martedì 8 aprile 2014

Amarcord ... Il vinile, David Bowie e altre sciocchezze nostalgiche

G. Luca Chiovelli

Black Sabbath, Black Sabbath
Quando, nei primissimi anni Ottanta, fra polvere e acari, in un negozio viterbese in cui regnava una splendida anarchia organizzativa, intravidi la copertina del primo dei Sabbath rimasi attonito. Cosa significava quella indistinta ed enigmatica figura di donna sullo sfondo della campagna britannica? Cos’era, la strega di un racconto di Machen? Una fata di Sir Arthur Conan Doyle? Un ominoso revenant concepito da Algernon Blackwood o M.R.James? All’interno il vinile raccontava di ascolti ripetuti, ma la qualità era ancora buona; nei solchi trovai un hard-blues roccioso tra messe nere e citazioni da Lovecraft. Lire 2000 ben spese. Come spesso accadeva in quel tempo, gli innamoramenti travolgenti si alternavano all’ascolto contemplativo dei tesori vinilici dissepolti: Sabbath e Deep Purple, Bowie-Reed-Velvet, la musica californiana, il krautrock, Genesis e Pink Floyd, Zappa naturalmente, il southern rock e Canterbury, il punk-hardcore (americano!).
 
Frank Zappa, Sheik yerbouti
Allora non esistevano guide rock, i soldi scarseggiavano, i mezzi pubblici erano diligenze da assaltare (consideravamo il biglietto una gabella troppo onerosa), i collegamenti erano affidati al telefono fisso, adeguatamente filtrato dal Super Ego genitoriale in guisa di centralinista: eppure eravamo miracolosamente già istradati verso il male e sentivamo, pur oscuramente, l’attrazione verso manifestazioni sonore che, più accuratamente di quanto sembrasse, giudicavamo antiborghesi, anticonformiste e, per dirla tutta, antitaliane. Nel 1981, schiantati tutti i movimenti alternativi (l’anno maledetto di svolta fu il 1976), si era ormai avviati verso ciò che gli sprovveduti chiamarono il riflusso, ovvero il ritorno all’ordine. In realtà dall’ordine non c’eravamo mai allontanati: bassa marea e paludi in Italia sono la norma, l'alta marea consistette in quei brevi anni a cavallo fra Sessanta e Settanta: niente di eclatante, qualche persona sensata e parecchie orge di stupidità, ma l’eterna cappa del conformismo italico mostrava delle brecce. Bastò questa debole minaccia per sprofondare il sistema nel panico; terrorizzato esso decise di pagare un prezzo vergognosamente alto per la restaurazione (e con moneta non propria): centinaia di morti, l’abdicazione al simulacro della democrazia e la propria festante dissoluzione nel nascente turbocapitalismo.
David Bowie, The rise and fall of Ziggy Stardust and The Spiders from Mars
Nel frattempo, tredicenni e inconsapevoli, ci avviavamo supinamente verso i decenni più squallidi della Repubblica. Importava poco: Roma era ancora punteggiata di negozi e rivendite di vinile nuovo e usato, che, come i templi pagani dopo l’editto di Costantino, testimoniavano di un passato irrecuperabile; a Baldo degli Ubaldi si trovava l’amatissima Discoland (ora Star Music, ma è un’altra cosa) che offriva questo servizio al pubblico: qualcuno scartava i vinili, se li godeva, poi li rimetteva negli scaffali: il disco veniva venduto come nuovo, ma il prezzo, summo cum gaudio, sbracava da Lire 13500 a 8500, se non meno; lì acquistai, tra le decine, 
The rise and fall of Ziggy Stardust: su It ain’t easy la puntina saltava un po’, pazienza! Impazzavano i riversamenti da vinile a cassetta, le compilation improvvisate, i prestiti, le registrazioni da segnali radio malfermi; per tutta la settimana ci negavamo la colazione a metà mattina per intascare Lire 500 adeguatamente provvedute dai nostri vecchi che, debbo ammetterlo, erano premurosi; furti, ricatti, vendite bislacche e provvigioni bimestrali da parte delle madri dei padri garantivano tesoretti quasi settimanali buoni per il sabato pomeriggio, quando iniziava la caccia ...

