lunedì 16 giugno 2014

Street art, l'arte che nasce fuori dei musei


Foto di Patrizia Vincenzoni
A cura del Cantiere 24-MVL Gruppo Reportage*

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Scritte, provocazioni, figure, e veri e propri dipinti su muri calcinati dal tempo, su palazzi dismessi, su capannoni in rovina; in aree annientate dal declino industriale – dal declino della nazione.


Foto di Patrizia Vincenzoni
La street art fiorisce sulle rovine di un’Italia abbandonata e periferica oppure si appropria della fatiscenza indotta dall’incuria (vecchie caserme e magazzini, uffici statali o del terziario avanzato lasciati marcire senza personale, recinzioni condominiali, contrafforti di cemento, viadotti, sottopassaggi, immani colonnati, piloni autostradali: la città di passaggio, insomma, quella che vediamo dai finestrini, orribilmente funzionale,tirata su con avarizia di bellezza e intelligenza, diviene la tela di improvvisazioni e di tableau pittorici in cui vibra la rivendicazione politica, la provocazione, lo sberleffo, l'ansia di testimoniare se stessi; oppure, non ultimo, la voglia di resuscitare la solitudine e la bruttezza nichiliste delle neoarchitetture metropolitane a una nuova arte, comunitaria, solidale e gioiosa.

Tale protesta (è indubbio che lo sia) si nutre dell’attualità (No Tav, Movimento per la Casa) e dell’enorme giacimento di status symbol epocali (Frida Kahlo, Nelson Mandela, Martin Luther King …) riconducibili a un sentire ‘contro’; ma si avvale anche di personaggi che, pur neutrali o addirittura apolitici, si caricano d’una forza eversiva inusitata (Yuri Gagarin, Elvis Presley, James Dean, Dante, Quentin Tarantino, Giovanni Paolo II).

Foto di Patrizia Vincenzoni
Perché avviene questo? Probabilmente il sentire comune degli artisti segue un calcolo preciso (forse inconscio, ma non si escluda la premeditazione): il volto di Elvis Presley, ad esempio; Elvis Presley non è mai stato semplicemente, puramente, Elvis Presley: già in vita avvenne la trasfigurazione da cantante scandaloso e attore minore hollywoodiano in simbolo potente (ribelle, sessualmente ammiccante, ma anche bravo ragazzo nazionalista: ricordate i film in divisa?). Il suo volto, insomma, mutò in oggetto di piena riconoscibilità commerciale, di venerazione, di pubblicità sfrenata, di studio cinematografico. Un’icona, insomma; il riassunto di un sentire largo e condiviso (da milioni di individui) tanto che, parecchi di noi, alla domanda: chi è il cantante rock americano più famoso? risponderanno: Elvis Presley! Riproporre le sue fattezze, quindi, fa sì che il messaggio ‘contro’ si avvalga di tutta la fama e la forza simbolica già accumulata nei decenni trascorsi: effigiare Presley significa, quindi, dire no (allo Stato, all’ingiustizia, ai genitori oppressivi, al razzismo: qualsiasi cosa vogliate voi) alla massima potenza.
In tal senso la street art è vicinissima all pop art di Andy Warhol che, riproducendo Liz Taylor o Marylyn Monroe, non faceva che sfruttare (furbamente, nel suo caso) la potenza iconica e mediatica già accumulata dai loro volti grazie alla pubblicità sfrenata, al delirio degli ammiratori, al divismo.



Foto di Patrizia Vincenzoni
Quattro cose colpiscono nella street art: l'ambientazione urbana, l'antagonismo, la provvisorietà e la mancanza di limiti.

L'ambientazione urbana

La Street art nasce nelle periferie degradate delle super metropoli globalizzate: New York, ovviamente, e Los Angeles, Seattle …

Essa prolifera da ghetti senza storia, dove l'unico tempo è quello del qui e ora: il tempo del consumismo; laddove anche la tradizione e la storia delle popolazioni immigrate - africani, antillani, creoli, ispanici - è stata distrutta e sostituita con l'eterno presente dei supermercati, dei drugstore, degli spacci di merce anonimi, della fatiscenza postindustriale.

