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sabato 1 novembre 2014

Quel che resta di Manzoni (molto, a dispetto di chi vorrebbe farla finita con i classici)

Maria Teresa Carbone
La letteratura, come la vedeva Ezra Pound, è “novità che resta novità”. E Calvino: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, perché “i classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale”.
A leggere i grandi testi del passato, insomma, non si ha che da guadagnare, anche se pensiamo di averli dimenticati, anche se lì per lì non ci piacciono. E chi lo nega? Beh, per esempio Nick Hornby, che di recente al Cheltenham Literary Festival ha detto, senza tanto girarci intorno: “I romanzi dovrebbero essere come la tivù. Guai se affaticano chi li legge, meglio mollarli subito”. Non che si debbano prendere in mano soltanto libri facili, concede l'autore di About a Boy, perché “capita che si sia interessati a cose complicate”: quello che conta è che “si proceda al galoppo”. Come si possa leggere in fretta un testo complesso (e poi perché), Hornby non lo dice, ma gli crediamo sulla parola. Curiosamente, proprio negli stessi giorni, il protagonista cinematografico di About a Boy, Hugh Grant (ottimi studi a Oxford prima di diventare attore), nel corso di un'intervista ha maledetto Internet, colpevole di avere distrutto il piacere della lettura, riducendo al minimo la nostra capacità di attenzione: “Arrivi alla fine di un tweet e ti sei già annoiato”.
L'accusa è vecchia e ricercatori seri come Maryanne Wolf, che in Proust e il calamaro ha analizzato i meccanismi della lettura dal punto di vista delle neuroscienze, confermano che il rischio di “disimparare a leggere” (cioè di leggere come si faceva qualche decennio fa) è forte. E ad andarci di mezzo sono i libri che non si mandano giù come un bicchier d'acqua – i classici, al primo posto.
E al primo posto fra i classici a rischio di estinzione (di lettori), in Italia c'è il romanzo per eccellenza, quello che tutti, proprio tutti, hanno – abbiamo – letto a scuola e che per questo, anche quando non c'era Internet e Facebook e gli smartphone, era l'emblema del libro da odiare: I promessi sposi. Figurarsi adesso. Certo, il capolavoro di Manzoni resta una tappa inaggirabile nei programmi ministeriali, ma per tanti insegnanti è un incubo: “L'altro giorno un allievo mi ha detto che questa estate ha provato a leggere i libri di Sciascia, ma li ha trovati pesanti. Quante probabilità ho di farlo appassionare alle vicende di Renzo e Lucia?” si chiede una professoressa di lettere di un liceo scientifico romano.
Non è un grido di dolore isolato, se a settembre “Micromega” ha pubblicato nel suo sito un saggio di Giovanni Petta, Come insegnare Manzoni a scuola, tassello di un trittico che comprende Dante e Leopardi: concrete istruzioni ad uso dei docenti che non vogliono arrendersi alla dismissione delle opere-cardine della letteratura italiana.

lunedì 13 ottobre 2014

Manzoni e la chimera


Nei giorni scorsi Rizzoli ha rimandato in libreria uno dei più bei romanzi di Sebastiano Vassalli, La chimera, la cui prima edizione era uscita nel 1990 per Einaudi. Il libro aveva vinto allora lo Strega e se n'erano vendute molte copie. In seguito, come dimostra un rapido giro in rete, le vicende di Antonia, bruciata per stregoneria nel 1610, hanno accompagnato i percorsi scolastici di molti studenti italiani, forse anche per la contiguità temporale tra la storia raccontata da Vassalli e quella dei Promessi sposi. Che il rapporto con l'opera di Manzoni non sia stato secondario né casuale nell'elaborazione della Chimera, lo dice ora lo stesso scrittore nella postfazione alla nuova edizione, di cui presentiamo qui - grazie alla cortesia dell'editore - un breve stralcio: un testo sicuramente di grande interesse per i lettori di Monteverdelegge, all'interno degli itinerari di lettura proposti da Un libro un quartiere: I promessi sposi a Monteverde.

