sabato 28 febbraio 2015

La poesia della domenica - Public Enemy, Combatti il potere


Prima ancora che uscisse su album (Fear of a black planet, 1990), Fight the power segnò il film di Spike Lee Fa' la cosa giusta, uscito l'anno prima.
Lo strepitoso balletto di Rosie Perez, guantoni alle mani, sui titoli di testa (vedi il video sottostante), al ritmo di Fight the power fu l'apice, anche ideologico, del movimento hip hop della costa est degli Stati Uniti; il culmine e il canto del cigno della vecchia scuola (old skool), in cui la coscienza di classe e di razza costituivano parte essenziale e irrinunciabile di testi e musica e vita.
Fu Afrika Bambaataa, fondatore della Zulu nation, a codificare quella controcultura: il djing, il writing (graffiti), il b-boying (breakdance) e l’mcing, incentrato sulla figura dell’mc, acronimo di master of ceremonies, ovvero, di fatto, il rapper.
L'hip hop si sostanziava del funky e delle rivendicazioni politiche degli anni Sessanta e Settanta (Black Panthers, Last Poets, MLK) e del primo superfunky di James Brown e Bettie Davis (la moglie di Miles), ma importante fu l'apporto della cultura giamaicana (il toasting, sorta di flusso vocale su base percussiva, privo di fratture vocali e di ritmo, denso di improvvisazioni e licenze, ma caratterizzato da una certa formalità strutturale: il rap, insomma).
I Public Enemy (Chuck D, Flavor Flav, Professor Griff, Terminator X) guardavano con favore ai disordini urbani, denunciando con durezza le storture del governo centrale, il razzismo sudista e borghese bianco (i rednecks, ma anche Elvis e John Wayne); ebbero a condividere le teorie separatiste dei Black Muslims di Louis Farrakhan: il tal modo negavano ogni patria all'ammicco liberal bianco o al compromesso sociale della rampante borghesia nera (se la prendono pure con la canzoncina rassicurante di Bobby McFerrin: Don't worry, be happy, non preoccuparti e sii felice); ordirono almeno tre album eccezionali, in  cui il ritmo innato del funky rap, buono per lo sberleffo e il comizio, diviene, nella reiterazione ossessiva e durissima delle frasi musicali, specchio della nevrosi metropolitana del black man.
Dopo di loro vennero Eminem, 50 Cent, Fugees e compagnia, ma la guerra era finita - e scrosciavano i soldi. 

1989, un numero, un'altra estate,
(cerca di capire)
il suono del batterista funky,
la musica colpisce il tuo cuore perché so che hai un'anima,
- fratelli e sorelle, hey -
ascoltate se ve lo state perdendo,
lo dico a tutti,
tenete il ritmo mentre canto,
date uno sguardo
per capire quello che io so,
mentre le fasce sono sudate,
e le rime e il ritmo vanno avanti,
dovete darci quello che vogliamo,
dovete darci quello di cui abbiamo bisogno,
il nostro diritto di parola è libertà o morte,
dobbiamo combattere il potere costituito,
fatemi sentire che dite
"Combatti il potere".

Siccome il ritmo è fatto per ballare,
quello che conta è che le rime
sian scritte per riempire il vostro animo,
adesso che vi siete accorti che gli orgogliosi sono arrivati alla meta,
dobbiamo pompare dal cuore le nostre opinioni
per farci forza,
è un inizio, un pezzo d'arte
rivoluzionare è fare un cambiamento, niente di strano
gente, gente, noi siamo uguali,
no, noi non siamo uguali,
perché non capiamo come vanno le cose,
quello di cui abbiamo bisogno è coscienza,
non possiamo fregarcene,
tu dici "Cos'è questo?"
il mio amato 'andiamo al sodo',
ginnastica mentale autodifensiva
su fannullone, sbrigati, vieni allo show,
dovete muovervi, sono i vostri ideali,
fate in modo che tutti possano vedere,
così potremo combattere il potere costituito,
fatemi sentire che dite
"Combatti il potere".

Elvis è stato un eroe per molti,
ma non per me, vedi,
pensa al razzista che è stato quell'imbecille,
manda a fanculo lui e John Wayne
perché sono negro e ne sono orgoglioso
sono pronto, sono eccitato e per di più elettrizzato
la maggior parte dei miei eroi non appare su nessun francobollo
prova a guardare indietro,
se controlli troverai solo rednecks per 400 anni
Don't worry, be happy
è stata la canzone numero uno,
dannazione, se lo dico mi prendi a schiaffi subito,
proprio qui, andiamo,
cosa dobbiamo dire
potere al popolo, subito, ora,
per far vedere a tutti
che si può combattere il potere costituito.

"Combatti il potere".

Traduzione di Mc Mic e John 2CO .

venerdì 27 febbraio 2015

Scrivere di sé: "AntoloGaia" di Poropora Marcasciano

"Scrivere di sé" è il titolo che Monteverdelegge ha scelto di dare al gruppo di lettura della stagione 2014-2015. Un tema che ricorre in molte delle novità in uscita: tra queste Antologaia di Porpora Marcasciano, di cui, grazie alla disponibilità delle Edizioni Alegre, proponiamo qui sotto uno stralcio.