E la street art cresce laddove è assente la Natura; l'artista di strada è un uomo di città, conosce esclusivamente la città, i ritmi cardiopalmici della città; a lui non appartiene il vento, ma l'aria condizionata; non i paesaggi bucolici, ma le verdure ammaestrate dei parchi urbani; non la prospettiva ciclica delle campagne, ma l'ansia rettilinea dell'incedere della moderna way of life.

Storia e Natura, i pilastri su cui si fonda l'arte classica, sono estranei alla street art.

Foto di Antonella Cecchi Pandolfini
Essa è un fenomeno assolutamente nuovo, uno scarto radicale, una forma d'espressione in cui gli antichi canoni della tradizione (occidentale, soprattutto, ma anche dell'arte popolare africana e americana) traspaiono solo occasionalmente.

Da tale punto di vista un'opera di street art è avanguardia purissima; molto al di là degli sperimentalisti novecenteschi, anche i più estremi: costoro, infatti, o sovvertivano o negavano la tradizione: ne erano, comunque, succubi e derivazioni.

Foto di Patrizia Vincenzoni
La street art fa a meno della tradizione poiché i suoi esponenti sono nati oltre di essa, in luoghi dove la tradizione (e storia e natura) non sono mai esistite.
Da quanto detto derivano tre considerazioni:
- la street art  è ingiudicabile con gli attuali mezzi critici
- la street art è impensabile fuori del contesto urbano
- la street art fatica a imporsi in contesti ove vige ancora - residuo del passato - l'imperio di natura e storia (fatica a imporsi nelle città storiche italiane, ad esempio, ma trova terreno fertile negli ambienti nuovi e già degradati: quartieri dormitorio, periferie del nulla, neoarchitetture dettate dallo sviluppo criminale del territorio).
Foto di Stefano Martinez
L'antagonismo

Che dire? Una proprietà quasi ovvia. La street art nasce contro. Proviene dai ghetti, dai suburbi, dalle periferie. Si appropria dei ruderi inservibili del disfacimento metropolitano per dichiarare il dissenso totale alla politica che l'ha generato. Un dissenso variegatissimo, che sfuma dal forte impegno comunitario sino alle spontaneità dell'anarchismo generico per arrivare al narcisismo individuale o alla pura provocazione.

La provvisorietà

È indubbio che la street art nasca con il gene della caducità. Basta fare il confronto con la pittura alta: vari trattati di pittura cinquecentesca assegnano alla preparazione del fondo un’importanza straordinaria: per fondo si intende la base materiale su cui tratteggiare e poi dipingere l’opera d’arte vera e propria (fondo di calce, colla e gesso etc): colle d’ogni sorta (d’origine animale e vegetale), gessi di varia grana
E poi olii di noce, papavero, lino; tempere grasse o magre; combinazioni fra olio e tempere tramite leganti ricercatissimi.
La produzione del fondo avveniva con stratificazioni accurate (cinque o sei), accortezza nei tempi d'essiccazione, gerarchia nella grossolanità dell'impasto, meticolosità nelle levigazioni, tutti accorgimenti mirati a preservare, nel tempo, il dipinto ottenuto.
Per tacere del disegno, delle prime mani di colore (grasso su magro, mai viceversa!) e della finitura, essenziale (Albrecht Durer si raccomandava: mai stenderla sul dipinto appena fresco! Aspettare un anno o due dopo l’essiccamento vero e proprio!).
Ogni pittore ha la propria soluzione; Tiziano dipingeva, poi lasciava i quadri in disparte per mesi, quindi li riprendeva con fare critico, come fossero nemici: cinque, dieci, venti stesure di colore, sfumature a secco, sfregazzi; come ottenere il verde, ad esempio: mai direttamente! Preferibile passare una velatura (fluida e trasparente) d'azzurro sul giallo già essiccato: ed ecco la profondità! De Chirico ci perdeva la ragione: traduceva trattati latini, scovava incunaboli francesi, esigeva dai bottegai miscele micidiali (fuor di metafora: la vernice al litargirio era assolutamente tossica).