Sebastiano Vassalli
Uomo di fede ma anche uomo del Risorgimento, cioè della sua epoca, Manzoni aveva studiato a fondo i vizi e le virtù degli italiani e conosceva bene il nostro carattere nazionale. Avrebbe potuto rappresentarlo al peggio, scelse invece di rappresentarlo al meglio perché l'Italia doveva ancora nascere e si sperava che potesse nascere con il suo aspetto migliore. Perciò il Seicento, che fu un secolo a tinte violente, un secolo terribile, nel suo romanzo è corretto con molto Ottocento. Don Abbondio è un prete contemporaneo del suo autore. I preti della Controriforma, quelli veri, non avrebbero potuto concedersi le sue abitudini e i suoi tic, impegnati com'erano a ripristinare diritti e prerogative che risalivano al Medioevo e che si erano persi con il trascorrere dei secoli, e a tiranneggiare i loro parrocchiani con sanzioni per noi inimmaginabili, se non si confessavano e comunicavano almeno una volta all'anno e non seguivano i precetti della religione. Anche il cardinale Federigo Borromeo, rispetto al vero personaggio storico, nei Promessi Sposi è molto idealizzato; e anche la conclusione del romanzo, con la nascita dell'industria, è rivolta più al secolo dell'autore e alle sue prospettive di sviluppo, che all'età barocca in cui è ambientata la vicenda dei due fidanzati. Perciò io ho scelto di raccontare una storia del Seicento. Perché tornare in quel secolo dopo Manzoni significava tornarci dopo l'Unità d'Italia, dopo la Grande Guerra e il fascismo; dopo la catastrofe e il naufragio della Seconda Guerra Mondiale. Quanti Conti Zii e don Rodrighi e Innominati, quanti don Ferrante e donne Prassede e Fra Cristofori, ma anche e soprattutto quanti Renzi e quante Lucie si erano poi persi irrimediabilmente in quel naufragio!
Da Alcune considerazioni su questo romanzo dopo un quarto di secolo, postfazione a La chimera, Rizzoli 2014 © 2014 RCS Libri S.p.A., Milano

martedì 15 luglio 2014

I Promessi Sposi (e Don Abbondio) in rebus

Una serie di otto rebus (difficili) sull'incontro fra i bravi e Don Abbondio.
I pavidi (i Don Abbondio) possono saltare alle soluzioni in fondo.

"Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte d'un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l'altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell'intenzion dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s'aspettava, e che non avrebbe voluto vedere ...

I. Frase 2, 6, 8
II. Frase 9, 8
III. Frase 4, 6
IV. Frase 6, 8
V. Frase 9, 4
VI. Frase 3, 5, 1, 5
VII. A domanda e risposta, frase 5, 10
VIII. Frase 8, 8
"Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de' bravi".

Soluzioni

I. 2, 6,10 = Losco S; SO è così; S tema! = Lo scosso ecosistema (Pier Vittorio Certano)

II. 9, 8 = A, F fermare fan don IE = Affermare fandonie (Ignazio Fiocchi)

III. 4, 6 = Tema curato! = Tema curato (Roberto Diotallevi)

IV. 6, 8 = A CC U seri; badi TE = Accuse ribadite (Luigi Maiano)

V. 9, 4 = A T tra E N timore = Attraenti more (Giuseppe Sangalli)

VI. 3, 5, 1, 5 =  VI pavido don or è = Vip avido d’onore

VII. A domanda e risposta 5, 10 = D ubbidirà a T I? Sì! = Dubbi diradatisi (Luigi Martinelli/Francesco Rotta)

VIII. 8, 8 = Tra N e L loschi va TO = Tranello schivato (Massimo Cabelassi/Claudia Sansone/Anna Rita Bertaccini)

mercoledì 14 maggio 2014

Curioso Manzoni

Dal libro di Paolo Albani Fenomeni curiosi, uscito in formato eBook per Quodlibet nella collana "Note azzurre" diretta da Giuseppe Dino Baldi, Elena Frontaloni e Paolo Maccari proponiamo una pagina dedicata, sia pur indirettamente, a Alessandro Manzoni.

