psico-recensione di Patrizia Vincenzoni
Un
libro corale, una polifonia di voci sempre più udibili nel corso della
lettura, orchestrata da un uomo in là con gli anni, un professore di
filologia classica che incontra in prima persona la realtà dei migranti e
delle loro esistenze, rese oltremodo precarie da una burocratizzazione e
da un rimpallo sistematico fra i paesi europei. Incontriamo Richard, da
pochi giorni in pensione, impegnato a cercare di dare un senso nuovo al
tempo che si è spalancato nella sua esistenza.
Questo
tempo libero, non organizzato da impegni programmati, lo catapulta in un
vuoto di senso.
Si ripete che darà spazio al piacere di leggere
romanzi, di ascoltare musica. Di viaggiare. Ma dove mettere il pensiero?
Che farne,ora? Si chiede.
Lo
smarrimento dell’uomo è palpabile, fra le righe, mentre cerca di
aggrapparsi, per sovrastare la sensazione di vuoto incipiente, a qualche
domanda che riguarda la sua vita affettiva, divisa e giocata sul
restare ai bordi, sul non definirsi nella relazione con la moglie
deceduta cinque anni fa e con l’amante che, dopo anni, infine lo ha
lasciato.
Dalla scrivania dove siede vede il lago di fronte alla casa.
E dentro c’è un uomo che giace ancora sul fondo, annegato in giugno
mentre faceva il bagno.
Questa
immagine assume un carattere simbolico, inconscio, di istanza psichica
che chiede di essere portata in superficie, alla luce. La figura
dell’annegato ricorre spesso nel percorso che Richard compie per
arrivare a comprendere, e non solo intellettualmente, come vivere la sua
esistenza in modo nuovo e più compiuto. Senza divisioni interiori, senza logiche binarie esasperate in quanto uniche per interrogare la
realtà .
La Berlino riunificata è la città dove vive ormai da più di vent’anni nella zona est, prima DDR.
Le
tematiche della visibilità/invisibilità e della divisione/riunificazione percorrono tutto il romanzo, specificandosi attraverso
l’incontro inatteso che Richard fa con i migranti, dieci uomini dalla
pelle nera che vede radunati davanti al Municipio decisi a non mangiare,
a non bere. A non dare il proprio nome alla polizia. Prima del nome
proprio, infatti, è fondamentale essere riconosciuti come uomini.
“
WE BECOME VISIBLE” è scritto a mano su un cartello di cartone poggiato
su un tavolino e l’intenzione dichiarata nel messaggio diventa per
Richard un marcatore affettivo, una domanda che lo interroga a tutto
tondo, lo spinge in modo sempre più consapevole a rinunciare alla
‘comfort zone’ nella quale vive da tempo.
Un
passaggio quello del diventare consapevole, ‘visibile’, ormai
necessario anche per lui. Oltrepassare il ‘Muro’, un limen che non ha
ancora emotivamente del tutto attraversato. Nella mappa personale che ha
costruito dalla caduta del Muro in poi la città è ancora divisa.
Oltre, di là, ci sono le sue paure a disorientarlo : le strade, gli spazi
hanno cambiato volto modificando ricordi e sensazioni della passata
esperienza che aveva dei luoghi.
Giorno
dopo giorno lo vediamo confrontarsi in modo sempre più coinvolgente con
la precarietà legalizzata alla quale queste persone sono costrette,
proiettandole fuori dal tempo storico e, dunque, consegnate ad un
presente sospeso, senza possibilità di immaginare un futuro, di sperare di
poter appartenere ad una nuova terra e a una comunità umana.
Richard
è un filologo, amante della parola, un esperto della lingua intesa come
sistema di segni. E in tal senso procede nella conoscenza degli uomini,
dei migranti, attraverso metodi e classificazioni.
“Le parole come segni
in luogo delle cose. Lingua come pelle, pellicola. E alla fine le
parole restavano sempre e solo parole”. Richard comunque, inaugura un
modo diverso di guardare e di essere al mondo. “Che cosa vede? Che cosa
sente?” Costruisce una nuova alfabetizzazione percettiva e sensitiva per
rinominare continuamente contesti e luoghi. Incontri. Volti. Per
scoprirne l’umanità, ed il loro universo interiore, culturale.
Finalmente le parole diventano esperienza.
