Dal bel volume di Nina Quarenghi Un salotto popolare a Rona. Monteverde 1909-1945 (Franco Angeli 2014) proponiamo una pagina che presenta il quartiere in una luce piuttosto insolita per chi lo ha conosciuto solo negli ultimi anni. Una conversazione con l'autrice si tiene da Plautilla (via Colautti 28-30) martedì 20 maggio alle 17.30.
Nina Quarenghi
Da sempre i movimenti migratori non sono casuali, ma sono il prodotto di fattori espulsivi, caratterizzanti i luoghi di partenza, e di fattori attrattivi, propri delle località di approdo; essi si possono ravvisare anche in questa analisi, essendo la popolazione di Monteverde nella prima metà del Novecento costituita interamente da immigrati. Ognuno di loro certamente lasciò la località di origine per una scelta personalissima, ma intravediamo alcuni motivi comuni: la precarietà economica del primo dopoguerra e la necessità di migliorare le proprie condizioni di vita; la volontà di trovare una via d’uscita alla fame e alla miseria per alcuni e per altri la necessità di continuare gli studi o di esercitare la propria professione in un orizzonte sociale più ampio di quello offerto dalla provincia.
Roma rappresentò, per molti abitanti del Centro, ma anche per i provenienti dal Nord e dal Sud Italia, la meta migliore:
Roma rappresentò, per molti abitanti del Centro, ma anche per i provenienti dal Nord e dal Sud Italia, la meta migliore:
Scelsi questo posto [al Ministero della pubblica istruzione] perché mi dava la garanzia della sede di Roma, e poi Roma ecco ... per la gente del Sud, Roma aveva un grande fascino.
Quella che si venne a costituire fu una società eterogenea per provenienze e professioni, costituita da persone apportatrici di culture, abitudini, stili di vita differenti, ma tutte accumunate da un’aspirazione al miglioramento e dalla volontà di stabilirsi definitivamente in un nuovo territorio. In questo senso Monteverde assomiglia a tutte le “terre di frontiera” colonizzate in breve tempo, nelle quali le diversità originarie tendono a stemperarsi e fondersi nel dare vita a una nuova e originale realtà sociale.
Eh sì, qui [a Monteverde Vecchio] chi era impiegato ... era un signore. Io facevo parte della plebe eheheh, il fijo dell’oste. E c’avevo un sacco de amici, quelli che stavano tutti come me; il mio più caro amico che c’avevo, il padre lavorava al gas, poraccio me ricordo se faceva a piedi da qui a lì, al gazometro, sa dov’è? Sì, Ostiense. E da lì a qui a piedi.
Qui [villino in via Fratelli Bandiera] al piano terra sul giardino ci vivevano due famiglie in due appartamentini piccoli piccoli: in uno c’era un falegname, che faceva sia laboratorio che abitazione, casa e bottega, un po’ come a Napoli. [...] Nel giardinetto che sta qua alla fine di via Alberto Mario su via Fratelli Bandiera, c’era un orto coltivato da una persona, Oreste, che viveva lì in una baracca; tutto intorno ci aveva messo come delle reti, con dei pezzi di palma, proprio una cosa povera povera.
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