Paolo Albani
In quell’immenso contenitore di fenomeni curiosi che sono gli scherzi (il mitico editore francese Jean–Jacques Pauvert edita nel 1964 una bellissima Encyclopédie des farces et attrappes et des mystications a cura di François Caradec e Noël Arnaud) ce n’è uno particolarmente ben congegnato e perfido ordito nei confronti di un famoso medico e antropologo italiano, esponente di spicco del positivismo scientifico.
Questi i fatti. Nel 1898, pubblicato a proprie spese (all’ultimo momento Hoepli non ha il coraggio di stamparlo), esce a Milano Genio e follia di Alessandro Manzoni in cui sono raccontate, usando il metodo lombrosiano (anche nel titolo il libro echeggia il linguaggio del Lombroso), le innumerevoli fobie, abulie e monomanie di Alessandro Manzoni. L’autore del libro è Paolo Bellezza (1867–1950), esperto di lingue moderne, pioniere degli studi  americanisti in Italia, all’epoca un autorevole studioso della vita del Manzoni e della sua opera che – si dice – conosce tutta a memoria.
In Genio e follia di Alessandro Manzoni sono delineati alcuni tratti a dir poco singolari, bizzarri della personalità di Manzoni. Si racconta ad esempio che Manzoni porta sempre con sé una boccetta di aceto fortissimo; un giorno, sorpreso da un suo malessere nervoso in mezzo al viale del giardino della villa di Brusuglio, temendo di svenire prima di rientrare, si mette a correre cercando allo stesso tempo di gettarsi sotto il naso l’aceto, ma il movimento inconsulto fa sì che qualche goccia di quel liquido bruciante gli vada in un occhio che ne resta gravemente malato. Le lettere ai familiari rivelano in Manzoni uno stato di massima depressione morale o di profonda indolenza dello spirito. Va soggetto a «fatica al capo» e soffre spesso di incomodi di digestione. Il suo temperamento lo spinge qualche volta a dare in escandescenze, a piangere come un fanciullo per cose che lo esasperano. Riferisce la poetessa Louise Colet, sua grande amica, che quando gli comunica la pace di Villafranca Manzoni «cade svenuto completamente nelle sue braccia». In preda a gravi commozioni e dolori pare abbia bisogno di mangiare di più. Alcuni biografi assicurano che Manzoni è epilettico, ragione per cui si muove sempre accompagnato da qualche fido compagno. È soggetto a rilassamenti d’attenzione, assenze o distrazioni dello spirito. Lo testimoniano diversi episodi. Per una sua nipotina fa l’analisi logica di un periodo dei Promessi Sposi; invece di lodare l’esecuzione di quel componimento, la maestra la giudica appena soddisfacente. Una volta, conversando con un amico, cita una sentenza che gli pare bella, ma non si rammenta dove l’abbia trovata. «Sfido!» – dice l’amico – «è vostra!» Manzoni è capace di rimettere allo stesso posto dieci, venti volte un pezzetto di legno o di brace quando cade fuori da dove l’ha posto nel caminetto. Qui forse, annota Bellezza, abbiamo un caso particolare di piromania.

lunedì 14 aprile 2014

Don Abbondio, personaggio centrale de I promessi sposi


Quest'anno, per iniziativa di Monteverdelegge, è stata promossa, con il progetto Un libro un quartiere, la lettura di questo testo e molte iniziative sono state dedicate a questo evento, tra cui la proiezione di alcune versioni televisive storiche dei Promessi Sposi tenuta al Teatro Vascello. Come aderenti a Monteverdelegge, anche noi partecipanti alle attività del Centro Diurno semiresidenziale Cantiere 24 di via Giovagnoli abbiamo voluto leggere e commentare questo testo, riferendoci ai singoli personaggi. Proporremo, a partire da oggi, questi ritratti. (La redazione della “Locomotiva”)
 
