domenica 4 agosto 2013

Parola di capitano / 4


Nelle puntate precedenti: per un caso fortuito e fortunato, il Capitano Giona Missing, eroe suo malgrado dei romanzi di Teo Marlo, scrittore di infima categoria, sfugge alle pagine dove è stato rinchiuso finora.




Franca Rovigatti

UNA NOTTE SPECIALE

Voglio morire... Ah, sì! Morire! Che vergogna! Meglio non essere mai nati, che avere una vita simile!... Meglio, mille volte meglio, non sapere nulla, essere come la Signorina Leyla, di coccio... Di cera e coccio!

Così si disperava l'onesto Capitano, torceva le immateriali mani, si strappava i capelli.

Schiavo di un padrone idiota! Che dico: creatura di un dio cretino!
Se solo sapessi come sopprimermi... Ma, nella mia condizione, è impossibile… Figurarsi, non riesco neppure a muovermi...
A meno che... Ma sì, sì!... Si potrebbe provare...

(A Giona era venuta un'idea formidabile, degna di un cervello avventuroso, ancorché neonato.)
Intanto il suo autore dorme e russa. I sogni, come sempre, sono sontuosi. Teo sogna d'essere insieme se stesso e il Capitano: che entra nel castello. Una voce fuori campo dice: "Questa è da sempre casa tua, Teo. Perché, Giona, ti sei allontanato?". Il cuore del sognante si allarga: luogo benedetto, casa finalmente! Di quelle stanze gli pare di riconoscere ogni angolo, ogni suppellettile e oggetto, ogni gradino. A un tratto si ricorda che, oltre quella porta, ci sono altri spazi. La apre. Ed ecco spalancarsi la loggia, il magico giardino, pieno di querce centenarie, lecci, cipressi, rose e mirto. Tra i tronchi si accucciano linde casette, abitate da gattini e cuccioli di cane.
Ecco! Sì! Questo è il Posto! Fermati, Attimo, sei Bello!

sabato 3 agosto 2013

Leggere è condividere, dieci Plautille a New York

Maurizio Caminito, grande esperto di tutto quello che ha a che fare con i libri, ci manda questa segnalazione, che i lettori di Monteverdelegge scopriranno con piacere: è infatti la conferma che il "modello Plautilla" va in giro per il mondo.
 
Quest’estate a New York, e precisamente in due quartieri della città: nel Lower East Side e nell’East Village, sono comparse misteriosamente dieci piccole, anzi piccolissime, biblioteche. Tutti si sono chiesti chi le avesse finanziate e promosse, visto che non comparivano in nessun programma ufficiale dell’amministrazione della città. Finalmente il mistero è stato svelato, anche attraverso un breve video (http://vimeo.com/71254919) che ne racconta il progetto e le finalità.
Intanto l’iniziativa ha un nome semplice e diretto: LITTLE FREE LIBRARY, quindi piccole biblioteche libere, in cui i libri si possono prendere e dare liberamente, senza iscrizione o tessera o altra formalità. L’idea della “biblioteca libera” non è nuova e si può ritrovare in alcune esperienze anche italiane, ma la particolarità del progetto newyorkese sta nel fatto che queste piccole librerie sono veramente piccole e inserite nel tessuto urbano, come istallazioni o oggetti di design a completa disposizione dei cittadini, senza alcuna mediazione. Lo slogan è infatti: “Take a book, leave a book”.
Il progetto è stato promosso dal PEN World Voices Festival e dalla Architectural League of New York (http://archleague.org/2013/05/little-free-library-nyc/). Ognuna delle dieci mini-biblioteche è differente dalle altre ed è frutto di una selezione tra ottanta proposte e idee sollecitate da un concorso dell’Architectural League di New York rivolto a giovani designers. I risultati sono tutti stimolanti e anche divertenti: attirano l’attenzione dei passanti e li coinvolgono in un gioco che ha un messaggio semplice, ma profondo: leggere è condividere.

mvl Teatro: applausi contro la morte


Maria Cristina Reggio

Da un po’ di tempo a questa parte, al termine di funerali sempre più silenziosi - in cui pochi, anzi, pochissimi, pregano -, scrosci di applausi commossi salutano il defunto, come se la comunità di parenti e conoscenti radunati occasionalmente in chiesa avesse bisogno, di fronte al vuoto della morte, di sentirsi unita in un fragoroso abbraccio, piuttosto che raccogliersi in un più composto silenzio.  In questo caso l’applauso, un gesto prelevato dalla televisione e dallo spettacolo in genere, che viene eseguito in piedi e non seduti in una comoda poltrona, non significa un apprezzamento conclusivo per una rappresentazione ben riuscita, ma è un segno che chiaramente istituisce una cesura sonora con la liturgia funebre e che apre le porte a un omaggio corale, solo civile: rispettoso verso il defunto e coesivo per la comunità radunata in chiesa. Un’ovazione di questo genere, con spettatori in piedi per dieci minuti, ha concluso il 25 giugno al Teatro Argentina di Roma l’ultimo lavoro di Ricci Forte, Still Life, con cui i due autori hanno voluto celebrare il ventennale della rassegna di teatro omosessuale Garofano Verde, ideata e curata da Rodolfo Di Giammarco e da tanti anni ospitata nella più piccola, ma non meno fascinosa cornice del Teatro Belli a Trastevere. Si è trattato di una celebrazione che, più che a un compleanno, si ispirava a un funerale e alla morte, un tema, questʼultimo, corteggiato con attenzione e con gran successo di pubblico dai Ricci-Forte, come in Imitation of Death al Roma Europa Festival 2012.

