G. Luca Chiovelli
f. Secondo e supremo atto di tenerezza; l'eroe mostra apertamente il proprio amore. La protagonista accondiscende emotivamente e sessualmente. L’identità femminile è, in tal modo, pienamente realizzata. Sboccia una vera donna.
Il sistema, insomma, necessita di un utente androgino, fatuo, superficiale, senza sacche di resistenza ideologica (di qui la distruzione dei linguaggi, di afflati politici e religiosi, delle differenze di genere et cetera): il patriarcato, rigido, monoteista, contadino, era uno degli inciampi al turbo capitalismo pubblicitario e, in pochi decenni di falso progressismo, è stato superato brillantemente. Non sarà allora che la voglia di romance, nelle sue varie accezioni, sia nient’altro che la risposta nostalgica a tale improvvisa ed epocale mancanza di senso?
Consigli di lettura
L'Italia ha da secoli rinunciato a una propria
identità nazionale, e, quindi, a una propria letteratura; per ciò stesso le
nostre più valide intelligenze si son sempre incuriosite a cosa gli altri - i
popoli che ancora ce l'hanno, una letteratura - intendano quando parlano
d'essa. Poiché i nostri attuali colonizzatori culturali
sono americani (e, di riflesso, d'area linguistica affine), non è senza
interesse che ci accostiamo al saggio della professoressa Janice Radway (La vie en rose. Letteratura rosa e bisogni
femminili), curato da Elisabetta Flùmeri e Gabriella Giacometti, esperte
del settore, sceneggiatrici e loro stesse fresche produttrici di letteratura rosa.
Tale interesse deriva, oltre che dalla
provenienza culturale (quella che, in ultima sostanza, decide ciò che deve
piacerci e quanto), dal fatto che il romance, nelle sue varie filiazioni e
coloriture, è, specie nelle ultime decadi, in costante e irresistibile
espansione, spesso a danno dei generi letterari canonici.
Esamineremo dapprima i contenuti salienti delle
tesi della Radway, per poi passare a una breve valutazione sia dei limiti
estetici del romance che delle ragioni del suo successo globale.
Cominciamo col dire che il saggio - che risale
al 1984 - ci mette parecchio a carburare. Inizialmente la Radway, che, da brava
empirista d'area angloamericana ha studiato sul campo il fenomeno, cerca di
definire il romance quale personale area d'evasione femminile dal pesante e impegnativo ruolo di madre e moglie; una sorta di isolamento rigenerante che
non si risolve, però, nella semplice fuga in mondi più desiderabili, ma è connotato,
in special modo nei decenni risalenti, da una certa rivalsa sociale: leggere,
infatti, al contrario della passività televisiva, trasporta in un mondo che
richiede partecipazione intellettuale e che può donare uno spessore culturale
altrimenti impossibile da ottenere.
Il romance pende, insomma, come una mela succosa
dall'albero del bene e del male.
Queste le prime schermaglie argomentative, in
cui pare delinearsi una versione moderatamente ribelle della letteratura rosa.
Ben presto, tuttavia, nell'analisi strutturale
che la saggista compie sui romance più apprezzati, emerge una realtà
alternativa e apparentemente contraddittoria (con le considerazioni prima
accennate).
L'eroina del romance viene denotata, infatti, da
qualità ben precise e assolutamente ricorrenti: essa è virginale, vogliosa
d'amore, bella, ingenua, premurosa, intelligente, indipendente e intrattiene
col sesso opposto un sentimento ambiguo che sfuma progressivamente dall’aperto
contrasto a un accoglimento totale. Il protagonista maschile è, on the
contrary, promiscuo, voglioso di sesso, attraente, esperto, a tratti sdegnoso,
ma sempre onesto e coraggioso ed emotivamente riservato, un carattere a doppio
fondo che delinea il classico “bel tenebroso”.
