Maria Vayola
Scomparsi è il libro di esordio di Mary McGarry Morris del 1988, a cui ne sono seguiti molti altri, in Italia è stato tradotto e pubblicato solo questo, uscito nel 2014 con la traduzione di Antonio Bischioso per la Playground.
Dell'autrice, sul web, si trovano solo pagine in lingua inglese, è pressoché sconosciuta da noi, lodevole, quindi, la scelta di Playground di inserirla nel suo catalogo partendo proprio dal suo primo libro, che merita di essere letto.
Siamo ormai abituati alle storie di marginalità americana, sia in letteratura che in cinematografia, agli orrori e ai gioielli umani che si trovano sparsi nella sconfinata provincia americana, Morris ne ha scovati altri e ce li racconta senza stupore, nonostante il livello di esclusione che vivono i personaggi del suo libro sia veramente particolare.
Nel giro delle poche pagine che iniziano il libro, senza che siano definite come capitolo o prologo, accadonono gli eventi che, qualificati come storia vera, innesteranno un "on the road" stralunato e drammatico.
Aubrey Wallace, anonimo e solitario personaggio, intimorito dalla vita e dalle persone, persino dalla moglie e dai figli, con una personalità infantile e un mondo affettivo vuoto e bisognoso di essere colmato, viene letteralmente trascinato da una adolescente, Dotty, che entra nella sua vita quasi come un'apparizione, in un viaggio senza meta e senza tempo in cui sarà coinvolta anche una bambina, Conny, sottratta piccolissima ai genitori da Dotty stessa in una delle sue folli azioni in cerca di cibo.
Vagheranno per cinque anni negli Stati Uniti, senza mai fermarsi se non per pochi giorni, vivendo di espedienti; la loro è una fuga da un eventuale arresto e dal niente e dal dolore che la loro vita ha rappresentato, senza che mai sia apparso uno spiraglio di serenità.
I tre si appoggiano l'un l'altro come naufraghi ad una zattera con poche probabilità di galleggiare.
La bambina li chiama mamma e papà, inevitabilmente si aggrappa a loro facendo di quella vita errabonda e sconclusionata una vita "normale", l'unica che riesce a conoscere e individuare come tale.
Il rapporto tra Aubrey e Dotty, iniziato come una fiaba malata, si sviluppa in un intreccio improbabile di attenzioni affettive, di paure e di tensioni individuali a volte condivise; lui ha un atteggiamento passivo, quasi di sottomissione ai comportamenti della ragazza, si lascia guidare e non partecipa alle scelte se non come mero esecutore; Dotty agisce in modo completamente istintivo, convulso e imprevedibile creando un vortice di eventi al limite dell'assurdo.
Sarà proprio per volontà della ragazza, pur essendo Wallace contrario, decidono di fermarsi in uno scalcinato bungalow che un altrettanto scalcinata famiglia affitta. In questo ambiente, dove presto saranno inseriti nella quotidianità del nucleo familiare, la desolazione si tinge del colore sporco dello squallore profondo, isterico, criminale, violento e malvagio.
Si instaurano delle dinamiche di dipendenza e complicità tra tutti, in cui la principale vittima è la piccola Conny che subisce tutto quello che accade, ma nulla, neanche una capacità decisionale di Aubry per salvare la situazione, riuscirà a sottrarli agli intrighi di Jiggy, equivoco personaggio che cercherà di sfruttare la situazione illecita in cui sono i tre sono invischiati, per far soldi. Gli eventi si incastrano, si sovrappongono per arrivare poi all'epilogo (così definito nel libro l'ultimo capitolo) dove, già accaduta ormai la conclusione della storia, è Dotty a parlare, in un finale che ricorda quello di Psycho di Hitchcock.
Un libro così è un'infiltrazione di desolazione lenta e inesorabile, non c'è via d'uscita, un momento liberatorio a contrastarla; si va avanti nella lettura sperando che succeda qualcosa a interrompere una sequenza di situazioni a dir poco assurde, ma i personaggi sembrano imprigionati in una gabbia che la vita e loro stessi hanno costruito e da cui non riescono a uscire. La loro umanità è nascosta nelle pieghe dei loro pensieri; personaggi marginali, che fanno parte delle vite abbandonate dai protagonisti, fanno intravedere altre sofferenze, altri mondi, altre malattie dell'animo. Il tutto è raccontato con una stile disadorno, essenziale, come dire semplicemente: anche questo può succedere nei meandri della vita ai margini dell'american way of life.
La mano aperta in copertina, inchiostrata di nero, come fosse un'immagine in negativo, e con la bandiera americana sovrapposta al nero sembra essere un monito o una resa, o l'ineluttabilità dell'essere statunitense, un'indentità talmente profonda da essere incisa nell'elemento più individuale di ognuno, le impronte digitali.
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