Parola di Capitano / 3

 Franca Rovigatti


INDAGINI

Invece Giona non riposava, anzi. Stava lì accanendosi per cancellare la frase che gli aveva rimesso la mano sul cazzo. Questa volta fu tutto più complicato. Teo aveva aumentato il numero delle parole messe a guardia del gesto.
Liberatosi, temendo di avere offeso l'amor proprio della signorina, tentò uno straccio di conversazione:

Non trova, Mademoiselle, che faccia un gran caldo? Ehm... Lei comunque sta benissimo...

Era vero. Leyla era algida, perfetta. Non reagiva. Non batté ciglio, non sospirò, non disse una parola. Sembrava di cera.
L’intero universo sembrava di cera, caduto dentro le pareti di quella squallida cucina...
L’ondata depressiva lappava i pensieri di Giona, sussurrando che lo strano posto a cui era appena approdato era l’inferno, l’impotenza, il caos…
Che fare, oh dio, che fare?
Il Capitano reagì. Corpo di bacco, se era nato, qualche ragione (scopo, fine) doveva pur esserci! Non poteva (non doveva) abbattersi! Che Capitano era, sennò? Coraggio, si disse. Facciamo qualcosa, pensò. Prima di tutto devo indagare, decise.
E quale modo migliore che leggersi le pagine da cui era appena uscito, entro il cui recinto ancora stava e di cui, vedete, pur essendo sua patria, non ricordava nulla?
 
I capitoli, scritti con scritturina nitida e regolare, stavano lì, a portata di mano. Il Capitano vi si immerse. Entrare non gli fu difficile.
Il titolo era I Polli non hanno Venerdì, con astuto riferimento all'astinenza cattolica dalle carni in quel giorno della settimana, in un’oscura metafora che neanche Teo Marlo sarebbe stato in grado di spiegare. I capitoli scritti ammontavano a otto.
La storia era vergognosa. Uno schifo. Ragioniamo: perché mai sennò il Capitano ne sarebbe uscito? E' chiaro che, là dentro, doveva avere sofferto moltissimo, da morire... Anzi, doveva essere stato proprio l'eccesso di oltraggio a risvegliargli la coscienza...

(Perché non ho dubbi: il sorgere di coscienza non richiede un corpo -carne, nervi, sangue-, non postula un cervello. In casi limite -e questo, accidenti se lo è!- neppure l'esistenza è necessaria. L’ingrediente cruciale è l’eccesso di oltraggio. )

Leggendo le pagine costellate di frasi fatte (uno dopo l’altro si snocciolavano "primi mattini del mondo", "fughe senza fine", "paradisi terrestri"), Giona gemeva, sussultava. Perché, essendone il protagonista, non era solo che le leggeva, ma le cose gli accadevano. Veramente! Ci stava dentro: dentro ogni virgola, eccome!
Fosse stato un buon libro, ok, si sarebbe anche fatto un viaggio. Ma trattandosi, come si è detto e ripetuto, di un libraccio, tutto era fasullo, posticcio. Una tortura.

Capitolo per capitolo, per sommi capi, la storia è la seguente.

venerdì 2 agosto 2013

Parola di Capitano / 2

Franca Rovigatti



LA NASCITA
(qui e d'ora in poi, in corsivo,
la Voce del Capitano)


Diavolo! Dove sono?... Dove mi ha cacciato stavolta!? Merda!! Sembra un aeroporto in rovina, una lurida cucina... E  fa un  caldo fottuto!... Strano… Ma non era freddo, un freddo boia, da morire? Sì, sì: si gelava! Vediamo un po' se mi riesce di muovermi...


(Visto che è successo? E’ uscito fuori! Comunque, perché non ci siano fraintendimenti, sappiate fin d’ora che non fu una nascita visibile. Il Capitano venne al mondo solo come coscienza. Non aveva ombra di tutti gli altri ammennicoli tipo: faccia con occhi e bocca, tronco, braccia, gambe, capelli, peli, orecchie. Non poteva avere fame, né sonno, né altri bisogni. Era invisibile. Immateriale. Anche se lui intravvedeva il suo sembiante come fosse vero corpo. Anche se udiva i suoi pensieri come fossero pronunciati.)

