Dror A. Mishani, Un caso di scomparsa
traduzione di Elena Loewenthal
Guanda, pp. 304, euro 18
Brunella Diddi
Un caso di scomparsa, romanzo d’esordio di Dror A. Mishani, inaugura il genere poliziesco nella narrativa israeliana. Gli israeliani non scrivono romanzi gialli, dice Mishani per bocca del suo protagonista, perché manca la materia prima a cui attingere, niente delitti né misteri, niente serial killer e scarsi persino i delinquenti di piccolo calibro. Insomma, Israele compenserebbe il suo perenne stato di emergenza verso l’esterno con una invidiabile sicurezza interna. Mishani raccoglie la sfida di questa apparente tranquillità e costruisce un caso in cui c’è abbastanza torbido in cui pescare.
Un ragazzino introverso che scompare e una sorella handicappata che la famiglia vive come qualcosa da nascondere (per inciso, i genitori scelgono di tenere in casa la figlia invece di affidarla a un istituto, un’alternativa che viene presentata come del tutto normale), un professore di inglese con ambizioni letterarie e un segreto sono gli ingredienti principali della storia.
I lettori smaliziati di gialli troveranno qualche ingenuità, i cosiddetti depistaggi un po’ troppo evidenti, i trucchi facilmente intuibili. In compenso si scoprono delle metodologie poliziesche diverse da quelle a cui siamo abituati, come la mobilitazione dei cittadini alla ricerca del ragazzo scomparso o la registrazione filmata degli interrogatori.
L’ispettore Avraham “Avi” Avraham, che affronta qui la prima indagine - a cui, si prevede, faranno seguito diverse altre - è convincente. Trentottenne come l’autore, non particolarmente sexy, “basso e pelato”, è un single non rassegnato e un solitario che si porta dentro la vocazione del poliziotto fin dall’infanzia. In una digressione che lo trascina suo malgrado a Bruxelles appare piuttosto impacciato, finché un aiuto imprevisto - un "gancio" per la prossima puntata - non gli apre gli occhi sulle bellezze della città.
Sconfessando uno dei luoghi comuni del poliziesco, Avi ha un rapporto di sincera amicizia con la sua dirigente, una donna che ha perso un figlio in una esercitazione militare. E’ questa, nel romanzo, l’unica allusione alla realtà politica del paese. Mishani usa dichiaratamente il romanzo di genere come un modo per uscire dai canoni della narrativa israeliana. In un’intervista a Repubblica, cita Pasolini e Tarantino come suoi ispiratori e afferma che, per la sua generazione di giovani cresciuti nella periferia di Tel Aviv, il rock alternativo o l’iPod sono più importanti del conflitto palestinese. Per questo forse, un personaggio secondario del romanzo, che di mestiere fa il critico letterario, stronca abitualmente Yehoshua e Kaniuk.
Con buona pace dei padri illustri e della letteratura alta.
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