La
conoscenza per lui non è più ‘impassibile’. Il pensiero è ‘pensiero
per’ l’Altro. L’etica, il senso di responsabilità per gli altri, lo
gettano nella relazione con se stesso e se stesso per gli altri. Ascolta
le storie degli uomini che, fra se, appella con nomi mitologici a
sottolinearne le sfumature del carattere.
L’improvvisa rivelazione che i luoghi, dove nascono e dai quali arriva
questo manipolo di uomini migranti, erano indicati come culla della
mitologia greca, la sua disciplina, lo portano a tornare ad imparare, “a scoprire e a riscoprire ciò che già si sa, quanti travestimenti
bisogna strappar via per imparare le cose fino all’osso”.
Richard
si coinvolge sempre di più in questo processo di metamorfosi, in questo
andare verso una vita quotidiana scandita ora da voci. Esce da un
silenzio che somiglia più ad un isolamento, riuscendo a non accomodarsi
oltre la linea del dubbio, della sfiducia generalizzata. In tal modo
supera un evento critico, un furto subito e la messa in discussione
della fiducia che aveva accordato a Osorobo, uno dei dieci, che aveva
invitato a suonare il pianoforte a casa sua. Gli eventi si susseguono e
con essi la burocratizzazione del regolamento dell’Unione Europea in
tema di diritto d’asilo che obbliga Karon,Ali dal
Chad,Zani,Abdusalam,Ermes, Yussuf dal Mali, Mohamed, Yaya, Rufu, Rashid, ‘Apollo’ del Niger e anche ‘Tristano’ a dover andarsene in un’altra
città. Richard riesce ad ospitarne alcuni, facendo in modo che la sua
casa acquisti lo status di residenza per profughi.
Alla fine, ci accomiatiamo da lui vedendolo ormai appassionato all’esistenza, che diventa vivere.
E' una bella psico-recenzione. Grazie Patrizia. Peccato che l'autrice accompagni il tutto con una prosa noiosa, piatta e ripetitiva. Che, nel mio caso, ha invitato all'abbandono. Il tema dei migranti è serio e preoccupante. Preoccupante per le reazioni di odio che avverto attorno a me verso tutti coloro che sono 'altro', straniero. intruso, accusati di essere l'origine del Male. La campagnia di odio alla quale assistiamo silenziosi ha dato il suo frutto perché è entrata nelle cellule cerebrali di persone che mai avresti immaginato con posizioni così irragionevoli e inumane.
RispondiEliminaRoberto ciao.Credo che la prosa che definisci piatta sia stata voluta dalla scrittrice per raccontare Richard alle prese con una serie di eventi,primo fra tutti l’incontro ‘reale’ con i migranti e con l’orrore che si crea intorno ad essi,con i quali cerca di prendere le misure,di costruire una prospettiva diversa,nuova,di significato possibile. Ed usa ciò che sa : metodologia e classificazione,strumenti basici per il suo lavoro di filologo . Grazie a lui,a questa figura che un po’ ci appartiene a tutti,nel senso della difficoltà ad andare oltre le parole e calarsi realmente ,produrre esperienza,eventi,attraversiamo pregiudizi immancabili,sogniamo di mantenere una speranza che potrà tradursi in qualcosa di concreto nella misura in cui scendiamo in campo,nei contesti dove le cose, drammatiche in questo caso, avvengono. Come riesce a fare lui. Creando una piccola comunità che fa del suo meglio per non essere semplici spettatori. Questo libro mi è sembrata una lettura necessaria. Ti ringrazio del tuo intervento,Roberto.
RispondiEliminaMolto interessante questa recensione e, per quanto mi riguarda, illuminante nella comprensione della figura simbolica dell'annegato.
RispondiEliminaAnche se il concetto può sembrare fuori luogo, io ho interpretato il romanzo come un "libro di formazione", non adolescenziale ma adulta. E' notevole a parer mio il crescendo narrativo giocato sul doppio binario presa di coscienza interiore/azione esterna di Richard, il suo pensiero, impegnato a gestire un personale cambiamento di vita, mette insieme tutto il suo passato e la sua cultura per analizzare il presente, spostando il centro della sua vita da se stesso agli altri.
Egli usa le sue armi del mestiere per comprendere una realtà che lo circonda ma che fino ad allora aveva solo intravisto.
