ma evitando la presenza
di gente, che un marito non può volere testimone di vergognosi litigi, ed
evitando poi che la bellissima donna istupidisca il greco con i cari dardi,
sapendo, scellerata, che niente perse Elena figlia del cigno, la quale ebbe più
favore per i due adulterî. Io indico con piacere tutti i nomi: la Musa canta
per i Greci. O coniuge frigio, credi a me che canto”
Versus
Intexti
O Marco, Nilo possiede tua
moglie Imnide
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