Porpora Marcasciano
Molto di quello che succedeva in giro per il mondo restava sconosciuto ai più, la stragrande maggioranza delle persone non ne sapeva niente o non riusciva a decodificare i segni di quella rivoluzione. Nelle metropoli le micce si erano accese e ne avevamo sentore dalle scintille provenienti dal Vietnam, dalla Primavera di Praga, dalla Bolivia, da Chicago, da Woodstock. Io lo intuivo ma niente e nessuno me lo aveva comunicato con chiarezza, si percepiva nell’aria ma non c’era condivisione. La cosiddetta “controinformazione” correva su canali particolari, più difficili da scoprire, non esistevano i moderni Google su cui digitare “liberazione gay” o “trans” per poter trovare tutto quello che c’era da sapere. Anche il termine “omosessuale” non era usuale e, riprendendo il titolo di un opuscolo redatto dal FUORI!, era una «pratica innominabile». La prima volta che ne sentii parlare pubblicamente fu nel novembre 1975 in seguito all’omicidio di Pier Paolo Pasolini. La televisione faceva delle allusioni, più che vere e proprie dichiarazioni, sulla sua omosessualità accertata o presunta. Fu proprio in occasione dell’assemblea scolastica indetta per il suo omicidio che, sostenuto dai compagni del collettivo, feci il mio primo coming out.
Alle assemblee di solito partecipavano quasi tutti gli studenti, esclusi quei pochi che non erano interessati o i fascistelli che restavano una sparuta minoranza. Quel momento me lo ricordo bene, ero emozionatissimo perché parlare in pubblico per me era un dramma. Un compagno del collettivo, introducendo l’argomento all’ordine del giorno, disse che a parlare dell’omicidio di Pasolini sarebbe stata una persona che viveva direttamente l’esperienza dell’omosessualità. Non ricordo le parole esatte e neanche le argomentazioni che portavano avanti i relatori che mi precedettero, né ricordo quello che dissi io, tanto ero agitato ed emozionato. Ricordo solamente che uno dei fascisti partecipò incuriosito a quell’assemblea dicendo qualcosa come «…ora pure i froci devono parlare» e a quel punto fu invitato con maniere non molto gentili ad uscire.

martedì 24 febbraio 2015

MVL teatro: l'ultimo lavoro di Ronconi


Maria Cristina Reggio
Oggi a Perugia si svolgono i funerali di Luca Ronconi, grande regista teatrale italiano di cui non è necessario scrivere presentazioni e che, andandosene, ci lascia durante le repliche del suo ultimo lavoro sulla Trilogia di Lehman, la saga della famiglia protagonista della più famosa bancarotta del nuovo millennio (dal testo omonimo di Stefano Massini, pubblicato da Einaudi, 2014). Si possono dare quindi alcune informazioni a chi volesse ricordare uno tra i più grandi registi teatrali proprio andando a vedere al Piccolo di Milano questo spettacolo, suddiviso in due parti,  LehmanTrilogy - Prima parte e Seconda parte (attualmente in scena fino al 15 marzo e interpretate da uno strepitoso cast di attori) o a chi interessasse leggere due articoli pubblicati rispettivamente il 22 febbraio su Il manifesto e il 23 su Il foglio: il primo, Ronconi e il pessimismo della ragione, è a firma di Gianfranco Capitta,  e contiene una ricca intervista  in cui il regista parla proprio del suo ultimo lavoro, mentre il secondo, Addio a Luca Ronconi, venerato maestro, firmato dalla Redazione, rimanda a un pezzo del 2011 di Jacopo Pellegrini, Venerato maestro, e racconta le passioni del regista, esperto non solo di teatro e letteratura, ma anche di musica e melodramma,  impegnato allora e fino alla fine dei suoi giorni come maestro di recitazione in uno dei corsi di perfezionamento per giovani attori da lui tenuti presso il suo Centro Teatrale Santacristina in Umbria.
Ancora qualche notizia trovata invece sul sito dell'Ansa, per chi volesse invece, comodamente e senza muoversi da casa, fare un ripasso sull'imponente lavoro svolto da Ronconi nel teatro.  Su Rai Storia si terranno infatti due maratone notturne: una domani, mercoledì 24 marzo, a partire  dalle 23, con una lunga notte ''Speciale Luca Ronconi - Una storia lunga ottanta anni'' (con un'intervista di Franco Marcoaldi al maestro) e una seconda giovedì 25, sempre alle 23 sullo stesso canale, con ''Appunti di lavoro - Ronconi alla prova'' a cura di Ariella Beddini che ha seguito il regista al lavoro e ha anche intervistato molti degli attori che hanno lavorato con lui. Tra questi un bell'intervento di Mariangela Melato, rilasciato non molto prima della sua scomparsa.

domenica 22 febbraio 2015

La poesia della domenica - Li Qingzhao, Lei scende dall'altalena ...

Ci siamo già occupati, in modo sommario, di Li Qingzhao in un precedente post (cliccate qui per leggerlo).
Questa di seguito è un'altra sua poesia, inedita in italiano.
Una poesia sul candore di una fanciulla, semplice ma densa di un dolce erotismo; appartiene, forse, alla sua produzione giovanile.
Su Li Qingzhao è difficile aggiungere qualcosa; per comprenderla a pieno occorrerebbe aver studiato gli ideogrammi del cinese medioevale, la Cina e le usanze cinesi (tarda epoca Song), la calligrafia e la pittura, la storia, il modo di preparare il tè, l'architettura palaziale, i cibi, gli animali e la vegetazione e persino il clima di quella terra immensa. Ci vorrebbero almeno due vite; io ne ho una e due terzi son già andati: accontentiamoci dunque.
Mentre leggo Li Qingzhao mi vengono in mente le parole accorate di Pablo Neruda sull'Italia:

"Ai nostri occhi di poeti arrivati da poco alla cultura, venuti da paesi in cui le antologie cominciano con i poeti del 1880, faceva impressione vedere nelle antologie italiane la data del 1230, o del 1310, o del 1450, e fra queste date le terzine abbaglianti, l'appassionata bellezza, la preziosità e la profondità degli Alighieri, dei Cavalcanti, dei Petrarca, dei Poliziano".

