giovedì 6 giugno 2013

Quando Flaiano telegrafò: "Obelisco"

Autoritratti di Amerigo Bartoli
e Vincenzo Cardarelli. Sotto,
Flaiano in un disegno di Bartoli
In questa pagina tratta dall'Almanacco dell'Altana (1995) i ricordi di un vecchio libraio che per me è stato solo mio padre (antonio sforzini)

Vittorio Sforzini
La mattina andavo a via Veneto per aprire la libreria Rossetti nella quale avevo incominciato a lavorare nei primi giorni del luglio 1944. C'era, allora, a causa del coprifuoco, I'orario unico fino alle quattordici e non esistevano mezzi di trasporto pubblico. Ero riuscito a procurarmi una vecchia bicicletta senza freni, tenuta insieme più che altro dalla ruggine. Il ritorno, in discesa, mi compensava della faticaccia dell'andata. Peppino (Rossetti) arrivava più tardi dopo aver visitato le librerie antiquarie, oggi scomparse, di Camerlengo in via del Babuino e dell'ingegnere Gerra in via di Propaganda Fide: trovava quasi sempre qualche conveniente acquisto.la libreria iniziò la sua attività occupando i Iocali, abbastanza vasti, che erano stati dell'Artigianato Libico, ma poco dopo, per varie ragioni, si restrinse in un vano piuttosto piccolo acquistando una intimità da boutique del libro. Via Veneto aveva, allora, una sua fisionomia e, anche se i giudizi che se ne davano erano diversi, sembrava che dovesse rimanere immutabile nel tempo. Una volta gli autentici intellettuali difficilmente erano soliti fermarsi a via Veneto e soltanto da Rosati c'era qualche tavolo in cui era possibile riconoscere alcuni scrittori, giornalisti e critici d'arte che abitavano nelle vie adiacenti.
L' idea di mettere una libreria a venti passi da Rosati venne ad un esperto e notissimo librario romano: Giuseppe Rossetti. Lo seguirono i suoi affezionati clienti di quando lavorava nella vecchia e gloriosa libreria Modernissima in via delle Convertite, adiacente alla famosa "Terza Saletta" del caffè Aragno. La libreria era piccola, ma aveva due poltroncine attorno a un tavolinetto con riviste, giornali e portacenere. Scaffali alle pareti, un tavolo bacheca, e uno sgabuzzino in fondo.
Alcuni frequentatori non si spinsero mai oltre quelle due accoglienti poltrone, non arrivarono mai in fondo alla libreria (tre metri più in là) e non dettero mai uno sguardo agli scaffali dei libri se non da quel comodo osservatorio. Il quale, essendo posto subito dietro la vetrina esterna, permetteva di vedere benissimo il passaggio che in quel tratto di via Veneto era vario e continuo. Ben presto la libreria Rossetti divenne il punto d'incontro degli intellettuali che vi si davano convegno Scrittori, pittori, critici, registi, giornalisti, affollavano il piccolo locale costringendo Rossetti e me a frequenti e cortesi richieste di passaggio,ed occupavano a volte anche il marciapiedi antistante.
Di quasi tutti quei personaggi non restano, oggi, che il ricordo del loro nome e delle loro opere! Nella tarda mattinata uno dei primi ad arrivare è Adolfo Frangi che sfoglia pigramente alcune pagine dei vient-de-paraître. Ercole Patti, frattanto, osserva malignamente il passaggio. Più tardi, in un angolo, Visconti, Pietrangeli, De Santis, Serandrei, Stoppa o, secondo i giorni, Blasetti (sempre vestito bizzarramente o da cavallerizzo o da alpinista o in tuta da operaio), Antonioni, Vergano, Franciolini, Pagliero, Cottafavi, Perilli, discutono di montaggi, fissaggi, carrellate, controcampi e dissolvenze. Si parla di treatments, sceneggiature, regia, aiuto regie. Uno dei frequentatori più assidui è Ennio Flaiano. Entra gettando timidi saluti a tutti, ma se è di umore buono è capace di infilarti una catena di battute di spirito intelligentissime. Battute ormai famose per essere state in grandissima parte pubblicate, ma non ho mai visto citato il telegramma che mandò a Gaspare Dal Corso quando inaugurò la sua galleria d'arte in via Sistina che aveva chiamato "Galleria dell'Obelisco"; il telegramma diceva semplicemente: "OBELISCO STOP GARIBALDI".
Altri personaggi dalle battute spiritose ed intelligenti oltre, naturalmente, Maccari, sono Longanesi e Bartoli. Amerigo Bartoli, solo o con la moglie Giuditta Cecchi, viene un po' a tutte le ore. Un giorno portò sotto il braccio un quadro ancora fresco. Vedemmo così il ritratto di Mario Soldati appena finito. Un Soldati con la barba folta ed i baffi spioventi e gli occhi lucidi dietro il cristallo degli occhiali dipinto da maestro. Verso le diciassette arrivano i liberali, che del resto non mancano mai nemmeno nelle ore mattutine: Brancati, Panfilo Gentile, Pannunzio, Sandro De Feo, Attilio Riccio,Ricciardetto. Più tardi destra e sinistra sono confuse: Alvaro, Cecchi, Aniante, Monelli, Gorresio, Bontempelli, Contini Malaparte, Bassani, Tamburi, Fazzini, De Libero,Moravia, Sinisgalli, Ungaretti, Trombadori, Zavattini. Puntuale, alle dodici e trenta, piomba rumorosamente Vincenzino Talarico il quale racconta convulsamente le ultime novità più sensazionali e chiede notizie del "castoro", del "lepre", della "salma", del "pizzicato", nomignoli dietro i quali si nascondono note personalità del mondo artistico e letterario romano, quindi si dilegua: ha sempre un appuntamento alle tredici a piazza San Silvestro. All'imbrunire arriva immancabilmente Anton Giulio Bragaglia che abita a due passi. Intabarrato, insciarpato, incappottato con eleganza teatrale, si sprofonda nella poltrona più interna; fu nella nostra libreria che si riempì rapidamente di firme la petizione per restituirgli il teatrino delle Arti. La grande presenza, l'istituzione della libreria Rossetti è, però, Vincenzo Cardarelli. La mattina, verso mezzogiorno, quando fà bel tempo, il grande atteso è Cardarelli. Cardarelli arriva avvolto in una pelliccia da nonno o, d'estate, incappottato, aiutando il lento passo con un grosso bastone; la tesa del cappello abbassata sugli occhi vivi e la faccia aguzza. Entra nella libreria, saluta un po' col gesto, un po' con la voce, si siede in una delle poltrone, mette il bastone fra le gambe, intreccia le mani sul pomo e guarda scontroso chi c'è. Se i nostri clienti su ponessero il tremendo giudice che sta alle loro spalle, con quanta maggiore circospezione parlerebbero! Con che cautela mista a timore darebbero un giudizio o chiederebbero un libro!
Grande parlatore, mi dicono, almeno ai bei tempi della sua giovane gloria quando,seduto al caffè, riusciva a raccogliere su di sé l'attenzione di amici e discepoli, Cardarelli, con gli anni, s'è fatto, se non addirittura silenzioso, meno disposto agli eleganti ozii della conversazione. Più spesso ora, la mattina da Rossetti, Cardarelli tace col suo bastone tra le gambe e la pelliccia stretta al corpo freddoloso. Tace, ma non acconsente. Guarda con arguto cipiglio chi entra e chi esce, su una parola o una frase colta nei discorsi degli altri ritrova uno di quei suoi "veleni" che là dove toccano bruciano. Lettore ormai di poche pagine, Cardarelli non ama i libri nuovi. Preferisce tenersi al sodo e rileggere il già letto. Cardarelli viene da Rossetti per parlare (poco) o tacere, a seconda dell'umore e del tempo, non certo per comprare.

