Maria Cristina Reggio
In due sole repliche nella sala romana del Teatro Vascello Chiara Guidi va in scena con la sua riscrittura di Tifone dal testo di Joseph Conrad, l'aristocratico marinaio polacco che aveva scelto di scrivere i suoi racconti in una lingua adottiva. Si tratta di un'opera teatrale che si dispiega quasi esclusivamente nell'ascolto, dal momento che nel palco quasi buio non vi sono attori che compiano azioni sceniche, se non il pianista all'opera con il suo strumento e l'attrice che legge, completamente assorbita dal microfono, illuminata da una flebile lampadina che allarga lo spazio del teatro fino a renderlo ventre oscuro di balena. Nella penombra in cui è lasciata la scena, con solo al centro il tondo quadrante di una grossa bilancia che focalizza lo sguardo (resto di una muta archeologia industriale) e altri due tondi neri retroilluminati che velano di luce il nero fondale, si immagina che le diverse voci che si odono provengano da persone diverse. Eppure l'occhio di uno spettatore che vaghi cercando diversi attori si arresta sempre sul corpo minuto, femminile di Chiara Guidi che, dritta in piedi, come sul cassero di una nave, davanti al suo microfono, disegna con le mani di un direttore d'orchestra le intensità e le frequenze ondulatorie con cui lei stessa emette le sue tante voci.
In due sole repliche nella sala romana del Teatro Vascello Chiara Guidi va in scena con la sua riscrittura di Tifone dal testo di Joseph Conrad, l'aristocratico marinaio polacco che aveva scelto di scrivere i suoi racconti in una lingua adottiva. Si tratta di un'opera teatrale che si dispiega quasi esclusivamente nell'ascolto, dal momento che nel palco quasi buio non vi sono attori che compiano azioni sceniche, se non il pianista all'opera con il suo strumento e l'attrice che legge, completamente assorbita dal microfono, illuminata da una flebile lampadina che allarga lo spazio del teatro fino a renderlo ventre oscuro di balena. Nella penombra in cui è lasciata la scena, con solo al centro il tondo quadrante di una grossa bilancia che focalizza lo sguardo (resto di una muta archeologia industriale) e altri due tondi neri retroilluminati che velano di luce il nero fondale, si immagina che le diverse voci che si odono provengano da persone diverse. Eppure l'occhio di uno spettatore che vaghi cercando diversi attori si arresta sempre sul corpo minuto, femminile di Chiara Guidi che, dritta in piedi, come sul cassero di una nave, davanti al suo microfono, disegna con le mani di un direttore d'orchestra le intensità e le frequenze ondulatorie con cui lei stessa emette le sue tante voci.