Il cileno Neruda s'impressionava a leggere 1310 accanto al nome di Dante o Cavalcanti; io m'impressiono a leggere 1084 accanto alla data di nascita di Li Qingzhao: quando ancora, in Europa, le letterature nazionali non esistevano o cominciavano appena a balbettare, in Cina una poetessa poteva ordire questi versi squisiti - versi di una letteratura già matura, beninteso, talmente matura e piena da permettersi finanche un afflato decadente.
Ex Oriente lux.


Lei scende dall'altalena,
e languida liscia le piccole morbide mani,
la veste cedevole è umida d'un leggero sudore -
un esile fiore che tremola per la rugiada.

Mentre scruta timida lo straniero, veloce s'allontana,
I piedi in semplici calze -
la forcina d'oro smarrendo.
Poi si ferma, s'appoggia a un cancello,
e guarda indietro,
sospirando, come a odorare una verde prugna.

venerdì 20 febbraio 2015

Mvl cinema: Birdman (o l'imprevedibile virtù dell'ignoranza)

Birdman (or the unexpected virtue of ignorance), USA, 2014
Regia: Alejandro González Iñárritu
Interpreti: Michael Keaton, Edward Norton, Naomi Watts, Emma Stone, Amy Ryan, Andrea Riseborough
Voto: 5,5

Riggan Thomson (Michael Keaton) è un attore in rotta con Hollywood. Reduce dai successi miliardari di Birdman (un supereroe), si ritrova alla mezza età, in cerca di riscatto dalla grossolana popolarità del passato: tenta, infatti, la rischiosa messa in scena dei racconti di Raymond Carver. Nonostante gli attriti con il secondo attore in scena, Mike Shiner (Edward Norton), la figlia (Emma Stone) e l'amante (Andrea Riseborough); nonostante il personaggio di Birdman lo perseguiti nelle sue fantasie come un diavolo tentatore ("Ritorna a Hollywood!", gli sussurra), egli saprà riscattarsi e rinascere (forse) a una nuova carriera.
Birdman è un film scorrevole e, a tratti, impeccabile. Anzi: scintillante e godibile. Quanto di tale impeccabilità sia dovuta alla bravura del regista oppure all'evoluzione della tecnica cinematografica (effetti speciali, movimenti di macchina) è materia da trattare a parte, magari con un esperto del settore.
Tale eccellenza non può definirsi formalismo, o calligrafismo; possiamo ardire l’accusa di brillante superficialità.
La storia, e i personaggi, tutti, non rilevano psicologicamente, né simbolicamente, né possono dirsi caratteri o tipi universali. No. Essi son piuttosto il coagulo di luoghi comuni cinematografici e televisivi come li abbiamo imparati a riconoscere (a sazietà e memoria) in film e telefilm americani degli ultimi vent'anni, almeno. I contrasti con l'amante o col gradasso giovin attore, i rapporti con la figlia e l'ex moglie, l'assistente-amico, l'attore cane, i dubbi sulla mezza età, l'alcolismo, il critico carogna, la grossolanità del mondo hollywoodiano: c'è tutto. Ritroviamo queste immancabili figurine come vecchi amici, confortati dall'eterno ritorno dell'eguale. Persino le strade di New York ci sembrano, ormai, più familiari di quelle di Firenze o Palermo.
Queste figurine topiche (la figlia problematica e drogata: chi l'avrebbe mai detto?) interagiscono fra di loro per tutto il film inscenando una serie di minuscole scene madri: quelle che, a dirla tutta, rendono gradevole la pellicola. Queste scene (o scenate) si susseguono senza alcuna logica drammaturgica; anzi, sono spesso gratuite: in poco meno di due ore il protagonista spacca la testa all'attor cane, si redime, lascia l'amante, si rimette con la moglie, fa pace con la figlia, sconfigge i fantasmi del passato blockbuster, riadatta alla grande Carver, converte la severa critica del NYT alla propria causa, sbevazza, fa a cazzotti con l'attor giovane; e quest'ultimo, dal canto suo, svillaneggia tutti, lascia la sua amante (Naomi Watts), supera problemi erettili, scopa con gusto la figlia del protagonista; l'amante del protagonista e l'amante del giovin attore, invece, cornute e mazziate, si consolano (forse) safficamente. Ho dimenticato altro?
Una vera orgia di colpetti di scena, da estetica televisiva, dove i nessi di causalità drammatica son sempre un impaccio. Può mancare il lieto finale? No, non manca (comunque lo si voglia interpretare).
E le stoccate contro l'industria di Hollywood? Si rivelano assai bonarie, adatte a quella cinefilia che gode nel ravvisare riferimenti del cinema sul cinema.
Privo di asperità, di dolore, di aspetti comici, di qualsivoglia profondità, Birdman è una commedia fintamente cinica e assolutamente rassicurante che esaurisce se stessa nella semplice visione. Non c'è doppio fondo, insomma; una eco, un rimando, un messaggio, un non detto.
Ben girato, ben diretto, e condito con la salsa inevitabile del turpiloquio sessuale (Norton alla Watts: “Leccami le palle”; la Watts a proposito della relazione con Norton: “Condividiamo una vagina” e via così): un ardire che, sul lungo periodo, si rivelerà, come sempre, elemento inessenziale e caduco, ma, sul breve, ha il vantaggio di stimolare un brivido di piacere cool (cool!) lungo le dorsali dello spettatore medio-alto (midcult), decretando il successo del prodotto.
Un prodotto che, pur di corto respiro, funziona. E continuerà a funzionare sino agli Oscar.
Dopo gli Oscar funzionerà un po' meno.
Fra due anni calerà ancora un pochino.
Fra cinque anni parecchi entusiasti della prima ora l’avranno quasi rimosso.
Fra dieci, quando lo rivedremo interrotto dalle pubblicità su Italia 1, Birdman sarà ridiventato quello che è sempre stato: un film che asseconda l'estetica corrente, tra blanda eversione (altrimenti qualcuno si offende) e furberia (gli ammicchi fantastici, il vago spiritualismo).
Di tutto questo clamore resterà, insomma, un po' di cenere.
Inutile inveire: basta aspettare.
Sicuramente notevole, invece, la colonna sonora del batterista Antonio Sanchez (esclusa dagli Oscar) che dà il ritmo a tutta la pellicola. (g.c.)

