lunedì 19 maggio 2014

Nel Far West di Monteverde

Dal bel volume di Nina Quarenghi Un salotto popolare a Rona. Monteverde 1909-1945 (Franco Angeli 2014) proponiamo una pagina che presenta il quartiere in una luce piuttosto insolita per chi lo ha conosciuto solo negli ultimi anni. Una conversazione con l'autrice si tiene da Plautilla (via Colautti 28-30) martedì 20 maggio alle 17.30.

Nina Quarenghi
Da sempre i movimenti migratori non sono casuali, ma sono il prodotto di fattori espulsivi, caratterizzanti i luoghi di partenza, e di fattori attrattivi, propri delle località di approdo; essi si possono ravvisare anche in questa analisi, essendo la popolazione di Monteverde nella prima metà del Novecento costituita interamente da immigrati. Ognuno di loro certamente lasciò la località di origine per una scelta personalissima, ma intravediamo alcuni motivi comuni: la precarietà economica del primo dopoguerra e la necessità di migliorare le proprie condizioni di vita; la volontà di trovare una via d’uscita alla fame e alla miseria per alcuni e per altri la necessità di continuare gli studi o di esercitare la propria professione in un orizzonte sociale più ampio di quello offerto dalla provincia.
Roma rappresentò, per molti abitanti del Centro, ma anche per i provenienti dal Nord e dal Sud Italia, la meta migliore:

Scelsi questo posto [al Ministero della pubblica istruzione] perché mi dava la garanzia della sede di Roma, e poi Roma ecco ... per la gente del Sud, Roma aveva un grande fascino.

Quella che si venne a costituire fu una società eterogenea per provenienze e professioni, costituita da persone apportatrici di culture, abitudini, stili di vita differenti, ma tutte accumunate da un’aspirazione al miglioramento e dalla volontà di stabilirsi definitivamente in un nuovo territorio. In questo senso Monteverde assomiglia a tutte le “terre di frontiera” colonizzate in breve tempo, nelle quali le diversità originarie tendono a stemperarsi e fondersi nel dare vita a una nuova e originale realtà sociale.
Non fu invece una scelta libera quella degli abitanti dei palazzoni di via di Donna Olimpia, obbligati a lasciare le loro case nei rioni romani, in seguito agli interventi urbanistici del regime. La differenza tra la costrizione e la libera scelta determinò un diverso modo di percepire il nuovo quartiere e contribuì a creare quella linea di confine immaginaria che per molto tempo rimase tra Monteverde e la zona di Donna Olimpia: la popolazione di quest’ultima visse come un trauma l’approdo nei grattacieli posti in mezzo alla campagna e la perdita del lavoro svolto nei rioni del centro; se anche per alcuni vi fu un miglioramento nelle condizioni abitative, nel momento in cui passarono da una baracca alla casa in muratura, tutti vissero Ncomunque il disagio dell’isolamento e della mancanza di servizi; la conseguenza fu che si costituì un’area sociale fortemente coesa al suo interno, nella quale gli abitanti, sentendo il trasferimento come un abuso, fecero del senso di appartenenza a questa zona, nella quale trovarono modo di resistere aiutandosi, il loro punto di orgoglio. Viceversa gli abitanti di Monteverde guardavano con diffidenza questa area popolare, sorta improvvisamente a poche centinaia di metri dai villini delle cooperative, sebbene molti di loro non vivessero in condizioni migliori dei residenti nei grattacieli:

Eh sì, qui [a Monteverde Vecchio] chi era impiegato ... era un signore. Io facevo parte della plebe eheheh, il fijo dell’oste. E c’avevo un sacco de amici, quelli che stavano tutti come me; il mio più caro amico che c’avevo, il padre lavorava al gas, poraccio me ricordo se faceva a piedi da qui a lì, al gazometro, sa dov’è? Sì, Ostiense. E da lì a qui a piedi.

Qui [villino in via Fratelli Bandiera] al piano terra sul giardino ci vivevano due famiglie in due appartamentini piccoli piccoli: in uno c’era un falegname, che faceva sia laboratorio che abitazione, casa e bottega, un po’ come a Napoli. [...] Nel giardinetto che sta qua alla fine di via Alberto Mario su via Fratelli Bandiera, c’era un orto coltivato da una persona, Oreste, che viveva lì in una baracca; tutto intorno ci aveva messo come delle reti, con dei pezzi di palma, proprio una cosa povera povera.

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