domenica 14 aprile 2013

Federico Caffè, un'intervista impossibile


I ragazzi e le ragazze della classe 1 C Econ. dell’I.I.S. Federico Caffè hanno intervistato il celebre economista che ha dato il nome alla loro scuola e che scomparve esattamente ventisei anni fa, il 15 aprile 1987. Il file audio è disponibile in  http://www.federicocaffe.com 

Ed ecco il testo dell'intervista impossibile:
D. Buongiorno professor Caffè, posso farle qualche domanda?
R. Si, certo

D.  Per cominciare ci vuole parlare delle sue origini?
R. Sono nato a Pescara il 6 gennaio del 1914. Provengo da una famiglia umile di contadini abruzzesi. Mia madre ha sempre lavorato duramente per mantenermi agli studi, pensate che è arrivata addirittura a vendere un pezzetto di terra per poter sostenere le spese per l'Università a Roma. Le sarò  sempre grato per questa scelta coraggiosa e per aver sempre creduto in me.

D. In che cosa si è laureato e quali sono state le sue prime esperienze professionali?
R. Mi sono laureato nel 1936 in Scienze economiche e commerciali all'Università di Roma. In quella stessa Università ho svolto il ruolo di assistente e, successivamente, ho lavorato per la Banca d'Italia e ho collaborato con diverse case editrici.

D. Lei ha dedicato la sua vita all'insegnamento, che cosa ricorda del suo rapporto con gli studenti?
R. Alcuni dei miei allievi, come Mario Draghi, Ignazio Visco e Giuseppe Ciccarone, hanno raggiunto posizioni di rilievo. Penso di essere stato un maestro severo, esigente, ma sempre attento a non forzare le inclinazioni dei singoli e sempre pronto ad incuriosirmi alle proposte dei miei allievi. Ho cercato di insegnare alle giovani generazioni che il compito dell'intellettuale èquello di rimanere fedele al dubbio sistematico come appropriato antidoto alla riaffermazione intransigente di cui spesso si finisce di essere prigionieri.

D. Quale dovrebbe essere, a suo parere, la vera funzione dell'economia?
R. Un'economia che ignora l'idea stessa di solidarietà non costruisce nulla, o meglio, genera mostri.
Ritengo che l'interesse per lo studio dell'economia consista nella speranza che la povertà  e l'ignoranza possano essere gradualmente eliminate.

D. Dunque lei è per un'economia dal volto umano?
R. Si, l'economia ha il dovere di risolvere la vita dei più deboli favorendo l'assottigliamento delle disuguaglianze e promuovendo l'occupazione. Nessun male sociale può superare la frustrazione e la disgregazione che la disoccupazione arreca alle collettività umane.

D. Cosa pensa dell'attuale situazione di crisi dell'Italia e dell'Europa e come ritiene possa essere risolta?
R. Siamo in una situazione molto faticosa, se tutto andrà bene impiegheremo buona parte di questo decennio per creare delle basi solide di una nuova economia. Nell'immediato bisogna fare i conti con le situazioni di disagio sociale che non possono più essere ignorate e che richiedono interventi pubblici soprattutto nell'istruzione e nella sanità nonché incentivi all'occupazione.

D. Dunque lei è fortemente critico nei confronti del pensiero liberista imperante?
R. Il mercato è una creazione umana pertanto l'intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio. Non si può non prendere atto di questo recente riflusso neo liberista ma è difficile individuarvi un approccio intellettuale innovatore.

D. Passiamo al privato. Come è diventata la sua vita dopo aver lasciato l'insegnamento?
R. Ero molto disorientato. Prima trascorrevo tutte le mie giornate all'Università con i miei allievi e poi mi sono improvvisamente ritrovato solo, senza sapere come impiegare il mio tempo. Non riuscivo più a scrivere, avevo amnesie sempre più frequenti. Lei deve sapere che io non sono un uomo, sono una testa, se quella arrugginisce di me non resta più niente.


D. E' per questa ragione che ha deciso di fare perdere ogni traccia di sé? Che cosa è successo quel 15 aprile del 1987?
R. E' stata una decisione molto sofferta, pochi giorni prima si era tolto la vita Primo Levi e la notizia mi aveva sconvolto. Avevo bisogno di solitudine, volevo riflettere, così all'alba di quel 15 aprile sono uscito dalla casa di Monte Mario nella quale vivevo con mio fratello lasciando sul comodino i documenti e gli occhiali che usavo per leggere …..

D. E poi cosa è successo?
R. Sono stanco e vecchio, sono sempre stato un uomo schivo e di poche parole. Ciò che bisognava dire è stato detto. Basta domande, la mia è stata un'esistenza non diversa da tante altre, ogni uomo custodisce in sé un mistero, quello che ha fatto di me un individuo speciale sono state le mie idee chiare e mai ambigue che spero rimangano sempre vive.

D. Che fa, se ne va? Ci lascia così nel dubbio....... 

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