giovedì 19 febbraio 2015

Scherzi della memoria e prodigi della rete

Marta Ancona
Cari amici di Monteverdelegge e di Plautilla, vorrei raccontarvi una piccola storia che mi ha visto involontaria protagonista.
Qualche settimana fa squilla il telefono fisso di casa mia. Guardo sul display come sempre per evitare di rispondere a proposte di acquisto le più varie e mi rendo conto che si tratta di un cellulare. Non lo riconosco, non è inserito nella rubrica, quindi non può apparire nessun nome. Nonostante tutto decido di rispondere. Magari è qualcuno che conosco, un amico, un’amica. Sul fisso registro solo i fissi, nessun cellulare.
“Lei è la signora Marta Ancona?” “Sì, sono io, con chi parlo?” Ecco, è successo, ho fatto male a rispondere, accidenti! “E’ lei che ha scritto un racconto sul blog di Monteverdelegge che parla della scuola elementare XXIV Maggio?” Non può essere un venditore “Sì, sono io” replico più distesa. “Ecco, allora noi siamo stati compagni di classe, io sono Ugo Lodato” dice Ugo con voce gentile e timida, “e ho anche le foto di classe”.
“Ma lei abita a Monteverde ed è socio di Monteverdelegge?” “No, non ora, ho vissuto a due passi dalla XXIV Maggio, ora abito fuori Roma” “Scusi, ma allora come è arrivato al mio racconto?” “In rete ho cercato notizie sulla scuola e sono arrivato al blog” “E il mio numero?” “Pagine bianche” “Ah, ecco…”
“Ugo Lodato…mi spiace, ma non ricordo affatto il suo nome...io ho frequentato solo la quarta e la quinta, venivo da Napoli…” “E io ho fatto solo fino alla quarta, ho saltato l’ultima classe” “Come mio fratello, dico, e allora è forse perché siamo stati insieme solo un anno che non ho presente il suo nome”. Ugo passa a nominare alcuni bambini segnalati nel mio vecchio racconto. “Claudio Piperno, aveva gli occhi azzurro verdi, la pelle olivastra, era così carino, con quella faccia simpatica, arguta, un po’ da teppista”
Già, Claudio, lo ricordo così bene! Sono emozionata, che stranezza mi capita, miracoli della rete, del blog, di questo tempo. Continuiamo a chiacchierare, cerchiamo di ricostruire, lui mi parla di una sua fiamma, una cotta tremenda, dice, tutto sembra combaciare, la stessa maestra indimenticabile, la maestra Argenti. Poi aggiunge un dettaglio apparentemente non necessario, siamo stati compagni di classe e quindi abbiamo la stessa età. “Io sono del ’46”, dice… “Ah, allora non è possibile, dico, c’è un errore, io sono più vecchia di cinque anni, di un intero ciclo scolastico!”

sabato 14 febbraio 2015

La poesia della domenica - Ovidio, Le strappai la tunica ...

Scrive il latinista Luca Canali: "I suoi capolavori, gli Amores ... sono stupendi segni di poesia che unisce superficialità galante, assoluta esigenza formale, senso acutissimo del divertimento dei sensi e insieme dell'intelligenza, spregiudicatezza di costumi, ma senza alcuna concessione alla scurrilità, o peggio, alla oscenità; e sterminata cultura mitologica senza cadute nell'erudizione, prodigiosa fantasia e qualità formale, e soprattutto un gusto raffinato e al tempo stesso quasi infantilmente incantato per le favole del mito.
Con Ovidio siamo al largo del vasto mare delle emozioni e dei giochi sessuali. Specie la raccolta elegiaca degli Amores costituisce una sorta di catalogo di rapporti erotici raccontati con assoluta disinvoltura ... l'esplicita sensualità delle elegie ovidiane trova una sorta di levitazione interna nella sempre sottile ironia e nella originalità delle soluzioni linguistiche".


Le strappai la tunica; trasparente non era di grande impaccio, 
Ella tuttavia lottava per restarne coperta;
Ma poiché lottava come una che non vuole vincere,
Rimase vinta facilmente con la sua stessa complicità.
Come, caduto il velo, stette davanti ai miei occhi,
Nell'intero corpo non apparve alcun difetto.
Quali spalle, quali braccia vidi e toccai!
La forma dei seni come fatta per le carezze!
Come liscio il ventre sotto il petto sodo!
Come lungo e perfetto il fianco, e giovanile
La coscia. A che i dettagli? Non vidi nulla di non degno
Di lode. E nuda la strinsi, aderente al mio corpo.
Chi non conosce il resto? Stanchi ci acquietammo entrambi.
Possano giungermi spesso pomeriggi come questo!"

