Giosuè Calaciura, Urbi et orbi
Baldini Castoldi Dalai, pp. 159
Brunella Diddi
"Ci
perdemmo quando ci ordinarono sacerdoti. La mala pianta del dubbio,
che come giardinieri avevamo potato a ogni nuovo germoglio nella
rassicurazione di una semina più pregiata, aveva messo radici”:
così si presenta l’io, o piuttosto il “noi”
narrante
di Urbi et
Orbi,
singolare libro a metà strada tra l’apologo surreale e il romanzo
sul papa più popolare del ‘900.
Protagonista
è l’ultima leva della curia vaticana: manager giovani e rampanti
pronti a gestire l’”azienda” con metodi imprenditoriali,
pronti persino ad accelerare o procrastinare la morte del papa a
seconda delle esigenze pubblicitarie e della comunicazione. Arrivano
in Vaticano quando Karol Wojtyla – mai nominato se non come il papa
che porta il nome dei “due apostoli concatenati” – è
già vecchio e malato e non esitano a intervenire sulla
somministrazione delle sue pillole modificandone la terapia, così,
“per divertimento”. “Noi” esibisce il suo
cinismo con allegra disinvoltura, dalle partitine a poker nelle celle
e le cicche spente nelle cassette delle elemosine, all’assunzione
di un figurante – un prete ricattabile – nel ruolo di un capo di
stato in un finto incontro al vertice per tenersi buono il papa. Se
pure incorre in qualche incidente di percorso, “noi” riesce
sempre a farla franca, la punizione ben presto condonata grazie alla
sua capacità di fingere e mentire.
E’ un
papa decisionista che preferisce il viaggio al galateo pontificio,
che boccia i miracoli delle Madonne che piangono – “acquarello”,
sancisce, assaggiandone una lacrima –, lui che, ormai vecchio,
compie il miracolo di levitare con tutta la sedia a rotelle con la
quale scorrazza nei corridoi del Vaticano.
E
infine, ultimo evento miracolistico, un inspiegabile black out crea
lo scenario apocalittico per l’estrema benedizione ai fedeli da San
Pietro: un cinguettio in cui l’Ave Maria si confonde con le
filastrocche dell’infanzia e il gesto liturgico traccia segni
incomprensibili nell’aria.
Il
papa dal nome “dei
due apostoli concatenati “
esce di scena. Finisce il black out, si accendono tutte le luci in
città, anche quelle di “noi”:
“Improvvise
si accesero persino le nostre, lasciandoci per sempre accecati nel
nostro peccato”.
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