Julian Barnes, Il senso di una fine
traduzione di Susanna Basso
Einaudi, pp.150, euro 17,50
Patrizia Vincenzoni
In questo romanzo, breve e intenso, Julian Barnes racconta il senso di fallimento di un uomo, Tony Webster, ritratto mentre passa in rassegna la vita, vissuta ponendosi come al riparo dalla stessa. Rimorso, senso di sconfitta e un sentimento di costante tristezza connotano questa vita mancata, la mediocrità come paracadute di fronte alle richieste e agli imprevisti che ha incontrato nel corso dell'esistenza.
La lettera con la quale un avvocato informa Tony che la madre di Veronica, sua ex ragazza ai tempi della scuola, gli ha destinato un diario scritto da un amico Adrian Finn, morto suicida all'età di ventidue anni, insieme a una piccola somma in denaro, è il grimaldello che lo scuote dalla rassicurante e noiosa routine nella quale vive da sempre. Il viaggio a ritroso nel tempo e nella storia personale, alla ricerca delle responsabilità riguardo a scelte/non scelte, si avvale del ricorso alla memoria, una memoria fallace, troppo simile a "quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni... incontrano le inadeguatezze della documentazione".
Il diario introvabile di Adrian è la documentazione incompleta, e quindi inadeguata, che per Tony Webster costituisce la testimonianza e la rivelazione della impossibilità di cogliere una "verità" dei fatti. "Si arriva alla fine della vita, no, non della vita in sé, ma di qualcos'altro: alla fine di ogni probabilità che qualcosa in quella vita cambi", dirà a se stesso alla fine di un percorso, durante il quale ha tuttavia colto significati più ampi e complessi sul senso della vita. Questo non è stato sufficiente a fargli decidere di entrare nell'agone, anche se ha affrontato eventi trascorsi e attuali non più archiviabili, senza però provare a riconoscere le indicazioni che essi contengono.
L'io narrante è la guida attraverso il labirinto di supposizioni e memorie, considerazioni che spesso fanno ricorso a citazioni, interpunzioni sapienziali che emergono attraverso il fluire del racconto, mentre si snodano possibili interpretazioni per cercare di dare senso a quell'eredita inattesa, enigmatica, ingombrante. Tony intraprende questo percorso dai bordi della sua esistenza e osserva se stesso emergere dal tempo obliato negli incontri e nei rapporti con tre amici negli anni del college. Quella routine adolescenziale, vissuta attraverso l'identificazione con modelli di comportamento offerti dalla società culturale e dalle sue istituzioni accademiche e letterarie, già lo vede propendere per un'esistenza calma, riparata, stagnante. Adrian Finn è il nuovo compagno di corso che getta una luce diversa e perturbante nel recinto amicale dei tre adolescenti, introducendo dubbi e tematiche di interesse più generale,,ontologico: il problema del tempo e il senso che esso contiene, gli inganni della storia, la definizione del senso etico della vita. Anche Eros e Thanatos fanno il loro ingresso nel romanzo, dialogando fra loro in una contorsione conflittuale, avvitando i protagonisti delle relazioni anche sentimentali in una frattura senza margini di recupero.
Il paesaggio umano attraverso lo sguardo di Tony Webster si presenta come desertificato e anche la lettura, inevitabilmente intensa, attraversa queste atmosfere impregnate di un realismo desolante che mette a nudo autoinganni e rinunce, come se "l 'attesa terribile che la vita incominci" fosse uno stato abituale nel quale vivere. L'incontro con Veronica lo aiuta in qualche modo a sciogliere il mistero del diario lasciato da Adrian, ma la rivelazione non cambia l'uomo, come mostrano le parole con le quali si congeda dalla storia narrata.
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