lunedì 22 luglio 2013

Giuliano Zincone giornalista e poeta


Maria Teresa Carbone
È passato più di un mese da quando Giuliano Zincone se n'è andato. Lo hanno ricordato in tanti, come è naturale, perché è stato un eccellente giornalista e una persona giusta, due cose che non sempre vanno insieme. Aggiungo qualche parola anch'io, sia pure in ritardo, perché ho avuto la fortuna di conoscerlo, giovane giornalista al “Lavoro” di Genova quando lui era direttore. A differenza di altri, non l'ho frequentato fuori dalla redazione (colpa del mio carattere ispido, tendevo a etichettare come ruffianeria l'ipotesi di un'amicizia con chi aveva più anni e più potere di me), ma avevo per lui enorme stima e simpatia, almeno in parte ricambiate, direi.
In molti, dopo la sua morte, hanno ricordato quasi con stupore i nomi dei tanti ragazzi chiamati nel piccolo quotidiano genovese da Zincone: Lucia Annunziata e Gad Lerner e Giorgio Boatti e Luigi Manconi... Aggiungo qui che trattava i giornalisti “di fuori” e quelli “di dentro”, i genovesi ereditati dalle tumultuose gestioni precedenti, con la stessa attenzione, lo stesso garbo, la stessa ironia affettuosa e partecipe, mai sprezzante. Dopo la direzione di Cesare Lanza, i titoli sguaiati, le finte inchieste sul sesso in città, era meraviglioso, almeno per me, avere un direttore che rispettava i giornalisti e i lettori (anche questo capita di rado).
Che Zincone abbia diretto un giornale per meno di due anni in tutto è un paradosso e una ingiustizia: era bravissimo come giornalista, ma soprattutto sapeva amalgamare e valorizzare, e perseguiva la sua idea – ben precisa – di giornale condividendola con gli altri, non catapultandogliela addosso.
E anche se, come lui stesso ricordava nell'intervento conclusivo del volume Il Lavoro di Genova. Storia e testimonianze 1903-1992, la sua indolenza era proverbiale (“Finalmente Zincone al Lavoro” aveva scritto di lui scherzosamente un collega del “Corriere della Sera”), aveva preso con tutta la serietà possibile il suo impegno di direttore. Leggeva ogni riga di quello che andava in pagina, lodando e correggendo a seconda dei casi. Aveva le sue idiosincrasie (detestava il verbo “iniziare”, con lui si doveva sempre “cominciare”), ma soprattutto non gli piacevano le frasi fatte, l'eccentricità fine a se stessa, gli eufemismi burocratici. Una cosa non è carente: manca!
Nei venti mesi in cui Zincone ha diretto “Il Lavoro”, tra l'aprile 1979 e il gennaio 1981, quando Rizzoli lo ha allontanato di colpo perché aveva scelto di pubblicare un comunicato delle BR per salvare la vita a un ostaggio, i confini larghi delle competenze che mi aveva assegnato – “scuola cultura società”, aveva scritto su un cartoncino che forse ho ancora – mi hanno consentito di seguire le indagini sulla strage di via Fracchia (“Non è una vittoria” era stato il titolo del suo editoriale) e le agitazioni studentesche, la prima giornata dell'orgoglio omosessuale a Torino e il convegno veneziano con cui è stato annunciato il quotidiano popolare “L'occhio”, creatura di Maurizio Costanzo morta prima di nascere. Proprio a causa dell'”Occhio” Zincone ha modificato una volta – l'unica – un mio articolo: nel settembre 1979, a ridosso dell'uscita del giornale in alcune aree-pilota, è stata organizzata una conferenza stampa interna, solo per i giornalisti del gruppo Rizzoli, e naturalmente Zincone ha mandato a Milano me, che avevo seguito il convegno alla Fondazione Cini. Uscendo dall'incontro (Costanzo gocciolante di sudore, pavidi e ossequiosi i colleghi delle altre testate), sono stata certa che il “Sun” italiano avrebbe avuto vita brevissima e ho cominciato a scrivere mentalmente il pezzo che ho consegnato qualche ora dopo. La sera Zincone mi ha chiamato a casa (non era mai successo). Aveva letto l'articolo, aveva cambiato le mie frasi ben scelte, trasudanti critica e disprezzo, aveva tolto la firma. Era imbarazzato e, credo, più ancora, dolente e deluso per la mia stupidità. Come potevo attaccare in quel modo aperto e goffo una testata del gruppo – e neanche un giornale qualsiasi, uno su cui la proprietà aveva investito tutte quelle risorse? Il fatto che la mia intuizione si sia rivelata giusta pochi mesi dopo non ha del tutto cancellato il disagio per quella telefonata. Quando nel gennaio '81 Rizzoli lo ha allontanato, io ero via, a Mosca, per un corso di russo.
Ci siamo rivisti una ventina d'anni dopo. Abitavo a Roma e lavoravo con Nanni Balestrini a RaisatZoom, “la prima televisione in rete” (questo, en passant, nel 1999-2000, quando di web tv non parlava proprio nessuno). Abbiamo chiesto a Zincone se voleva leggere per noi il testo integrale del poemetto in versi Giovanni Foppa vuole cambiar vita, che aveva pubblicato da poco. Ha accettato per amicizia, ma il ruolo di fine dicitore non gli piaceva affatto. Quando andavo a casa sua per le riprese, nel bell'appartamento a pochi passi da piazza del Popolo, era nervosissimo e mirava apertamente a farla finita il più presto possibile. Solo quando la telecamerina si spegneva, riprendeva fiato, offriva a me e all'operatore un bicchiere di tè freddo, ricordava i tempi del “Lavoro”. Era soprattutto orgoglioso dei risultati che i ragazzi di allora avevano raggiunto, ma non se ne attribuiva il merito. Sbagliava: con la generosità dei veri maestri aveva mostrato a chi, in quei venti mesi, aveva lavorato con lui, cosa è, cosa dovrebbe essere un giornalista. Se poi siamo stati capaci di capire la lezione, è un altro discorso.

Letture
Giuliano Zincone, Giovanni Foppa vuole cambiar vita. Poemetto in sedici canti tra prima e seconda Repubblica, Liberal Libri 1997
Il Lavoro” di Genova. Storie e testimonianze 1903-1992, a cura di Marina Milan e Luca Rolandi, Provincia di Genova (Assessorato alla cultura)

Video

Giuliano Zincone legge il primo capitolo di Giovanni Foppa vuole cambiar vita (da RaisatZoom, diventata poi RaiLibro e infine Zoooom)

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