Mathias Gatza, Il mago della luce
Neri Pozza, pp. 300, euro 18
Simona Baldelli
Dresda, 2002. Uno storico dell’arte ripesca, dalle acque dell’Elba che hanno appena invaso la città, un libretto del XVII secolo stampato con rari caratteri a piombo che narra la vita (breve) e le opere (poche) di un artista barocco “naturamortista”: Silvius Schwarz. Il biografo, il piombista Leopold, narra di aver fatto ricorso alla stampa per raccontare la vicenda, perché muto. Malato di saturnismo, con le vene che contengono più mercurio e laudano che sangue, ci racconta l'ossessione che riempì l'intera e passeggera esistenza dell’ artista: catturare l’essenza delle cose, riproducendo la realtà nel modo più fedele possibile. Personalità sobillatrice e scomoda, quella di Silvius, tant’è vero che finirà presto imputato (ma innocente) di una serie di orribili delitti e condannato a morte. Silvius Schwarz, da quel momento, diventa per lo storico dell'arte, la sua propria ossessione. Avendo ricevuto da un editore un congruo anticipo per un libro sul pittore (che non scriverà mai) si dedicherà anima e corpo alla ricerca di indizi e prove sulla vita e le opere del naturamortista e sul “segreto” che lo portò assai vicino alla cattura della luce e l’essenza dell’immagine …
Questa, a grandi linee, la storia.
Che è poi la vera protagonista del libro, a mio avviso, la “storia”. Non tanto per le vicende che vi si intrecciano, ma per il gusto di narrarle.
Partiamo dall’autore, quello del libro: Mathias Gatza, che dev’essere un vero appassionato di storie dal momento che, ancor prima che autore, è editore, avendo fondato da più di dieci anni una casa editrice che porta il suo nome e che è specializzata in narrativa tedesca contemporanea.
Poi vi sono le storie che diventano ragione di vita (e qualche volta di morte) per ciascuno dei personaggi.
Quella dello storico d’arte che, privo di una storia personale degna di tal nome, ha tracciato la propria nel solco di quella del pittore.
Quella del piombista Leopold, che attraverso l’incastro dei caratteri ha raccontato la propria e altrui storia.
Certamente quella di Silvius, che ricercava nella riproduzione fedele delle immagini, l’essenza stessa (quindi la storia) delle persone e delle cose.
La storia d’amore fra il naturamortista e Sophia, la bella cugina appassionata di matematica e di logica.
Sullo sfondo anche le micro-storie di personaggi letterari, (come i morti uccisi ed impiccati a testa in giù) o di quelli reali (Spinoza e Cartesio, ad esempio) che incrociano la vita dei protagonisti.
C’è chi ha accostato questo libro, Il mago della luce, a Il nome della rosa, probabilmente per l’antica rivalità fra fede/superstizioni e ragione. A me, l’ossessione di Silvius per questo “senso” (la vista) ha ricordato in più punti quella di Jean-Baptiste Grenouille (il protagonista de Il profumo, di Suskind) per “l’olfatto” e la ricerca del profumo perfetto.
Certamente non posso non notare che entrambi i romanzi sono ambientati nel XVII secolo, periodo in cui, i lumi della ragione, erano poco più che un barlume, ancora intrappolati fra le tenebre dell’ignoranza e della superstizione e la ricerca (filosofica, scientifica, matematica…) era ostacolata dal potere temporale e spirituale e spesso apparentata col demonio.
E, chi voglia vedere in queste storie qualche riferimento alla nostra condizione attuale, credo abbia ragione da vendere.
Ma, al di là di spicciole speculazioni filosofiche e sociali, quello che a noi resta è la potenza delle storie e il loro piccolo, ma prezioso, aspetto rivoluzionario.
Perché una storia ben scritta cambia qualcosa nell’animo e, a volte, nella vita di chi la legge. E, dai e dai, le storie, possono quindi cambiare il mondo.
E persino allungare la vita. Come ben sapeva Shahrazād.
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