Foto di Virginia Valletta

Lo scopo sotteso di tali fissazioni, d'alto artigianato e quasi maniacali, era sempre uno: la sopravvivenza ai secoli. La tecnica, insomma, rappresentava quello che per i guerrieri antichi era il canto epico o per i condottieri la metrica dei poeti di corte: la garanzia dell’immortalità, il monumentum aere perennius.


La street art si fa beffe di queste preoccupazioni. Ogni opera fiorisce improvvisa su pareti sbrecciate di muri o palazzi dismessi; su cui grava incipiente la ristrutturazione postindustriale o il divieto amministrativo e burocratico. La street art si accompagna spesso all’occupazione abusiva, all’azione clandestina: il fatto che alcuni artisti godano di fama mondiale e che alcune aree siano protette di comune accordo con le amministrazioni locali non cambia il succo ideologico: persino i pannelli affrescati da Keith Haring, lungo il binario sopraelevato sul Tevere fra le stazioni della metro A di Flaminio e Lepanto, furono vittime del repulisti comunale.

La street art nasce contro, eversivamente e, quindi, sempre in pericolo, insidiata dall’annichilimento del perbenismo. È un mandala transitorio - ma la provvisorietà, in tal caso, si spoglia d'ogni orpello metafisico: significa ribellione, rifiuto della codificazione, dell'oggettivazione commerciale (libro disco mostra galleria).

Foto di Virginia Valletta
La illimitatezza


La street art non ha limiti; non può rinchiudere se stessa per favorirne l'apprezzabilità: è un quadro che non ha bisogno di cornici: una galleria o pinacoteca o un museo. 

Il suo luogo è ovunque perché il fondo materiale su cui i writer si destreggiano può darsi ovunque.

Non si sta negando l'evoluzione alla Street Art: si dice che la Street art vive, a causa delle propria impronta genetica, dello scontro col potere costituito e il perbenismo del decoro urbano postmoderno (un writer può imbrattare i vagoni ipermoderni della metro o la parete candida e nichilista di un palacongressi, mai il Colosseo).

Foto di Stefano Martinez
Ogni deragliamento da tale imprinting snatura l'arte di strada: che, ripetiamolo, può anche evolvere in altre forme (artisticamente più rilevanti e accademicamente accettabili), ma, in tal modo, perde l'essenza che la definisce tale.

Come scrive Daniela Luchetti in Writing, a proposito di un tentativo di istituzionalizzare l’arte di strada:

"In un momento così importante di sperimentazione [il 1972] si inserisce Hugo Martinez, uno specialista di sociologia al City College. Egli andò tenacemente alla ricerca di tutti gli artisti di cui aveva imparato ad apprezzare le opere ... Il suo scopo era quello di strappare gli artisti dalla vita di strada e incanalare la loro arte in uno studio ... Ma il frutto della rabbia e del sudore di eroi coraggiosi che si muovono al riparo dalle violenti notti newyorchesi non si può incatenare nel grigio decoro; il lavoro [di Martinez] risente della mancanza del potente braccio di ferro tra fantasia e autorità che quotidianamente si dispiega sul territorio urbano ... I writer ... chiusi e intrappolati nelle dinamiche delle gallerie d'arte avevano perso, con il tempo, la maggior parte della loro carica aggressiva".


Foto di Antonella Cecchi Pandolfini
Nata oltre la tradizione artistica, la street art non può permettersi la maniera e l'imborghesimento. Essa ricalca la parabola della musica hip hop (da notare che uno dei cinque bracci della cultura hip hop era il writing): in origine l'hip hop traeva forza dalle radici che affondavano nei ghetti metropolitani: in esso rilevava l’antagonismo, la denuncia sociale, il rifiuto dell'oggettivazione formale (i primi rapper lasciarono rarissime registrazioni), risalto della comunità locale in opposizione alla gentrificazione (la speculazione che trasforma zone popolari in aree residenziali per la borghesia medio-alta), l’improvvisazione, l’esaltazione della festa popolare, l'istinto antilegalitario.