Gong, Camembert electrique
... in Via Gregorio VII (negozio scomparso, una prece) intravidi Sheik yerbouti fresco fresco, Lire 16000, un affare. Dalle parti di via delle Medaglie d’Oro (una prece) un paio di Doors a Lire 7000; nel buchetto di Via dei Genovesi 2 (prima Revolver poi, forse, Tendenze Musicali. Comunque una prece) il triplo Lotus a Lire 10000; a Via Rosazza 6 (Revolver, una prece; trasferitosi poi a Via Gherardi, una prece) mi liberai dei regali nefasti di Purple rain e Rio (i Duran Duran!) nonché del doppione di Station to Station per avere alla pari Paranoid, Fragile e Crown of creation: lo scambio del decennio. Attesi come un crotalo per mesi che scendesse il prezzo di Ummagumma: lo acchiappai per Lire 9000 a Via delle Botteghe Oscure, nel sottoscala di Rinascita (doppia prece); a Via Pietro Maffi (una prece) beccai la musicassetta di Let it bleed, Lire 6000, di cui erano ansiosi di liberarsi; a via Torrevecchia (una prece) m’accattai un controverso Never mind the bollocks; in un fallimento dalle parti di Via Guido Reni (una prece) Masters of reality, The end of an ear, Genesis live e persino un Nosferatu a Lire 3000; inoltre, come non ricordare Variety in Via Pasquale Fiore con la proprietaria valde bona (una prece; vi comprai Gabriel III e Gentlemen take polaroids)? Il buchetto a Via Oderisi da Gubbio? Come non ricordare che, ogni tanto, un pazzo apriva la saracinesca del proprio garage (una prece per i garages) e svendeva per fare cassa o per far posto agli incipienti CD (Live at the Apollo, Waterloo Lily, Angel’s egg, One size fits all a Lire 5000)? E la bazza dei mastodontici Metropoli Rock a Via Palermo (una prece; delizioso il loro catalogo azzurrino; poi a Via Cavour: una prece) e Disfunzioni Musicali a Via degli Etruschi (una prece) e l’enorme Ricordi vicino alla stazione Termini (una prece) e Babilonia a Via del Corso? Quanti ne dimentico? E quanti altri Eterno riposo dona a Loro Signore potrebbero recitare a Roma Sud e Roma Est?
Copertina meravigliosa: Incredible String Band, The hangman's beautiful daughter.
Acquisti di gioventù, indelebili nelle memoria: Sheik Yerbouti, lire 16.000, comprato presso un negozio di dischi scomparso a Gregorio VII, Roma (ora c'è una rivendita di cellulari); Roxy & elsewhere, beccato nello scantinato di Rinascita (oggi è uno spazio fatiscente), a Via delle Botteghe Oscure, a lire 14.000, nella libreria/discoteca a fianco del palazzo del Partito Comunista Italiano ... oggi scomparsi: libreria e partito, beninteso.
E The hangman's beautiful daughter.
La mitica libreria Rinascita ... ero un pezzente (come adesso, purtroppo), ma lì spesi parecchi bei pomeriggi e un notevole gruzzolo in libri e vinili: avrò fatto la fortuna di qualcuno, chi lo sa ...
La bellezza dei pomeriggi adolescenziali ... Incredibile come, in pochi anni, la sensibilità dei ventenni sia stata stravolta ... sino a qualche decennio fa era un'avventura anche uscire di casa e andarsene al centro di Roma ... spesso si andava a piedi: dalla periferia alla mezza periferia in autobus, tanto non si trovavano controllori e bigliettai ... poi si scendeva proprio per Gregorio VII sino ai ponti sul Tevere e si entrava lungo Corso Vittorio ... era bello ... si aveva tutto il tempo del mondo, senza costrizioni ... il cielo azzurro e compatto ritagliato dai palazzotti della via e la legge morale dentro di noi ... si pregustava l'ennesimo scartabellare fra i cartoni dei vinili ... l'estrazione pigra d'uno di essi, la lettura attenta delle note, i commenti, la valutazione del prezzo ... con calma .. senza cinguettii, squilli idioti e interruzioni ... accanto potevi trovarti Stefano Rodotà ... alla cassa c'era Carmen Llera Moravia (o forse era dopo? Sì, era dopo ...) ... molto graziosa, comunque ...E poi si andava senza meta, con le magnifiche buste di plastica quadrangolari che sbattevano dolcemente lungo la coscia ...
Jefferson Airplane, Volunteers
Cosa incide nella valutazione di un disco, di un'epoca? Riusciamo, insomma, ad essere freddi giudici e a mantenere altero il nostro sguardo su ciò che ha segnato l'età più indimenticabile della vita?
Probabilmente no. A tenerci in scacco sono principalmente due fattori.
La nostalgia, ovviamente, quel filo sottile che riannoda alcuni ascolti a vicende piacevoli o amori che, nel ricordo, ancora possono struggerci. E l'imprinting, ossia quel fenomeno per cui dischi tutto sommato secondari ancora si fanno spazio ostinatamente nella mente solo perché gustati in un momento in cui tutto ci pareva nuovo, e la musica cominciava ad aprirsi nelle sue mille possibilità. Per tacere della nostalgia a latere, quella del collezionista, che ci induce ad amare, che so, i Big Country solo perché trovati a metà prezzo in qualche bottega ora defunta (e le stesse argomentazioni valgono anche per il vestimento dei dischi: come non godersi, a distanza di anni, Lotus di Santana, quel triplo vinile dai colori psichedelici che si apriva come un codice?).
Jimi Hendrix, Electric ladyland
Difficile ricreare quella particolare commistione di entusiasmo, sopravvalutazioni, gioia, cialtroneria ed ignoranza propria di coloro che anelavano a conoscere il rock durante i primissimi anni Ottanta. Le radio non esistevano, almeno a Roma (Radio Rock inizia nel 1985). I libri? Quali? Le guide spirituali a queste latitudini mancavano; e poi: sprecare i soldi per la carta quando, per qualche tallero in più, ti aspettava un vinile in qualche scaffale al centro? Si andava a tentoni. Ci si affidava ai consigli di qualche residuato bellico dei Sessanta. Si rubacchiavano ascolti qua e là. Si annusava l'aria. Si rubacchiava tout court. Il primo volumetto che mi soddisfece lo acquistai, per una manciata di cinquanta lire, presso una fumetteria di Via dei Cristofori (una prece): il titolo: I trasgressori; cura di Ernesto Assante, editrice Savelli, serie Il Pane e le Rose; si parlava di Hendrix, Fugs, Beefheart, Zappa, Bonzo Band, MC5. Si accesero le prime lampadine; si accese anche qualcosa nella testa di Savelli che, di lì a pochissimo, trasbordò dalle edizioni proletarie a quelle leghiste (una prece). In un altro volumetto scovato chissà dove (Gammalibri?) trovai, assieme alla celebrazione del progressive inglese più o meno facile, una nicchia che riguardava i tedeschi: fra questi, i Faust. Allora non pensai al pugno, ma a Goethe. D'altra parte non conoscevo la copertina di Faust I. A dirla tutta, di Faust I ne esistevano dieci copie (non in vendita) in tutta Roma. A vuotare tutto il sacco la musica dei Faust, nella città capitale d'Italia, quinta potenza economica (allora) del mondo, era IMPOSSIBILE da ascoltare. Difficile capire oggi questo semplice fatto, impossibile capirlo tra alcuni anni quando si stamperanno libri sul progressive europeo in cui i Genesis occuperanno una nicchia e i Faust i capitoli principali, assieme a gruppi cecoslovacchi e svedesi (e inglesi naturalmente).
Faust I l'avrei ascoltato nel 1993, dodici anni dopo, grazie ad un noleggio CD nel mitico negozio di Via de Saint Bon (una prece).
Ash Ra Tempel & Timothy Leary, Seven up.
Il vestimento del libro; e del vinile.
Shakespeare in brossura non è più Shakespeare.
Un CD non è il vinile da cui deriva.
Estrarre lentamente il disco dal cartonato, toglierlo dalla confezione bianca, pulirlo della polvere, adagiare la puntina; poi, mentre la musica monta (una musica mai udita prima!), leggere le note, rileggerle, attentamente, compulsare le line-up, annusare i testi, distillare l'ascolto sino alla fine, circa venti minuti; poi cambiare lato, spolverare di nuovo, rimettere sul piatto e via così: un rituale nipponico da ora del tè, una liturgia che diveniva appressamento alla verità della leggenda. 
Uno dei più bei dischi di tutti i tempi: Velvet Underground, White light white heat
Ahi serva Italia di dolore ostello, cosa mi fai rimpiangere ... no, non rimpiango la mia giovinezza, rimpiango quell'Italia lì.