venerdì 13 febbraio 2015

Il book club di Zuckerberg, le vanghe italiane

Proponiamo qui (con una nota finale di aggiornamento) un articolo uscito a gennaio su Pagina99 e dedicato al gruppo di lettura online varato all'inizio di quest'anno su Facebook da Mark Zuckerberg. Contrariamente alle previsioni, pare che il gruppo, arrivato ormai al terzo titolo, stenti a decollare. Inutile dire che se Zuckerberg vorrà chiedere qualche suggerimento a persone capaci, qui dalle parti di Monteverde avrà solo l'imbarazzo della scelta. 
Scherzi a parte, coordinare un gruppo di lettura (a maggior ragione se è virtuale e si dirige a migliaia di persone) è un'impresa non da poco. Per questo, all'interno del progetto "Lettori in movimento", con cui la nostra associazione è stata tra i vincitori del bando "Io leggo" della Regione Lazio, abbiamo previsto una serie di seminari per tutti coloro - insegnanti, bibliotecari, lettori appassionati... - intendano aprire un gruppo di lettura o comunque adoperarsi per diffondere l'amore per la parola scritta. Ne riparleremo.

Maria Teresa Carbone
Forse non lo ha scoperto in questi giorni, ma Mark Zuckerberg ha inaugurato il nuovo anno dichiarando pubblicamente (chiaro, su Facebook) che per lui leggere libri “è un'attività intellettualmente gratificante”, dal momento che “i libri ti consentono di esplorare a fondo un tema e di immergerti in esso in un modo molto più completo di quanto oggi faccia la maggior parte dei media”. La conseguenza di questa folgorazione è che Zuckerberg si ripromette di modificare la sua “dieta mediatica” dando maggiore peso alla lettura. E nell'immediato, come grande proposito per il 2015, ha annunciato che nei prossimi mesi leggerà un libro ogni due settimane.
Non solo: per evitare che qualcuno pensi a una furbesca vanteria e per contagiare il maggior numero possibile di persone della sua passione per i libri, Zuckerberg ha inaugurato un gruppo di lettura, quasi inutile dirlo di nuovo, su Facebook, intitolato A Year Of Books, a cui chiunque può partecipare, a patto naturalmente “di avere letto il libro scelto di volta in volta e di avere qualcosa di significativo da dire”.

giovedì 12 febbraio 2015

Stampa in maschera, l'intelligenza delle mani

Else è un laboratorio di stampa serigrafica che realizza e pubblica albi illustrati fatti a mano e prodotti artigianali in serie limitate, frutto della creatività e della cultura del gruppo. Else propone inoltre laboratori di stampa serigrafica con bambini e genitori, insegnanti ed educatori, giovani e adulti, artisti e illustratori. Percorsi intorno al libro come avventura e spazio concreto tra la copertina e le pagine: testa, pancia, piedi e dorso. I libri come segni da cogliere: impronte nel passato, tracce del presente, visioni sul futuro. Storie da raccontare, stampare e rilegare attraverso un fare artigianale, con l’intelligenza delle mani e strumenti conviviali perché alla portata di tutti. La serigrafia è la tecnica, la macchina serigrafica è lo strumento conviviale, in quanto esalta l’energia e l’immaginazione personale e di gruppo, ed estende il raggio d’azione di ciascuno all’interno di una dimensione creativa e lavorativa.


Domenica 15 febbraio 2015, dalle 16:00 alle 20:00

Else, Orecchio Acerbo e Vanvere 


vi aspettano per stampare in serigrafia, ritagliare e montare delle specialissime maschere di Carnevale realizzate da sei illustratori d'eccezione: Mariana Chiesa, Mariachiara Di Giorgio, Giovanna Ranaldi, Simone Rea, Maryam Sajadian, Daniela Tieni

Presso la serigrafia Else in Via di Tor Pignattara 142, Roma
Gradita prenotazione | else.edizioni@gmail.com



lunedì 9 febbraio 2015

Mvl Cinema: American sniper

American sniper (Stati Uniti 2014)
Regia: Clint Eastwood
Interpreti: Bradley Cooper, Sienna Miller, Luke Grimes, Jake McDorman, Kyle Gallner