Tali caratteristiche entrano in relazione dialettica
durante lo svolgimento del romance secondo tale schema:
a. L'identità (sociale e psicologica)
dell'eroina viene cancellata (in tale momento iniziale essa, pur fiera e indipendente, rimane isolata, insicura; presenta caratteristiche sessuali
acerbe)
b. Essa reagisce in modo antagonistico a un maschio alfa
c. L'eroe reagisce in modo ambiguo all'eroina che, fredda e rabbiosa, interpreta il suo interesse come esclusivamente sessuale
d. L'eroe punisce la protagonista. Allontanamento fra i due.
e. Primo atto di tenerezza del maschio (che nasconde un passato ambiguo o una ferita dell'animo ancora aperta). L’eroina reagisce calorosamente.
b. Essa reagisce in modo antagonistico a un maschio alfa
c. L'eroe reagisce in modo ambiguo all'eroina che, fredda e rabbiosa, interpreta il suo interesse come esclusivamente sessuale
d. L'eroe punisce la protagonista. Allontanamento fra i due.
e. Primo atto di tenerezza del maschio (che nasconde un passato ambiguo o una ferita dell'animo ancora aperta). L’eroina reagisce calorosamente.
f. Secondo e supremo atto di tenerezza; l'eroe mostra apertamente il proprio amore. La protagonista accondiscende emotivamente e sessualmente. L’identità femminile è, in tal modo, pienamente realizzata. Sboccia una vera donna.
Tale itinerario (che, ripetiamolo, ritorna nella
quasi totalità dei romance, pur nella varietà apparente delle trame) è
interpretato dalla Radway nella doppia valenza, psicologica e sociale:
“La
fantasia che produce il romance ha origine nel desiderio edipico di amare ed
essere amati da un individuo di sesso opposto, nonché nel desiderio
pre-edipico, che è parte della struttura interiore femminile, di riconquistare
l'amore materno e tutto ciò che esso implica: piacere erotico, completamento
simbiotico e conferma dell'identità ...”
E tale particolare configurazione psichica si
costruisce e si realizza all'interno della cultura patriarcale.
In altre parole la donna del romance,
inizialmente smarrita e incompleta, riconquista, attraverso una via crucis che
segue schemi letterari implacabili, un mondo di premure e attenzioni materne e,
in più, si definisce sessualmente come donna nei confronti del maschio; una
realizzazione di sé che trova soddisfacimento all'interno delle strutture
sociali tradizionali, riconosciute, quindi, come il modello storico di
riferimento della letteratura rosa classica.
Il godimento provato alla lettura risiede, quindi, nel conformarsi a uno schema sociale e psichico antichissimo. E il conformismo è una droga potente e piacevole, l'endorfina che entra in circolo ogni volta che aderiamo senza riserve a un modello dominante.
Tale interpretazione, nettamente conservatrice, entra perciò in contraddizione con l'iniziale assunto ‘ribelle’ che la Radway sembrava lumeggiare, tanto che l'autrice, nelle considerazioni finali, ammette:
Il godimento provato alla lettura risiede, quindi, nel conformarsi a uno schema sociale e psichico antichissimo. E il conformismo è una droga potente e piacevole, l'endorfina che entra in circolo ogni volta che aderiamo senza riserve a un modello dominante.
Tale interpretazione, nettamente conservatrice, entra perciò in contraddizione con l'iniziale assunto ‘ribelle’ che la Radway sembrava lumeggiare, tanto che l'autrice, nelle considerazioni finali, ammette:
“Se alla
fine di queste pagine il lettore rimanesse incerto se considerare il romance un
genere fondamentalmente conservatore oppure ribelle, non ci sorprenderebbe.
Finora, io stessa mi sono astenuta dal formulare una conclusione definitiva”
In realtà il nodo è, a mio avviso, facilmente
districabile. Il romance non fa che confermare, a un livello ideale, perfetto ed
appagante, una realtà che le donne vivono naturalmente e, spesso,
sconsolatamente, nella sfera quotidiana. Una donna usufruisce, durante le
proprie letture rosa, di un doppio piacere: quello, come detto, della
riconferma di una struttura sociale tanto radicata da essere tutt'una con la
propria sensibilità profonda e atavica; e quello per cui tale atto di
ripristino dell'ordine dominante avviene in una forma idealizzata che risarcisce
il miserabile inveramento che quell'ordine ha nella vita di tutti i giorni.
