Orazio, Pluto, Diabete e Bombolo, Pippo e il dottor Max, la
dottoressa Uraza: sono i personaggi di un fumetto? No, siamo in un romanzo, e si
è nel pieno di una narrazione tragica e dolorosa, in un territorio che ricorda
la quieta violenza del Processo di
Kafka e che anticipa le dedaliche architetture di Ballard e del suo Condominio. Soprattutto, l'atmosfera del
Padrone di Parise è segnata da una
violenza sul corpo tanto inaudita, quanto simile alla realtà quotidiana e i
personaggi fanno pensare più a dramatis
personae teatrali, ciascuno con una propria funzione, piuttosto che a
persone dotate di una propria psicologia, come ci si aspetterebbe da un
romanzo. Entrano in scena, ciascuno con la propria maschera che Parise ci
descrive nei dettagli fisici, nel colore, nelle ombre e sfumature, per poi
sparire fuori scena e non mostrarsi mai più. Sono descritti con una tecnica narrativa
visuale che davvero fa pensare all'esagerazione dei dettagli tipica del
fumetto, e per questo portano in un immaginario pop-art. Ma se di pop si può
parlare, non viene in mente quello americano, autenticamente superficiale e
colorato come le pubblicità, ma, piuttosto, ai mondi artistici pop italiani e
romani, dotati di una lettura profondamente critica dell'immaginario
neo-industriale di quel tempo e che, con tutta probabilità, Parise, fidanzato
con l'artista Giosetta Fioroni, frequentava e osservava attentamente nelle gallerie
della Capitale. Paradossalmente, quindi,
i suoi epigoni si possono cercare, oggi, non tanto nella letteratura, quanto,
piuttosto, nell'arte e nel teatro di ricerca, e il pensiero va al duo italiano Ricci-Forte
e al loro teatro popolato di crudeli personaggi di favole e fumetti, totalmente dediti
al consumo di una autolesionistica violenza che, distruggendo gli
oggetti-feticci offerti oggi dalle industrie super-globalizzate, si arrendono
anch'essi alla loro condizione di esseri umani, "offesi", deprivati
dell'unica proprietà a cui l'uomo ha davvero diritto: quella di sé e del
proprio corpo.
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