Non un sogno, ma un sogno dentro un sogno, la somma irrealtà. E se la realtà svanisce in un qualcosa di impalpabile, anche la vita si sfilaccia in tanti momenti irrecuperabili, come i grani d'una clessidra, in un filo di polvere e tempo impossibile da arrestare.
Poe, perfetto decadente ottocentesco, si avvale nella composizione di due concetti eminentemente barocchi, secenteschi. Ma se Calderon (La vita è sogno) o gli elisabettiani (fra cui Donne, i metafisici) potevano contare su una visione ultraterrena che compensasse la miseria della condizione umana (per usare una locuzione del Papa Lotario di Segni, Innocenzo III), Poe, come tutti i moderni, è assolutamente solo di fronte a tale rivelazione glaciale e definitiva.
Cosa resta del balsamo divino che medicava il terrore della morte?
Nulla. Si affronta il destino e la realtà forti o della consapevolezza estrema o d'un breve momento di nostalgia e rimpianto (Questo mio bacio accogli sulla fronte!), che è la poesia stessa, unico risarcimento al dolore.
Questo mio bacio accogli sulla fronte!
E, da te ora separandomi,
lascia che io ti dica
che non sbagli se pensi
che furono un sogno i miei giorni;
e, tuttavia, se la speranza volò via
in una notte o in un giorno,
in una visione o in nient'altro,
è forse per questo meno svanita?
Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro un sogno.
Sto nel fragore
di un lido tormentato dalla risacca,
stringo in una mano
granelli di sabbia dorata.
Soltanto pochi! E pur come scivolano via,
per le mie dita, e ricadono sul mare!
Ed io piango - io piango!
O Dio! Non potrò trattenerli con una stretta più salda?
O Dio! Mai potrò salvarne
almeno uno, dall'onda spietata?
Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro un sogno?
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