 
Patrizia Vincenzoni
L'ultimo lavoro presente nelle sale cinematografiche del regista di Clint Eastwood prende spunto dall'autobiografia di Chris Kyle, l miglior cecchino di tutti i tempi della storia dell'esercito americano, soprannominato la 'leggenda': le cronache ufficiali certificano centosessanta vittime centrate dal suo ineguagliabile, micidiale, coordinamento fra occhio-respiro-grilletto.
American sniper non è un film di guerra, ma sulla guerra: le quattro campagne in Iraq ale quali Kyle ha partecipato e le azioni di guerriglia nelle quali è utilizzato come cecchino per coprire l'avanzata dei commilitoni, casa per casa, ci fanno vedere, attraverso il mirino della sua arma, quello che ogni sparo e ogni traiettoria di pallottola determina. Il realismo della finzione allestisce verosimilmente teatri di battaglia e di morte, traduzione accreditata di ciò che vuol dire fare la guerra, mostrando attraverso alcune sue procedure quelli che eufemisticamente definiamo gli effetti anche collaterali su persone e soldati. Il film non sembra riproporre appartenenze fideistiche politico­culturali che facilmente potrebbero essere attribuite al regista, in quanto repubblicano come appartenenza politica. Eastwood costruisce un racconto che trova nell'estetica disadorna che gli è propria un complemento essenziale per indicare, mostrando la parabola di vita di un uomo, di una famiglia, di un modo di essere.
Il tema e il contesto proposti sono tristemente attuali e attraversano l'età contemporanea in modo globale, e il film può contribuire a scuotere quel crescente stato di anestesia cognitiva ed emotiva che immobilizza l'esercizio critico in un'apatia opacizzante che rischia di sopraffarci.
Incontriamo Kyle bambino sottoposto all'addestramento paterno ,brutale, riguardo a cosa significa essere uomo nella comunità. Tale modello educativo riduce la complessità del rapporto uomo-società-­cultura ad una pedagogia assolutista che trova nell'aggressione 'difensiva' la leva per ripristinare il 'bene'. Il percorso iniziatico del bambino per diventare uomo è segnato dal possesso di questo modello autoritario che cerca in una edizione della Bibbia, sottratta durante la celebrazione della messa, una sorta di oggetto transizionale le cui pagine però restano intonse, mai sfogliate, un sapere chiuso, inesplorato.
La vita di Kyle e l'ideologia semplicistica e manichea cui aderisce, trova negli eccidi dell'ambasciata americana in Kenya e nell'attacco alle Torri Gemelle del 2001 uno spunto e una ragion d'essere per realizzarsi. Entrato nei Navy Seals, il corpo d'elite della Marina, partecipa a quattro missioni in Iraq e, attraverso il suo occhio attaccato al mirino (mentre protegge i commilitoni impegnati in operazioni di guerriglia) possiamo osservare anche noi lo svolgersi degli eventi e i luoghi nei quali accadono. Sono luoghi e case le cui mura ferite rivelano a malapena la vita che le abitava. Queste vestigia di battaglie segnano, ridefinendoli, spazi di abitabilità e di percorrenza nei quali la vita nel suo svolgersi anche quotidiano è costantemente derubata nel suo diritto a viversi, a realizzarsi. La presenza dei bambini, come quello ucciso da Kyle mentre tenta in strada di lanciare una bomba a mano passatagli dalla madre, così come le altre azioni e scontri di fuoco, stabiliscono ulteriormente in quali teatri dell'orrore il film ci vuole portare, cominciando dalla violenza che percorre l'infanzia alla quale Kyle è stato educato, come l'immagine iniziale del film propone. Crediamo che Eastwood voglia convergere proprio lì, nell'orrore inaccettabile verso la guerra, e questo al di là delle appartenenze politiche e di ogni facile patriottismo del quale erroneamente si può tacciare il film. Lo sguardo del cecchino, chiuso nel mirino e nella tragica decisione di uccidere - sempre tragica, anche quando riconosce nell'altro un probabile nemico - si alterna a scorci di vita vissuta, dall'infanzia a quel momento; questa scansione temporale e narrativa permette di integrare il tempo presente con lo scorrere della sua storia, personale e familiare.
Non è possibile tracciare una soglia senza disegnare anche l'altro lato: l'esperienza ripetuta secondo le 'liturgie' ossessive delle battaglie lasciano comunque segni, rumori, trasecolamenti, angoscia, paura anche nel territorio 'al di qua' del mirino, 'pallottole di ritorno' che bucano in Kyle quel senso eroico di appartenenza identitaria alla famiglia, al gruppo, alla nazione, impedendogli di vivere pienamente e consapevolmente anche il legame con la moglie e con i propri figli.
L'uomo, il marito, il padre cedono progressivamente il proprio posto al personaggio leggendario che è diventato e anche quando non imbraccia l'arma le sue attitudini percettive e le risposte seguono uno schema abituale, automatizzato, sintonizzate ossessivamente sul campo d'azione di guerra.
Questa sovrapposizione mentale impedisce anche una comunicazione affettiva reale, così come sembrano sottolineare in tal senso le interruzioni alle telefonate della moglie dovute a momenti altamente ed improvvisamente critici. Dopo aver sentito di essere giunto al punto di rottura, Kyle torna a rivestire gli abiti civili e dare (darsi assistenza) ai reduci veterani che in senso fisico e psichico presentano le ferite profonde e difficilmente rimarginabili lasciate dalla guerra, come possiamo ulteriormente constatare.
Il film sopravanza temporalmente la stesura definitiva del libro che non può contenere la morte di Kyle per mano di un reduce affetto da sindrome post-­traumatica da stress, mentre si trovavano in un poligono di tiro.

domenica 8 febbraio 2015

La poesia della domenica - Anonimo, Viva bene colui che ama

Una breve poesia, una considerazione sull'amore: un graffito ritrovato a Pompei, anonimo.
Mi è sempre piaciuta la calma profondità della poesia classica; e quel tono lieve di sentenza, colma di saggezza e dell'incontrovertibilità dell'evidenza.
Pompei mi è tornata in mente recentemente.
Dall'ultimo crollo, almeno, a cui avevo dedicato uno scritto-proposta. Mi è tornata in mente poiché, pochi giorni fa, è avvenuto - ovvio - un nuovo crollo.
Di crollo in crollo, di smottamento in smottamento, chissà cosa resterà di Pompei fra qualche tempo. Mura che hanno resistito due millenni sembrano ora di cartapesta. Viceversa, ministri dei Beni Culturali che sembravano di cartapesta (Sandro Bondi, dimessosi anche per le accuse seguite dopo il franare di una domus pompeiana) ora resistono tetragoni a qualsiasi rovina archeologica (Dario Franceschini). Parallelamente, alcuni giornali benpensanti che, nel 2010, eruttarono fuoco e lapilli come Vesuvio dello sdegno, ora assorbono la ferale notizia con atarassica noncuranza.
Il corpo elettorale, e l'opinione pubblica, al solito, tacciono. Ma questa è l'Italia. 

Viva bene colui che ama.
Muoia chi d'amare non è capace,
E chi vieta l'amare due volte muoia.