Si comincia a invecchiare quando cominciano i rimpianti.
Captain Beefheart, Trout mask replica
Lo ripeterò all'infinito, nessuno può immaginare cosa significasse, trent'anni fa, cercare un disco: niente Internet, niente cataloghi, libri fermi con le lancette sugli anni Settanta ... un deserto ... indagini al buio ... si assediavano i commessi dei negozi ... qualcuno aveva notizie di prima mano ... sì, dovrebbe arrivare nei prossimi giorni ... oppure no: solo d'importazione ... oppure la sentenza: costa ventimila: una mazzata. Oppure, quando avevi sganciato una somma ragionevole (dalle tredici alle quindici mila), e te andavi con la tua busta quadrata, gialla o bianca o nera (sopra i caratteri immaginifici del logo della rivendita), scattava, perfida, la coltellata del bastardo dietro il banco: "Bel disco quello, bello ... però, non me lo ricordavo, non te l'ho detto prima ... ma quello che hanno fatto l'anno scorso ... eh sì, il primo ... come si chiamava? Ehhhh ... boh ... mi sa lo stesso ... Violent Femmes ... sì sì ... omonimo, insomma ... quello ce l'ho su cassetta ... l'ho riversato ... eh, quello sì ... nooo e certo, se lo do a tutti sto fresco ... chissà ... forse la prossima settimana ... bisogna controllare in magazzino ...". E si ricominciava.
MC5: "Kick out the jams, motherfuckers!"

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