I primi contratti discografici ruppero l'incantesimo: ciò che era spontaneo e fluido s'immobilizzò in luoghi comuni di genere; divenne quindi maniera, poi cliché superficiale.

I rapper dell'ultima leva girano su auto di lusso, stracolme di girl disponibilissime e procaci, come gangster da operetta; l’oro delle collane che indossano, una volta simbolo del Re Sole africano, della negritudine e della liberazione dal potere razzista, oggi significa solo esteriore ricchezza: bigiotteria di lusso per cafoni arricchiti.

Foto di Stefano Martinez
Il vecchio Dj Kool Herc e il nuovo Eminem appartengono entrambi al rap, ma sono divisi da due generazioni, da due visioni e civiltà; il primo nuotava nella controcorrente dell’impegno (musica, writing, danza: tutto è cultura e impegno); il secondo in un fiume mainstream gonfio di dollari.

Vecchie forme, nuove forme/1 (Arcimboldo)


L'arte di strada fiorisce fuori dell'orto classico, ma ciò non significa che, incidentalmente, alcune soluzioni siano estranee ai generi tradizionali, specie quelli minori.
Foto di Stefano Martinez
Ecco un volto postmoderno e robotico formato da banane così come il ritratto dell'Arcimboldo si compone d'un profluvio esuberante di fiori.
Dall'occhio destro (una vecchia finestra con grate di sicurezza) pende, somma beffa, un cartello: "Zona militare. Divieto d'accesso, Sorveglianza": un simbolo d'autorità e repressione ormai privato di qualsiasi autorità.

Arcimboldo,
L'uomo di fiori

Vecchie forme, nuove forme/2 (Trompe l’oeil)

Inganna l'occhio. Forse la tecnica pittorica più antica; anzi: l'essenza della pittura stessa. Più reale del reale. Le tre dimensioni simulate in due.

Ecco una disfida di trompe l'oeil narrata da Plinio il Vecchio (Storia naturale, XXXV, 65-66):

"Parrasio venne a gara con il contemporaneo Zeusi; mentre questi presentò dell'uva dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda dipinta con tanto verismo che Zeusi, pieno di orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese che, tolta la tenda, finalmente fosse mostrato il quadro; dopo essersi accorto dell'errore, gli concesse la vittoria con nobile modestia: se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso, un pittore".

Ed ecco, duemilaquattrocento anni dopo, un nuovo inganna-l'occhio, che, negando la street art ("Non si scrive sui muri": espressione paradossale e beffarda), la conferma quale arte nuovissima e contraria: contraria al perbenismo, all'accademia, alla ragionevolezza borghese.

Trompe l'oeil: Non si scrive sui muri
Pere Borrell del Caso:
uno dei trompe l'oeil più famosi
Foto di Patrizia Vincenzoni
Foto di Patrizia Vincenzoni

* Gruppo Reportage:
Maria Cristina Masotti
Antonella Cecchi Pandolfini
Virginia Valletta
Lamberto Di Fabio
(Antonella Venanzi)
Nicola Barricelli
Patrizia Vincenzoni
Stefano Martinez
testi di Gianluca Chiovelli

2 commenti:

  1. Ma come, il cantore dell'italico Al Bano Carrisi si fa apologeta dell'amerikana art-street e celebra le periferie globalizzate! Cede quindi allo schema avanguardistico degli stradaioli versus l'accademia, quasi non si sapesse che nelle accademie della Repubblica si vezzeggiano tali forme di espressione e si dimenticano i putti raffaelleschi, dedicandole cattedre corsi chiacchiere teorie fotografie concorsi premi, ché da almeno un secolo il giardino di Academo si è trasformato in un laboratorio delle pratiche più routinières.

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    1. Viene dall'America, ma è antiamericana.
      Un aspetto sottovalutato.
      Per il resto sono d'accordo.
      D'altra parte avere una cattedra sulla street art è meno complicato che averla sul manierismo raffaellesco (e lo stipendio è lo stesso).

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