Raethia Corsini
Tra le diverse recensioni che ho letto su questo nuovo film di Davide Ferrario, mi ha colpito una considerazione di Federico Pontiggia su Il fatto quotidiano: "la leggerezza calviniana del racconto vince il peso esistenziale della storia. Niente di clamoroso e sorprendente, ma un piccolo film condivisibile".
La luna su Torino, concordo, ha una leggerezza calviniana. E, concordo, non è un film clamoroso. Ma un film per essere visto, circuitato, promosso e apprezzato deve essere per forza clamoroso? O piuttosto deve lasciare qualche emozione, un ricordo, un'idea? Io, com'è chiaro dalla domanda retorica, propendo per questa seconda posizione. Stufa non dei film belli o di grandi film, ma di quelli clamorosi intesi - come ormai s'intendono usando questa accezione - opere fastose imponenti con super cast e super incassi. Tanto per capirci: ho considerato un gioiello sorprendente Still life (regia Uberto Pasolini) che, facendo un giro di voce tra gli amici cinefili, abbiamo visto in tre. Eppure ho un'anima pop. Ma torniamo a Torino e alla sua luna con la quale Ferrario illumina una città inusuale, almeno per il grande schermo.
La ex capitale dell'automobile è un set perfetto e per nulla scontato, specie gli ambienti che il regista ha scelto per narrare, con levità e al ritmo della prosa leopardiana, le solitudini e le speranze esistenziali dei nostri tempi incarnate da tre personaggi: Ugo (Walter Leonardi), Maria (Manuela Parodi), Dario (Eugenio Franceschini) tra i 20 e i 40 anni. Tutti in cerca di un posto nel mondo e del loro magari modesto ma sincero pezzetto di felicità. La Torino nuova (la Mole appare di contrabbando dalle finestre) nella quale agiscono è certe volte bizzarra, altre indolente, altre magica come quando la si narra incastrata - come lo è realmente - al 45° parallelo cioè posta a uguale distanza tra Equatore e Polo nord. Un riferimento geografico che nel film torna sovente come escamotage per suggerire che i protagonisti si trovano a metà strada di qualcosa: di un guado, di una scelta, della vita, di un viaggio verso l'altrove forse salvifico. Gli attori (bravi) si muovono in equilibrio su quel crinale e i loro volti di "non celebrities" accrescono il valore di ciò che raccontano: la realtà. Minima, normale anche nelle sue assurdità, malinconica, indefinita, precaria. Com'è l'esistenza, inclusa quella borghese del protagonista (interpretato da Walter Leonardi): quarantenne flâneur bodleriano che, dilapidata l'eredità di famiglia, vive nella sua villa che di lì a poco gli verrà pignorata. Citazioni letterarie, dialoghi asciutti con vecchi partigiani, sesso "nonsense", sguardi stralunati, canzoni mestamente comiche "sull'amore che non c'è" (penso in particolare a quella suonata e cantata da Ugo alias Walter Leonardi insieme con il Coro delle Mondine di Novi) fanno de La luna su Torino un collage tra passato e presente, composto da frammenti di una realtà resa indolente e vischiosa dalla generale insistente assenza di prospettive. È un piccolo film (per citare di nuovo Pontiggia) che regala una piacevole ora e mezzo, con spunti perfino filosofeggianti e dove, alla fine, tutto torna: anche la voglia di cercarle, le prospettive. Magari in un altrove, sopra o sotto il 45° parallelo.
A Roma al Cinema Farnese, fino a giovedì 10 aprile
non l'ho ancora visto, ma forse lo vedrò. ho invece ho visto still life (come si fa il corsivo?) e sono d'accordo, anche di più, con te, su quelli che vengono definiti film clamorosi o sorprendenti. evviva anche i piccoli film che sanno regalare qualcosa di sorprendente...
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