Andiamo, è il caso di dirlo, al sodo: un marito bolso, poco attento alle
tenerezze e borghesemente annoiato a letto (la realtà), sublima inevitabilmente
e gioiosamente, nell’amante appassionato (nel romance). Ecco, ad esempio, una
scena culminante di Made for each other,
della Afton Bonds:
"Lei ... giaceva tremante, aspettando che la facesse sua. Allora lui la prese, gentilmente, teneramente, pazientemente. E quando fu finito, lei seppellì la testa nell'incavo della sua spalla, cosi che lui non potesse vedere l'estasi e l'amore che lei era sicura trasparissero dai suoi occhi …”
"Lei ... giaceva tremante, aspettando che la facesse sua. Allora lui la prese, gentilmente, teneramente, pazientemente. E quando fu finito, lei seppellì la testa nell'incavo della sua spalla, cosi che lui non potesse vedere l'estasi e l'amore che lei era sicura trasparissero dai suoi occhi …”
Una descrizione stillante e altamente
compensatoria del quotidiano, in effetti. Come se ciascuna donna, dopo il catartico
happy ending esclamasse silenziosa: “A me la
vita e la società vanno bene così come sono. Oh, se solo il reale fosse più
bello e romantico!” (leggi: se ci fossero più Nick e Jason e meno Giampaolo
e Mario). Una visione bovarista e conservatrice (e deliziosamente femminile,
aggiungo), che non è stata mai scossa davvero da eresie ideologiche o
strutturali degne di nota (un modello maschile più autoironico, meno virile,
sembrò prendere piede nei Settanta, sulla scorta delle rivendicazioni
femministe, ma, attualmente, come scrisse perfidamente un critico, le galline
sembrano tornate al pollaio).
* * * * *
1. Il valore estetico del romance. La risposta
è pronta: molto scarso. Il problema risiede, oltre che nell'eccessiva facilità
di scrittura e nell'abbandono crasso (e spesso triviale) ai luoghi comuni del
genere, proprio nell'happy ending.
La letteratura d'amore, quella alta, necessita,
invece, di una situazione di inappagamento. Essa vive di tormenti e sofferenze e
rimane magicamente sospesa fra memoria e desiderio. I grandi canzonieri si
popolano di amori fantastici, perduti o impossibili.
Dante, Petrarca, Shakespeare, Cavalcanti, Villon
(Mais où sont les neiges d'antan?),
Poe, i decadenti, i surrealisti, i trovatori, i provenzali, gli arcadici, Catullo,
Leopardi, o inventano la donna, o ne celebrano il perduto amore o la
vagheggiano sapendo di non possederla mai.
“Nell'amore
infelice la poesia ha trovato da sempre l'oggetto del suo felice amore”,
sentenziò Kierkegaard; e Proust rincara: “Si
ama solo ciò che non si possiede del tutto”. E Pablo Neruda? “Solo chi ama senza speranza conosce il vero
amore”. Persino quella vecchia canaglia di Schopenhauer ha qualcosa da
dire: “Se la passione di Petrarca fosse
stata soddisfatta, da quel momento in poi il suo canto sarebbe ammutolito”.
Non che non esistano celebrazioni felici
dell'amore soddisfatto e carnale, ma sono gargantuesche, da bisboccia e, spesso,
si riducono agli intervalli in cui non si esercita la guerra e il potere: non è
tempo d'amore, ruggisce Hotspur nell'Enrico
IV, ma per teste rotte e nasi insanguinati.
Persino in una delle poesie erotiche più belle
di tutti i tempi, le meravigliose Stanze
dell'amor furtivo del poeta indiano Bilhana (che si attarda a descrivere
minutamente i graffi e i segni dei morsi durante l’amplesso), l'amore carnale per
la bella principessa è diluito dalla distanza: in ogni strofa è incastonato un “io ripenso” o un “io ricordo”.
Non solo, ma nella letteratura d'amore d’ascendenza
nobile è negato proprio l'istituto matrimoniale come luogo di felici sensi (alla
faccia del patriarcato della Radway). Andrea Cappellano, il trattatista del De amore da cui attingeranno tutti i
maggiori della letteratura europea, dal Duecento in poi, dedica due libri a
sostenere la tesi secondo cui la vera passione nasce esclusivamente fuori del
matrimonio (il terzo libro, che dice il contrario, gli fu imposto dopo minacce
di morte). D'altronde come negare l'evidenza? Come negare che il Montale tardo
che celebra la miopia della moglie o Umberto Saba che rassomiglia la consorte a
una bianca pollastra siano due borghesucci in pantofole? L'amore coniugale,
pacatamente soddisfatto e realizzato, emana, insomma, un insopprimibile afrore
da tinello. Rosa.