Si concentrò, il Capitano. Spremette il neonato cervello tentando di concepire un possibile altrove. Cercò con tutte le forze di spedirsi fuori dalla cucina. Ma non si spostava di un solo centimetro.

Merda!! Non ci riesco!... Sono incatenato! Forse perché il coglione (Teo, si chiama) non c’è... La miseria, allora è così, solo lui può spostarmi... Ma ora dov’è andato? Magari è morto, s'è ammalato...
Oooh...!  Guarda  chi c'è qui! Una gran bella Signorina! Mademoiselle?!
Non risponde, forse non sente... Immobile... Ciglia finte, labbra siliconate,  mascherata  da esploratrice...
Porca miseria! Anch'io ho il casco, la sahariana, i calzettoni...

Giona armeggia, non saprei come altro dirlo, sull'immagine di sé. Agitando le braccia, attacca la sahariana...

Aaah! Questa giacchetta non si stacca! Aderisce a me... Anzi è me! Non c'è ombra di pelle, sotto! Dio, che  schifo!
E adesso, che succede? Cosa sono questi tonfi che avanzano? La miseria, si avvicinano!

giovedì 1 agosto 2013

Giostre e pavoni in atteggiamenti sospetti

Giulia Caminito

Il vademecum del piccolo scrittore / I

Un anno fa andai da un’amica con qualcosa che scrissi in un periodo di transizione della mia vita, che a venticinque anni non ha visto un granché in fondo, ma nel mio esiguo orizzonte quelle pagine avevano espresso qualcosa. Lei lo ha letto, non l’ha del tutto cestinato, io ci ho lavorato ancora, asciugandolo come un’aringa al sole e gliel’ho riportato. La sua opinione a quel punto era che il “romanzo” non era malvagio, si doveva solo correggere un po’ e che già poteva essere qualcosa da proporre in qualche modo. Però mi fece una domanda, che cambiò le sorti circa il mio interessamento per tale scritto: “Tu cosa vorresti dire?” Ovviamente pensavo di avere una sfilza di cose interessantissime da dire e mi sono messa mentalmente a compilarla. Alla fine ho stiracchiato tre o quattro frasi, di dubbia costruzione grammaticale, balbettando e stropicciandomi le mani. Cosa volevo dire? Volevo raccontare una parte del mio vissuto da venticinquenne studentessa di filosofia, un po’ ironica, senza troppe pretese, con uno stile colloquiale, mettere a parte il mondo della vita universitaria appena trascorsa. Era abbastanza da dire? Forse sì forse no. La mia amica, e mi piace chiamarla così perché i consigli datemi sono secondo me un segno di amicizia, non ha smontato il mio castello dalle fragili fondamenta e ha solo detto: “Leggiti un paio di questi libri”.

Parola di Capitano / 1

Franca Rovigatti


DOVE TUTTO COMINCIA
Quella notte venne giù un caldo eccezionale. Erano solo i primi di giugno, ma l’afa invase Mongo come una silenziosa, micidiale armata di occupazione. Ranghi serrati. La città capitolò, cadde dentro il soffoco di una candida invisibile coperta. Già alle cinque la luce s’era piazzata alta a sfolgorare in cielo. Abbacinava. Stringeva strade e case in un abbraccio irrespirabile.

Così, dopo la notte trascorsa voltolando il corpo tra lenzuola fracide, quella mattina Teo Marlo sorprese il sole stravaccato nello studio. Come un'immensa bocca alitava fuoco. La persiana, porca vacca!, aveva lasciato la persiana aperta! La stanza era una sauna. Miseria se è caldo, pensò. Pure umido, accidenti.
Anche il bollettino meteo lo aveva detto, poco prima, mentre lui, sfatto nella gloria del mattino, pisciava. La vocetta fessa della radio aveva annunciato:"Umidità relativa 95%".
Ecco, pensò, in una giornata come questa uno dovrebbe poter descrivere dal vero l'afa, per esempio, dell'Indonesia, della Thailandia, del Vietnam, della Cocincina...

(Teo Marlo scriveva. Sì, era uno scrittore! Cosa che, nei frequenti momenti di smarrimento, si ripeteva ad alta voce fissandosi allo specchio.)

Peccato! pensò Teo, peccato davvero che ora il Capitano sia nel bel mezzo della sua avventura antartica! Come faccio a trasportarlo di botto a Saigon o a Jakarta? Troppi casini.

(Il Capitano, Giona Missing, era il protagonista fisso dei sei romanzi - cinque già usciti, l'ultimo in stesura - scritti da Teo e pubblicati dal suo editore, quel ciccione di Woodroow von Zeitmerde. Romanzetti, che ve lo dico a fare: romanzacci, roba di terza categoria.)

Ciabattando in cucina a farsi un tiepido caffè istantaneo,
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