Dal libro di Paolo Albani Fenomeni curiosi, uscito in formato eBook per Quodlibet nella collana "Note azzurre" diretta da Giuseppe Dino Baldi, Elena Frontaloni e Paolo Maccari proponiamo una pagina dedicata, sia pur indirettamente, a Alessandro Manzoni.
Paolo Albani
In quell’immenso contenitore di fenomeni curiosi che sono gli scherzi (il mitico editore francese Jean–Jacques Pauvert edita nel 1964 una bellissima Encyclopédie des farces et attrappes et des mystications a cura di François Caradec e Noël Arnaud) ce n’è uno particolarmente ben congegnato e perfido ordito nei confronti di un famoso medico e antropologo italiano, esponente di spicco del positivismo scientifico.
Questi i fatti. Nel 1898, pubblicato a proprie spese (all’ultimo momento Hoepli non ha il coraggio di stamparlo), esce a Milano Genio e follia di Alessandro Manzoni in cui sono raccontate, usando il metodo lombrosiano (anche nel titolo il libro echeggia il linguaggio del Lombroso), le innumerevoli fobie, abulie e monomanie di Alessandro Manzoni. L’autore del libro è Paolo Bellezza (1867–1950), esperto di lingue moderne, pioniere degli studi americanisti in Italia, all’epoca un autorevole studioso della vita del Manzoni e della sua opera che – si dice – conosce tutta a memoria.
In Genio e follia di Alessandro Manzoni sono delineati alcuni tratti a dir poco singolari, bizzarri della personalità di Manzoni. Si racconta ad esempio che Manzoni porta sempre con sé una boccetta di aceto fortissimo; un giorno, sorpreso da un suo malessere nervoso in mezzo al viale del giardino della villa di Brusuglio, temendo di svenire prima di rientrare, si mette a correre cercando allo stesso tempo di gettarsi sotto il naso l’aceto, ma il movimento inconsulto fa sì che qualche goccia di quel liquido bruciante gli vada in un occhio che ne resta gravemente malato. Le lettere ai familiari rivelano in Manzoni uno stato di massima depressione morale o di profonda indolenza dello spirito. Va soggetto a «fatica al capo» e soffre spesso di incomodi di digestione. Il suo temperamento lo spinge qualche volta a dare in escandescenze, a piangere come un fanciullo per cose che lo esasperano. Riferisce la poetessa Louise Colet, sua grande amica, che quando gli comunica la pace di Villafranca Manzoni «cade svenuto completamente nelle sue braccia». In preda a gravi commozioni e dolori pare abbia bisogno di mangiare di più. Alcuni biografi assicurano che Manzoni è epilettico, ragione per cui si muove sempre accompagnato da qualche fido compagno. È soggetto a rilassamenti d’attenzione, assenze o distrazioni dello spirito. Lo testimoniano diversi episodi. Per una sua nipotina fa l’analisi logica di un periodo dei Promessi Sposi; invece di lodare l’esecuzione di quel componimento, la maestra la giudica appena soddisfacente. Una volta, conversando con un amico, cita una sentenza che gli pare bella, ma non si rammenta dove l’abbia trovata. «Sfido!» – dice l’amico – «è vostra!» Manzoni è capace di rimettere allo stesso posto dieci, venti volte un pezzetto di legno o di brace quando cade fuori da dove l’ha posto nel caminetto. Qui forse, annota Bellezza, abbiamo un caso particolare di piromania.
Negli ultimi tempi, scrive ancora Bellezza, Manzoni confessa desolato: «Temo che mi si indebolisca l’intelligenza, perché mi sorprendo qualche volta a pronunciare delle parole senza senso». A chi va a fargli visita, chiede: «Siete venuto a vedere che divento imbecille?» Gli succede di scambiare le persone o di non accorgersi di aver messo abiti non suoi; a volte si trova con due fazzoletti in mano e esita di quale servirsi. Certe affermazioni dello stesso Manzoni sono eloquenti del suo stato fisico e mentale: «io sono assolutamente inetto», dichiara; ho «un’incapacità organica di parlare in pubblico»; si definisce «balbettone», «un uomo impacciato nel cervello e nella lingua».
Non appena uscito il libro, Lombroso si felicita col Bellezza: il volume sul Manzoni «non poteva essere meglio fatto», gli scrive in una lettera del 23 marzo 1898, e in una recensione afferma che la degenerazione manzoniana è dimostrata «con una preziosa ricchezza di documentazioni». Se non che – attenzione! colpo di scena! – in due articoli apparsi sulla Rassegna Nazionale, Bellezza svela che il suo libro, per quanto riporti fatti attestati, non è che una parodia, una presa in giro dei metodi lombrosiani. Non tutti, a dire il vero, si sono lasciati abbindolare dallo scherzo del Bellezza, c’è chi ha avvertito subito l’odore della beffa, fra questi Arturo Graf, uno dei primi a rallegrarsi per la «canzonatura riuscitissima», e Antonio Fogazzaro («Ella ha scritto pagine che ogni devoto del Manzoni farà bene a tenere sul tavolino... Ma sa che qualche troppo rapido lettore non s’era accorto della parodia e ha preso sul serio il prof. Bellezza per un lombrosiano o quasi? La cosa è avvenuta a persona intelligentissima e dottissima che io trassi d’errore», lettera del 19 giugno 1898).
Le rivelazioni del Bellezza, com’è prevedibile, fanno infuriare Lombroso che, in una replica velenosa sull’Archivio di Psichiatria, fa marcia indietro sul libro del Bellezza definendolo, in modo singolare, «uno scherzo da preti» e denigra il suo autore sostenendo che tiene in maggior conto i Santi Padri che non Galileo e che appartiene alla classe «dei pedanti e dei teologizzanti».
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