Una breve poesia, una considerazione sull'amore: un graffito ritrovato a Pompei, anonimo.
Mi è sempre piaciuta la calma profondità della poesia classica; e quel tono lieve di sentenza, colma di saggezza e dell'incontrovertibilità dell'evidenza.
Pompei mi è tornata in mente recentemente.
Dall'ultimo crollo, almeno, a cui avevo dedicato uno scritto-proposta. Mi è tornata in mente poiché, pochi giorni fa, è avvenuto - ovvio - un nuovo crollo.
Di crollo in crollo, di smottamento in smottamento, chissà cosa resterà di Pompei fra qualche tempo. Mura che hanno resistito due millenni sembrano ora di cartapesta. Viceversa, ministri dei Beni Culturali che sembravano di cartapesta (Sandro Bondi, dimessosi anche per le accuse seguite dopo il franare di una domus pompeiana) ora resistono tetragoni a qualsiasi rovina archeologica (Dario Franceschini). Parallelamente, alcuni giornali benpensanti che, nel 2010, eruttarono fuoco e lapilli come Vesuvio dello sdegno, ora assorbono la ferale notizia con atarassica noncuranza.
Il corpo elettorale, e l'opinione pubblica, al solito, tacciono. Ma questa è l'Italia.
Muoia chi d'amare non è capace,
E chi vieta l'amare due volte muoia.
Quisquis amat valeat.
Pereat qui nescit amare,
bis tanto pereat quisquis amare vetat
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