Un giorno a un tale che gli sbandierava il nome di Mallarmé rispose, scuotendo la testa: "Io, vede, mi sono fermato a Leopardi". Quando gli presentarono il regista francese Pierre Pascal disse: "Conosco solo Blaise Pascal!". Così bene descrisse una piuttosto antipatica signora: "Sgradevolissima, senza nessuna espressione, sembra una di quelle figure che dipingono i carcerati". Una volta, rivolgendosi a Malaparte: "Lei che ha tanti soldi avrà anche l'automobile?" -Veramente si- "Allora mi accompagni a casa" -Ma l'automobile l'ho a Firenze- "Questa risposta è degna di lei... del resto la domanda era degna di me!". Cardarelli ce l'aveva, a volte, con me perché, quando il fumo rendeva irrespirabile l'ambiente, aprivo la porta della libreria non pensando a quanto egli fosse freddoloso: "Quel Vittorio" si lamentava “apre la porta per far sembrare più grande il locale". Il ventisei gennaio 1949, c'era, oltre a me, solo Nicola Ciarletta, ci disse: "Il mio cappotto è certamente più grande delle tarme che se lo mangeranno". E aggiunse: "Quando le acque si abbassano muoiono le balene, i pesciolini possono nuotare anche in un rigagnolo". Da Rossetti i clienti erano tutti amici. L'ospitalità era larga. Si stava meglio che al caffè si poteva anche non spendere nulla. Sembrava che Rossetti, pur amando i libri e vivendo di essi, ai clienti che compravano preferisse gli amici che non compravano. Sembrava che in cuore suo desse la palma non a chi entrava in fretta acquistando un libro e andandosene, ma a chi entrava piano piano, si sprofondava lentamente in una di quelle poltrone, accendeva una sigaretta e parlava del tempo che faceva, della donna che passava, della cena in Trastevere, del vino che aveva bevuto, della gente che aveva visto. Spesso, nelle afose sere estive, scendevamo a prendere il fresco o sulla scalinata di piazza di Spagna oppure a piazza Navona, in punti particolarmente favorevoli al "ponentino". Si conversava con Gentilini, Giovanni Urbani, Liliana Ferri. A volte Bonucci, Caprioli, Mazzarella, Salice, si divertivano ad improvvisare divertenti scenette. Poi a casa. Prima, però, accompagnavo Donghi, scapolo per costituzione. Abitavamo abbastanza vicini. Camminando sotto i platani del lungotevere sfogava il suo pessimismo sulle donne, sul difficilissimo problema di trovare una moglie adatta. Altro problema che lo affliggeva era la difficoltà di dipingere gli alberi: "Perché le foje se moveno". La mattina dopo tornavo a via Veneto. Così per otto anni. Passati in un baleno, ma indelebili nella memoria.

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