2. Il successo della letteratura rosa. Nella
postfazione al saggio della Radway le curatrici sciorinano dati
incontrovertibili: mentre il mercato editoriale agonizza, la sola collana Harmony
vende, in Italia, circa sei milioni di copie. In Italia. Non solo, ma la
tendenza è alla proliferazione, tanto che il genere, una volta ben definito, si differenzia internamente (romantic comedy, chick lit …) e sembra
sussumere in sé settori apparentemente estranei (giallo, fantasy, erotico,
adolescenziale).
Quale bisogno potente è alla base di tale sviluppo?
Posso rispondere con una ipotesi, bislacca, ma
non troppo.
La letteratura rosa cresce poiché cresce il bisogno di riappropriarsi dei ruoli
propri della società patriarcale negati dal consumismo. E, si intenda subito, tale
desiderio, una volta di dominio esclusivamente femminile, coinvolge una platea
globale sempre più vasta che include anche l’universo maschile. Senza limiti di
ceto o età.
Lo sviluppo economico attuale
ha messo in crisi - per poter prosperare - proprio il modello occidentale per
eccellenza, il sistema patriarcale. Sentiamo Pasolini:
“Il modello di un «consumatore» non può più essere un modello di dignità
paterna! Il consumatore dev’essere un uomo leggero, infantile, volubile,
curioso, giocherellone, credulo. Il compratore è sostanzialmente una fanciulla”.
Il sistema, insomma, necessita di un utente androgino, fatuo, superficiale, senza sacche di resistenza ideologica (di qui la distruzione dei linguaggi, di afflati politici e religiosi, delle differenze di genere et cetera): il patriarcato, rigido, monoteista, contadino, era uno degli inciampi al turbo capitalismo pubblicitario e, in pochi decenni di falso progressismo, è stato superato brillantemente. Non sarà allora che la voglia di romance, nelle sue varie accezioni, sia nient’altro che la risposta nostalgica a tale improvvisa ed epocale mancanza di senso?
Quale la differenza fra una colta dirigente
cinquantenne che si sdilinque per Incantesimo
e la James delle sfumature e un trentenne con la terza media che legge heroic
fantasy e perde ore della propria vita videogiocando con guerrieri ipertrofici che
salvano signorine seminude? O tra una adolescente che ama The vampire diaries e il coetaneo maschio che si inebria di manga e
Teen wolf? E se chiudere lucchetti a
Ponte Milvio celasse proprio tale segreta aspirazione, il ritorno all’ordine e
alla struttura patriarcale, rassicurante e millenaria, che abbiamo demolito
senza sostituirvi valide alternative?
Aveva ragione, insomma, la Radway, ma per
difetto. La sua analisi andrebbe riformulata tenendo conto di una nuova platea:
quella dell’intero Occidente; gremita di entrambi i sessi.
Janice A. Radway, La vie en rose. Letteratura rosa e bisogni femminili, Dino Audino, 2012
Elisabetta Flùmeri-Gabriella Giacometti, L’amore è un bacio di dama, Sperling & Kupfer, 2013
François Villon, Opere,
Mondadori, 1981
Bilhana, Le stanze dell’amor
furtivo, Marsilio, 1993. Un estratto:
“Oggi
ancora, la sua durezza incantevole ricordo nelle battaglie d'amore,
le mani,
senza presa nel sollevarsi e abbassarsi dei corpi annodati,
spruzzate
dal sangue dei segni delle mie unghie
che
premono sul suo corpo, dei miei denti
sulle sue
labbra...
Oggi
ancora, lei, nell'amore, il corpo sfinito di languidezza,
lo sciame
dei capelli a riccioli caduti sulle guance chiare...
Le
braccia flessuose tralci sospesi sul mio collo
come per
trattenere fra noi la colpa segreta...ricordo
Oggi
ancora, sulle mie cosce unte di sandalo
ricordo,
il segno impresso dalle sue unghie;
e il tendersi aggraziato del suo corpo immerso nel piacere ..."
e il tendersi aggraziato del suo corpo immerso nel piacere ..."
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