Anna Cachia
 
Don Abbondio è uno dei personaggi dei Promessi Sposi, il più noto romanzo di Alessandro Manzoni. E’ un uomo codardo e schivo: “Don Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno.” Il personaggio è descritto, con una certa ironia, come un “poveruomo che è riuscito a passare sessant’anni, dai due occhi grigi, una bassa statura e una costruzione corpulenta.”
Don Abbondio è la figura dell’egoismo, che è la radice della sua viltà. E’ il curato incaricato di sposare Renzo e Lucia, ma durante la sua passeggiata serale incontra i due Bravi, sgherri di Don Rodrigo, che gli intimano di non celebrare il matrimonio.
Don Abbondio in un primo momento cerca di giustificarsi allontanando da sé la responsabilità di tale scelta, ma alla fine accondiscende alla volontà dei Bravi.
Il personaggio di Don Abbondio sarà assente per molti capitoli del romanzo, per poi riapparire solo in conclusione quando finalmente accetterà di sposare i due dopo aver appreso della morte di Don Rodrigo.
E’ evidente che Don Abbondio è una figura remissiva e vittima del tempo in cui vive, fin dalla scelta sacerdotale fatta non per una reale vocazione ma per appartenere ad una classe sociale rispettabile e protetta. Debole con i forti, Don Abbondio diventa irragionevole con i deboli e non segue il dovere di sposare Renzo e Lucia, cedendo alle minacce. Renzo e Lucia escogitano il matrimonio a sorpresa ma quando si trovano di fronte al curato non fanno in tempo a pronunciare la formula che li avrebbe resi sposi che Don Abbondio compreso l’inganno fugge.
Sarà sempre per via dei suoi superiori e non per coraggio che il curato sarà richiamato al suo dovere: sarà infatti il cardinale Federigo Borromeo che gli affiderà il compito di ricondurre Lucia, rapita dall’Innominato, presso la casa della madre. Ma, come per altri personaggi dei Promessi Sposi, anche Don Abbondio avrà un suo momento di riscatto: la tragedia della peste, che incide in modo vario ma ben riconoscibile nella vita degli altri personaggi, farà giungere il curato ad un atteggiamento più generoso e comprensivo. Passato il dramma della peste e la vita tornata a scorrere come prima, dopo la morte di Don Rodrigo, Don Abbondio si convince a celebrare il matrimonio dei due promessi sposi.
L’esperienza della peste, che Don Abbondio ha vissuto sulle sue spalle, lo ha provato molto fisicamente: il curato ora è molto più magro e scarno di prima e cammina col bastone.
Egli dunque rappresenta la chiesa corrotta del '600 ma, secondo il pensiero caro a Manzoni della redenzione spirituale, anche Don Abbondio sarà trasformato dalle vicende che ruotano intorno agli sposi promessi.

sabato 12 aprile 2014

Potere e sopraffazione, temi centrali dei "Promessi sposi"