Quisquis amat valeat.
Pereat qui nescit amare,
bis tanto pereat quisquis amare vetat

venerdì 6 febbraio 2015

Salvate il soldato Erri

G. Luca Chiovelli

"Nel settembre 2013, la LTF, ditta francese costruttrice della linea TAV Torino-Lione, annuncia una denuncia contro lo scrittore Erri De Luca, per le dichiarazioni rese all’Huffington Post Italia e all’Ansa. La denuncia viene effettivamente depositata il 10 settembre 2013 presso la Procura della Repubblica di Torino … il 5 giugno 2014 si è svolta la prima udienza preliminare, a porte chiuse. Il 9 giugno 2014 viene stabilito il rinvio a giudizio, per il 28 gennaio 2015. L’accusa è di aver ‘pubblicamente istigato a commettere più delitti e contravvenzioni’."

Questo il resoconto, parziale, ma scarno ed esatto, degli antefatti che hanno causato il rinvio a giudizio dello scrittore Erri De Luca.
Il processo è, perciò, in pieno svolgimento.
Ho precise opinioni su Erri De Luca, quale artista e uomo.
Ne ho altrettali, ben radicate, sull'opera comunemente conosciuta come TAV, acrostico di Treno Alta Velocità (tratta ferroviaria Torino-Lione), oggetto di contrasti durissimi.
Queste opinioni e convincimenti, tuttavia, qui non valgono; le metto tra parentesi, le ignoro; non servono ai fini della valutazione dell'episodio in esame, ovvero il rinvio a giudizio di uno scrittore e intellettuale italiano per alcune righe di intervista.
Spero che anche voi deponiate tali pregiudizi.
Ed ecco il casus belli, l'intervista di Erri De Luca all'Huffington Post 1 settembre 2013. Versione integrale.

Erri De Luca, ha ragione il procuratore capo di Torino quando paventa il terrorismo No Tav?
Caselli esagera.
Forse esagera, ma in macchina i due ragazzi arrestati avevano caricato molotov ...
(sorride ironicamente) ... Sì, pericoloso materiale da ferramenta. Proprio quello che normalmente viene dato in dotazione ai terroristi. Mi spiego meglio: la Tav va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti. Nessun terrorismo.
Dunque sabotaggi e vandalismi sono leciti?
Sono necessari per far comprendere che la Tav è un'opera nociva e inutile.
Sono leciti anche quando colpiscono aziende che lavorano per l'Alta Velocità come quella di Bussoleno, chiusa per i continui danneggiamenti? Non si rischia un conflitto tra lavoratori e valligiani?
La Tav non si farà. È molto semplice.
La posizione è chiara. Ma è antitetica a quella presa dal governo.
Non è una decisione politica, bensì una decisione presa dalle banche e da coloro che devono lucrare a danno della vita e della salute di una intera valle. La politica ha semplicemente e servilmente dato il via libera.
Di questo passo, afferma Caselli, arriveremo al terrorismo. Lei invece quale soluzione propone?
Non so cosa potrà succedere. Mi arrogo però una profezia: la Tav non verrà mai costruita. Ora l'intera valle è militarizzata, l'esercito presidia i cantieri mentre i residenti devono esibire i documenti se vogliono andare a lavorare la vigna. Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l'unica alternativa.
Politicamente come si risolve?
Arriverà un governo che prenderà atto dell'evidenza: la valle non vuole i cantieri. E finalmente darà l'ordine alle truppe di tornare a casa.

Questo l’intervista. Ed ecco l'articolo del codice penale (art. 414) di cui si sostanzia il corpo dell'accusa.

“Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione:
1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a duecentosei euro, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni”. Et cetera

Per istigatore s'intende colui che suscita e rafforza in altri individui specifici propositi criminosi.

Spiega, infatti, il magistrato Andrea Padalino: "Quell’intervista aveva la capacità di suscitare dei comportamenti, che poi in concreto si sono verificati ...".

E poi aggiunge, con un velo di sarcasmo:

"[De Luca] diceva che quelle cesoie servivano. È un purista della lingua e sa bene usare l’imperfetto. Si riferiva a un’azione passata mentre alcuni antagonisti stavano per andare a tagliare le reti. Lui dice che quellazione deve continuare, è questo il senso di quell’imperfetto".