La presa di coscienza e il suo mettersi in gioco concretamente si alternano con piccoli gesti quotidiani che accentuano quanto possa essere fattibile la responsabilizzazione in campo umano e sociale di qualsiasi persona e, la scrittrice, ci sfida a una nostra presa di coscienza, ricordandoci che l'altro oltre a essere, inevitabilmente, un intruso, può essere anche una fonte di crescita e di fratellanza.
Maria ciao,si,il processo di trasformazione di questo uomo è un processo di formazione a diventare quello che alla fine sente di essere e sarà. Il cambiamento,un certo tipo di cambiamento,come l’assunzione di una coscienza comunitaria, ci sembrano irrevocabili. Personalmente,consiglio la lettura di questo libro anche perché tutto quello che l’uomo/Richard rappresenta anche nel fare dell’etica non proclami,ma esperienza diretta,possibile,ci aiuta a rivolgerci qualche domanda.Necessaria. Ti ringrazio del tuo intervento,Maria.
RispondiEliminaGrazie a Patrizia per la sua psico-recensione, di cui condivido tutti gli aspetti, e per aver avviato la discussione, e grazie a Maria e a Roberto.
RispondiEliminaMi ha ispirato tenerezza l’anziano prof in pensione, abitudinario ma curioso, che, taccuino alla mano, compila elenchi di domande per le interviste ai profughi incontrati, e poi trascrive le risposte (“A Richard piacerebbe sapere quali domande conducono nel paese delle belle risposte”), osserva, registra. Ascolta e legge: cerca di capire la realtà che lo circonda – e di cui forse si accorge per la prima volta – con gli unici strumenti che conosce, quelli che nel corso dei suoi studi classici gli hanno permesso di interpretare popoli e culture dell’antichità, sulle tracce “del vecchio Esiodo” e di altri storici.
La precisione meticolosa con cui il filologo compila le sue liste per dare voce a coloro che manifestano per diventare visibili ad Alexanderplatz - piazza simbolo di una Berlino riunificata ma non pacificata - ricorda quella di un entomologo. Dare legittimità ai profughi vuol dire riconoscerli come portatori di culture da cui è derivata la civiltà greca classica: come i Tuareg del Nord Africa, ad esempio, discendenti dei Garamanti di cui già parla Erodoto nel quinto secolo avanti Cristo, e da cui i Greci hanno appreso l’arte di guidare i carri da guerra e dalle cui donne hanno imparato l’arte poetica.
Richard legge, e il Cielo della mitologia greca subisce un repentino spostamento verso l’Africa: Atena, detta anche la “dea nera”, allevata dal padre putativo Tritone sulle sponde del lago omonimo nell’attuale Tunisia, era venerata dalle Amazzoni, o Amazigh, donne berbere guerriere che abitavano le sponde di quel lago e parlavano tamasheq, la stessa lingua del profugo della stanza 2019 che il professore ribattezza Apollo. E continua a leggere di Medusa , che “un tempo sarebbe stata, dicono, una bella fanciulla berbera della Libia e una guerriera vittoriosa” e di Anteo, e di altri uomini ed eroi.
“Andare, andai, andato”: il paradigma verbale della lingua che i migranti cercano di imparare coniuga i tempi delle loro esistenze e suona come un ritornello alle orecchie di Richard, sempre più coinvolto perché la relazione con i profughi lo aiuta a colmare il vuoto lasciato nella sua vita quando sono venute a mancare le relazioni sociali e affettive più importanti – moglie, amante, studenti e quel mondo di cultura racchiuso in grossi scatoloni, le sue cianfrusaglie che non può più condividere con nessuno. E, in fondo, perché anche lui è un profugo: un cittadino della Repubblica democratica tedesca in esilio (uno dei tanti “Ossies” di un paese che dalla sera alla mattina non esiste più) che ora viene chiamato cittadino della Repubblica federale, “innalzato di colpo al rango di occidentale grazie alla cosiddetta riunificazione.”. Richard, quindi, deve colmare un vuoto d’ identità nell’assenza degli spazi e dei tempi consolidati della vita quotidiana (quanti oggetti e situazioni dei tempi del “socialismo reale” fanno tornare alla mente il film Good-bye Lenin!).
Est-Ovest, Nord-Sud …frontiere e muri … anche qui concordo con Patrizia, in questo libro è centrale il tema del confine: bella l’immagine, che ricorre più volte, degli uccelli migratori, che solcano il cielo per attraversare continenti, senza frontiere né linee divisorie invalicabili.
