Fiorenza Mormile
Dopo Questo è il mio cuore, Quando il mondo come lo conoscevamo finì e in particolare dopo Una mappa per il prossimo mondo questo ulteriore testo della poetessa nativa americana ben esemplifica il tratto dominante della sua scrittura: nella memoria i soprusi subiti dalla sua gente sono ferite ancora aperte e sanguinanti ma la disposizione verso il futuro è aperta e positiva. Il nonno che instilla nel cuore dei nipoti un canto salvifico sa credere in un lontano riscatto a venire e con la sua fede lo rende possibile, salvaguardando il valore e l’orgoglio delle proprie tradizioni. Purtroppo la guerra, sembra suggerire il titolo, non finisce mai veramente.
Joy Harjo
Come scrivere una poesia in tempo di guerra
Non puoi cominciare da un punto qualunque. È un disastro.
Schegge e l’occhio
di una casa, una fila di case. C’è un ratto che scappa
dalla luce con un brandello di carne in bocca. Un bimbo legato alla schiena della madre
tagliato via. Soldati infestano le strade,
il fiume, la città, il villaggio,
la camera da letto, la nostra cucina. Mangiano tutto.
O lo bruciano.
Uccidono quello che non possono prendere. Stuprano. Quello che non possono uccidere, prendono.
False voci cadono come pioggia.
Come bombe.
Come lacrime di madri e padri ingoiate per una pace senza quiete.
Come un tramonto che si inclina verso una mezzanotte senza luna.
Come un treno senza più destinazione. Come un seme caduto dove
non c’è speranza di alberi o di un luogo dove possano vivere gli uccelli.
No, comincia da qui. Cervi sbirciano dal limitare dei boschi.
Vedevamo picchi
grandi come il sole, cardinali rossi, e le cince ci accoglievano
con i canti del buongiorno.
Avevamo cominciato a cucinare all’aperto scivolando tra rugiada e risate, ah quelle dolci albe
piene di fumo.
Provavamo a fingere che la guerra non ci sarebbe stata.
Anche se cominciavano a costruire le loro case intorno a noi e a pretendere di più.
Cominciavano a insegnare ai nostri figli la storia del loro dio,
una storia in cui saremmo sempre stati schiavi.
No. Non qui.
Non puoi cominciare da qui.
È una memoria a brandelli perché è impossibile trattenerla con le parole, persino in poesia.
Questi i ricordi lasciati qui con gli alberi:
la tasca strappata del vestito cucito a mano di tua figlia,
la fascia, il merletto.
Il mocassino ornato delicatamente di perline ancora infilato al piede del bambino,
il biglietto con la promessa di un giovane alla sua amata —
No! Non è questo il punto migliore da cui cominciare.
Tutti dormivano, nonostante le bombe lontane. Il terrore era diventato l’estraneo familiare.
Le nostre amate gemelle raggomitolate nelle loro camicie da notte, accanto al padre e a me.
Se cominciamo da qui, nessuno di noi arriverà alla fine
della poesia.
Qualcuno deve uscirne vivo, cantava un nonno al nipote,
alla nipote, mentre soffiava nel cuore dei bambini il suo canto più potente.
Lì sarebbe stato al riparo dai soldati,
che li avrebbero condotti per miglia, fiumi, montagne lontano dal cordone ombelicale
della storia delle origini.
Sapeva che un giorno, un giorno lontano, i nipoti sarebbero tornati, generazioni più tardi
su lucide autostrade costruite sopra vecchi sentieri
attraverso muri di leggi fatte per ostacolare o distruggere, sulle biblioteche
degli antenati nel vento, nate sulle pietre.
Il suo canto ci porta alla sua casa natia tra queste colline fumose.
Comincia da qui.