 
I promessi sposi è il più celebre romanzo della letteratura italiana. Per lo stile e il linguaggio il libro di Manzoni segna un momento fondamentale nell'evoluzione della lingua italiana. Preceduto da Fermo e Lucia, edito nel 1827, è il primo esempio di come sia possibile impostare con personaggi inventati o realmente vissuti un parallelismo tra il periodo in cui la storia si svolge, che è la prima metà del ‘600 – cioè la Lombardia durante il dominio spagnolo - e quello attuale vissuto dallo scrittore e a cui lui stesso vuole alludere, che è la seconda metà dell’'800. Il Manzoni potrà così riferirsi al dominio austriaco sul nord d’Italia.
Il punto di forza dei Promessi Sposi, oltre a documentare la storia e avere avuto un’enorme influenza sulla formazione della lingua italiana, è la caratterizzazione dei singoli personaggi. Quest'anno, per iniziativa di Monteverdelegge, è stata promossa, con il progetto Un libro un quartiere, la lettura di questo testo e molte iniziative sono state dedicate a questo evento, tra cui la proiezione di alcune versioni televisive storiche dei Promessi Sposi tenuta al Teatro Vascello.
Come aderenti a Monteverdelegge, anche noi partecipanti alle attività del Centro Diurno semiresidenziale Cantiere 24 di via Giovagnoli abbiamo voluto leggere e commentare questo testo, riferendoci ai singoli personaggi. Proporremo, a partire da oggi, questi ritratti. (La redazione della “Locomotiva”)

 
Cristina Masotti
 
Questo romanzo, che è alle radici della nostra cultura moderna, rivela ad una lettura attenta tanti spunti che possono riferirsi all'attualità: quello che ci ha colpito di più è il tema del potere e della sopraffazione dei deboli, accanto a quello della fiducia nella Provvidenza che, però, risolve solo attraverso l'azione coraggiosa dei singoli. Questi ci sembrano temi universali che attraversano i tempi e rimangono sempre attuali.

domenica 9 marzo 2014

Manzoni in film, il programma completo della maratona


Chi ha mai visto in una sola serata Nanni Moretti interpretare Don Rodrigo, Al Bano e Romina Power calarsi nei panni di Renzo e Lucia, Alberto Sordi dare a don Abbondio un sottile accento romanesco e Totò vestire la tonaca del monaco di Monza? Finora nessuno, ma è questa l'opportunità che Monteverdelegge, all'interno del progetto Un libro un quartiere offre a tutti gli spettatori di Manzoni in film, la cine/tele/maratona in programma al Teatro Vascello (via Carini 78) lunedì 10 marzo dalle 16 alle 23. Un'occasione unica e irripetibile per scoprire i mille volti cinematografici e televisivi dei Promessi sposi. Sette ore di proiezione per cinque euro di biglietto. Leggete qui sotto il programma completo e diffondete senza pietà.

Il programma

Ore 16 – 16.30

Gli introvabili: fotografie e locandine dalle versioni cinematografiche dei
Promessi sposi di Eleuterio Rodolfi, 1913,
di Mario Bonnard, 1923
di Mario Maffei, 1964

I promessi sposi in 10 minuti, Oblivion, 2009


Ore 16.30 – 18.15

I promessi sposi, Mario Camerini, 1941
con Gino Cervi, Dina Sassoli, Ruggero Ruggeri, Armando Falconi, Carlo Ninchi


Ore 18.30 – 19.30

I promessi sposi in tv, selezione dagli sceneggiati
di Sandro Bolchi, 1967, con Paola Pitagora, Nino Castelnuovo,
Tino Carraro, Salvo Randone, Massimo Girotti
di Salvatore Nocita, 1989 con Alberto Sordi, Burt Lancaster, Franco Nero
  • e da Renzo e Lucia di Francesca Archibugi, 2004, con Paolo Villaggio,
Laura Morante, Carlo Cecchi, Stefania Sandrelli

Ore 19.30 – 20.20

Le grandi parodie:
  • I promessi sposi del Trio Lopez-Marchesini-Solenghi, 1990 (selezione)
  • I promessi sposi del Quartetto Cetra, 1985, con Al Bano e Romina Power, Gianni Agus, Gianni Minà, Minnie Minoprio


Ore 20.30 – 21.25

Come parli, frate?, Nanni Moretti, 1974 con Nanni Moretti


Ore 21.30 – 23.15

Il monaco di Monza, Sergio Corbucci, 1967 con Totò, Nino Taranto, Moira Orfei
Erminio Macario, Lisa Gastoni
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