Capisco chi, come Roberto, trova Voci del verbo andare un po’ concettuale, ma a mio avviso il libro affronta la questione dei migranti, compresa la cronaca dei morti davanti all’isola di Lampedusa e i Trattati di Dublino, senza cadere nella retorica, nel buonismo e nella banalizzazione.
“Molte delle cose che Richard legge in quella giornata di novembre, poche settimane dopo essere andato in pensione, lui le ha sempre sapute, le sa da una vita, si potrebbe dire, ma soltanto oggi, grazie a questa goccia di sapere che ora gli tocca in sorte, tutto torna a mescolarsi in modo diverso e nuovo.“.
E questo ripetuto invito a leggere mi sembra un buon viatico.
Ornella ciao. Tra gli altri,il tuo richiamo ai profughi come portatori di saperi alle quali e’ debitrice la cultura greca antica,mi sembra utile per aiutarci a comprendere la mappa psicogeografica che il prof in pensione ricostruisce. Una cartografia relazionale,non statica, non discriminante,che ridisegna le connessioni tra gli uomini e le culture di appartenenza. Ti ringrazio del tuo intervento,Ornella.
EliminaSì,sono d'accordo con te, Patrizia. Diciamo che lo sforzo del prof nel cercare di tenere insieme la vita "precedente" e quella da costruire mi riguarda da vicino... ;))
RispondiEliminaOrnella,😘
RispondiEliminaOggi mi sono concessa il tempo per leggere la bella psico recensione di Patrizia e le aggiunte di Ornella, Maria e Roberto. Aggiungo anche io un mini contributo ai ragionamenti, riflettendo sul tempo. L’anziano professore si trova da solo, vedovo e in pensione e “adesso quello che proprio non gli manca è il tempo. Tempo per viaggiare, dicono gli altri. Tempo per leggere dei libri. Tempo per ascoltare la musica. Non sa quanto ci vorrà per abituarsi all’idea di avere tempo”. Io l’ho trovato uno splendido inizio che spiega bene lo straniamento che si sente al momento in cui il lavoro non ti protegge più e quando anche la vita affettiva (anche sessuale) ti abbandona e ti ritrovi da solo. Il prof passa indifferente a lato della nuova quotidianità causata dalla presenza dei migranti in una Berlino finalmente riunita. Ma se non fosse andato in pensione non si sarebbe accorto di quello che succede nel mondo attorno alla sua piccola vita chiusa. La sua vita chiusa, scandita dalla presenza della moglie, dellamante consolatrice, degli amici storici e scontati, chiusa come il lago che vede dalla finestra: metafora della sua esistenza che nasconde però l’annegato; quindi la calma superficiale ma che copre e avvolge un mistero invisibile. “Richard aspetta ma non sa cosa. Il tempo ora è tutto un altro genere di tempo”. La sua rinascita come persona sociale e come persona che accetta l’altro pur diverso, sta per avere inizio. Anche i ragazzi che vivono nel caseggiato sono in attesa. Anche per loro il tempo è un vuoto da colmare.
RispondiEliminaGianna ciao. Le tue riflessioni aggiungono qualcosa in più al dialogo scritto che abbiamo fatto insieme agli altri. Ti ringrazio del tuo intervento.
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RispondiEliminaDopo il tuo intervento Gianna, mi viene da aggiungere che il tempo che Richard ha a disposizione non solo "è tutto un altro genere di tempo" ma è anche limitato. Finché il suo spazio temporale era pieno di attività, quali che fossero, gli oggetti che erano a esse di supporto non avevano valore che per la funzionalità che lui gli aveva attribuito, mentre ora acquistano significati a sé stanti, lui inizia a guardarle come qualcosa che gli sopravviverà assumendo valenze avulse da quello che per lui hanno rappresentato.
RispondiEliminaMaria ciao. Grazie del tuo intervento
RispondiEliminaGrazie a tutti per i vostri contributi che mi spingono a leggere il libro. Sull onda del FARE mi fa piacere condividere un esperienza che faccio da qualche anno che mi permette di relazionarmi con le persone migranti in segnando loro italiano con il metodo one-to-one. Forse già conoscete la scuola di accoglienza Penny Wirton fondata da Eraldo Affinati e Luce Lenzi. Per i contatti se vi interessa ci sono sui canali soliti dei social... Grazie ancora
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