Abbastanza chiaro. Ci si potrebbe dilungare in considerazioni da leguleio sull'apologia di reato o l'accordo per commettere reati (art 115 C.P). Sarebbe bello spaccare il capello in quattro e andare avanti per giorni a parlare di nulla.
Voglio solo notare questo: si può essere d'accordo con i pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo; e col GUP (giudice udienze preliminari) Roberto Ruscello che ha rinviato De Luca a giudizio.
Le accuse sembrano apparentemente razionali, se non fondate; molto più convincenti, apparentemente, dell'autodifesa di Erri De Luca, che accampa, quale discolpa, le consuete e fruste dichiarazioni a petto nudo sulla libertà d'espressione.
Eppure questo processo è una ingiustizia somma. Anzi: una vergogna.
Lo affermo esplicitamente: è giusto e sacrosanto manifestare, in qualsiasi forma, a favore dell'assoluzione di Erri De Luca; è giusto e sacrosanto ribadire che una sua eventuale condanna, a una pena pur minima, costituirebbe, di fatto e simbolicamente, uno scandalo ripugnante.
Perché? Perché ritengo che chiunque abbia una pur pallida contezza della situazione politica italiana non può non avvertire (sulla scorta di una sincera analisi civile e intellettuale) che tale vicenda è il frutto abnorme di una relazione fra Stato e cittadino basata sulla protervia e l’intimidazione.
Per una serie di motivi.
Anzitutto la sproporzione del volume di fuoco. Da una parte un semplice individuo, dall'altra la macchina burocratica e giudiziaria dello Stato Italiano che muove dalle accuse di una multinazionale.
E poi il contesto. "Accusare un uomo di omicidio quaggiù in Vietnam era come fare contravvenzioni per eccesso di velocità alla 500 Miglia di Indianapolis", afferma Sheen/Willard in Apocalypse now a proposito della sua missione contro Brando/Kurtz, colpevole solo di dire la verità e uccidere il prossimo senza le menzogne della retorica patriottarda. Accusare di istigazione a delinquere uno scrittore? In Italia, nel 2015? Con l'intera penisola nelle mani di associazioni a delinquere, ormai tranquillamente in osmosi col mondo produttivo/industriale e politico/amministrativo politico? Richiedere il rigore della legge, in tal caso, e nella situazione italiana attuale, significa essere ai sacrifici umani.
E ancora il contesto: quante istigazioni a delinquere abbiamo sentito, in Parlamento, nei consigli locali, sui giornali, in televisione, nelle bacheche di commento online, negli ultimi vent'anni? Scioperi fiscali, proiettili per magistrati, vilipendi? Sono stati puniti?
Ma c’è una considerazione che più mi preme.
Un rischio che forse è già realtà.
È possibile che il processo a Erri De Luca non sia che una ritorsione della Ragion di Stato? Che il Moloch repressivo-giudiziario si sia mosso esclusivamente perché alcuni individui dissentono dallo spirito dei tempi? Dal pensiero unico economico-finanziario?
Se il Potere (uso questa parola generica e goffa per pura comodità) ritiene un'opera o un comportamento o una legislazione necessari (come l'intervento nella guerra dei Balcani o il Ponte  sullo Stretto o la dismissione del patrimonio pubblico, ad esempio), Esso, tramite la macchina giudiziaria e statale, potrà bloccare o scoraggiare qualsiasi tentativo di opposizione a tale Direttiva Somma o Ragion di Stato. Il ginepraio giurisprudenziale, la forza dell'apparato, si prestano a questo. Chiunque si opponga (con successo o forza crescente) a tale Ragione, a tale fabula dominante, finirà nel tritacarne. Basta aspettare il dissidente come fa il cacciatore con la selvaggina di passo. Chi, viceversa, viola le stesse regole, ma è ritenuto innocuo, potrà tranquillamente scapolarsela.
Erri De Luca ha, forse, istigato a delinquere (e il rinvio a giudizio è, perciò, forse, formalmente impeccabile), ma il prezzo che egli paga o, forse, pagherà non è dovuto alla precisa violazione di articoli del codice, ma alla sua azione contro la Ragione di Stato (che, poi, non coincide certo con le magnifiche sorti dell’Italia, ma solo di alcune lobby finanziarie).
Erri De Luca è una vittima del Potere, ostacolato nel suo puro dispiegarsi, al di là degli interessi comuni.
Per questo deve essere assolto.

* * * * *

En passant è bello notare la quasi completa assenza del sedicente ceto intellettuale italiano dal dibattito.
Mai visti elementi più mediocri, grigi, conniventi e neghittosi.
Alla faccia dell'engagement! Ovviamente nessuno esige un intervento degli intellettuali italiani a favore di Erri De Luca; se ne esige, invece, uno qualunque: magari a sfavore.  
E pensare che fino a qualche settimana fa questi eroi facevano a gara per infilarsi una trombetta nel culo e spetezzare sulla libertà di espressione e di satira.
Ora su tutte le vette è pace.

Mota quietare et quieta non movere, per carità.

mercoledì 4 febbraio 2015

Una macchinetta per il caffè a Teramo. Gadda in viaggio

In attesa della conversazione con Andrea Cortellessa sul Giornale di guerra e di prigionia di Carlo Emilio Gadda (sabato 14 febbraio, ore 11, Plautilla), riprendiamo da Alfabeta2 la recensione di un saggio di Giovanni Palmieri, La fuga e il pellegrinaggio, su Gadda e i viaggi. 
 

Giorgio Mascitelli
La letteratura di viaggio, e specialmente il sottogenere del reportage, ha costituito un campo di prove significativo per quegli scrittori novecenteschi che hanno saputo affrancarsi dal pittoresco. Benché non manchino ancora oggi esempi interessanti di questo genere letterario, l’evoluzione dell’industria culturale da un lato e lo sviluppo del turismo di massa dall’altro hanno forse compromesso, o quanto meno mutato, il patto narrativo che vigeva tra il lettore e lo scrittore dei mirabilia itineris in una direzione consumistica, peraltro colta in anticipo da Baudelaire, come nota Giovanni Palmieri nel capitolo iniziale del suo libro su Gadda e i viaggi.
Dunque anche Gadda, segnatamente negli anni Trenta, si dedica alacremente a questo tipo di letteratura, anzi a essa viene concretamente delegata la speranza di realizzare il progetto di vita di fare della scrittura una vera e propria professione, abbandonando l’odiata ingegneria. Infatti, le prose di viaggio hanno prevalentemente come destinatario le terze pagine di quotidiani e, in parte, subiscono le vicissitudini che il giornalismo riserva ai suoi testi. Questa circostanza, tuttavia, non deve far pensare a una scrittura d’occasione tutto sommato minore, come del resto testimonia il fatto che le prose relative alla crociera mediterranea, apparse su L’ambrosiano, vengono incluse in un libro maggiore come Il castello di Udine; ciò sia perché nella poetica gaddiana il frammento può assumere un valore centrale, laddove nel dettaglio narrativo anche minimo è possibile cogliere una delle disarmonie che rendono caotico il mondo a livello macroscopico, sia per il particolare valore simbolico e psicologico che l’esperienza del viaggio assume per Gadda.