Jo Shapcott (Londra, 1953) è una delle
più importanti voci poetiche inglesi contemporanee. Sabato 10
settembre ha presentato al festival di Mantova la sua celebrata
raccolta Of mutability
(2010), uscita alla fine del 2015 nella traduzione di Paola Splendore
per Del Vecchio Editore. Shapcott ha aperto il reading
con i suoi sonetti sulle api, non ancora pubblicati in raccolta,
nella traduzione del Laboratorio di Monteverdelegge di quest’anno.
Li presentiamo qui insieme a Entro
nell’albero, una poesia da
Della mutabilità, tradotta da Splendore e linkata al video della lettura in
originale di Shapcott. Da questi testi già emerge con chiarezza
l’originale rielaborazione di Shapcott del tema della
metamorfosi, fondendo se stessa negli elementi naturali come passando
per un’esperienza corporea reale: “assaporando / il tempo negli
anelli dell’albero”, riempiendo “ la bocca di midollo e di
linfa”. Nei sonetti sulle api la fusione con il mondo apiario corre
in parallelo allo strascico emotivo di un’intensa storia amorosa
bruscamente finita. Assistiamo così alla crescente esaltazione
metamorfica: “stavo piangendo api”, “con la mia bocca
impolverata dal giallo/ del loro polline,/ parlavo api, respiravo
api”, “odoravo di ambrosia e pappa reale/ le mie unghie
brillavano di propoli ” , il cui climax si riassume in “ero reame
e regina”, fino ad arrivare al punto in cui “Il favo che/si erano
lasciate dietro si dissolse/in sangue e acqua”.
(Fiorenza
Mormile)
Jo
Shapcott
da
Sei sonetti sulle api,
Poetry Review, (vol.101: 1 Spring 2011)
Lo
dico alle api
Se
ne andò per sempre all'alba con solo
un
libro, stretto nella mano sinistra:
L'Enciclopedia
di Tutto Ciò Che Attiene
alla
Cura dell'Ape Mellifera; Api, Arnie,
Miele,
Attrezzi, Piante da Miele Ecc.
E
io gli invidiai ogni singolo eccetera,
ogni
filtro da miele e fiore di cetriolo,
ogni
ala d'ape e anno volato via e occhio spento.
Uscii
al sorgere del sole, fischiando
per
chiamarle mentre andavo verso l'alveare.
Spinsi
la guancia contro il legno, aprii
le
sinapsi al ronzio delle api, sentivo l'odore del ronzio.
'È
finita, dolcezze', sussurrai,' e ora siete mie'.
La
soglia
Attesi
tutto il giorno le lacrime e le volevo, ma
le
lacrime non vennero. Mi toccai le ciglia e
l'acqua
dell’occhio non era acqua ma ali e peluria
e
stavo piangendo api. Api sul viso,
nei
capelli. Api che mi entravano e uscivano dalle
orecchie.
Operaie atterravano sulla mia lingua
e
danzavano la loro danza di api mentre le sorelle
si
affollavano per sapere. Anch'io
imparai
quel linguaggio, di zig-zag, corse e cerchi,
tutto
il dannato repertorio della danza ad onda.
È
ricca di sfumature, la geografia del nettare,
l'astronomia
del polline. Credetemi,
con
la mia bocca impolverata dal giallo
del
loro polline, parlavo api, respiravo api.
L'alveare
La
colonia mi crebbe nel corpo tutta quell'estate.
Gli
spazi tra le ossa si riempirono
di
favi e il petto
vibrava
e ronzava. Sapevo
che
la covata era sana, perché
i
feromoni cantavano per tutto l'alveare
e
la regina deponeva almeno
duemila
uova al giorno.
Odoravo
di ambrosia e pappa reale,
le
unghie brillavano di propoli,
passavo
le giornate a liberare api dai capelli
e
a piantare trifoglio e salvia bianca e
vulneraria
e cardo e borragine.
Ero
reame e regina.
A
spasso con le api
Andai
in città portandomi dentro l'alveare.
Le
api risuonavano nelle mie costole: ormai
la
mia bocca era cera, la mia bocca era miele.
Passanti
con cartelle e portatili
mi
fissavano mentre le api volavano fuori dagli occhi e dalle orecchie.
Mentre
entravo in banca il ronzio
mi
aumentò nel petto e capii che le api
facevano
sul serio. Le operaie sciamarono
nel
fresco salone, si posarono sui banconi di marmo,
agitarono
le antenne su carta e cuoio,
'Signore
guidaci tu'. Mormorai, poi sentii
la
regina voltarsi vicino al mio cuore,
e
tutte guardammo, due occhi e cinque occhi,
tutte
guardammo il denaro sciogliersi come cera.
SSA
(Sindrome Spopolamento Alveari)
Il
mio corpo si spezzò quando le api se ne andarono,
divenne
una cosa fatta di ossa
e
spazi e pelle tirata.
Quasi
non avevo notato
il
tempo di uno spasmo d'ala
e
l'incompatibilità dei feromoni
e
la covata sigillata con la cera.
Il
favo che
si
erano lasciate dietro si dissolse
in
sangue e acqua.
Adesso
odoro di sudore e fiato
e
penso che le cellule del mio corpo
siano
diventate esagonali,
anche
se le api sono andate via da un pezzo.
(traduzione
del Laboratorio
di traduzione di poesia Monteverdelegge
2015/2016 composto da:
Maria
Adelaide Basile, Marta Izzi, Giselda Mantegazza, Fiorenza Mormile,
Anna Maria Rava,
Anna
Maria Robustelli, Paola Splendore, Jane Wilkinson.)
Jo
Shapcott
da
Six
Bee Poems,
Poetry Review, (vol.101: 1 Spring 2011)
I
Tell The Bees
He
left for good in the early hours with just
one book, held tight
in his left hand:
The
Cyclopedia of Everything Pertaining
to
the Care Of the Honey-Bee; Bees, Hives,
Honey,
Implements, Honey-Plants, Etc.
And
I begrudged him every single et cetera,
every honey-strainer and
cucumber blossom,
every bee-wing and flown year and dead eye.
I
went outside when the sun rose, whistling
to call out them as I
walked towards the hive.
I pressed my cheek against the wood,
opened
my synapses to bee hum, I could smell bee hum.
‘It’s
over, honies,’ I whispered, ‘and now you’re mine.’
The
Threshold
I
waited all day for tears and wanted them, but
there weren’t
tears. I touched my lashes and
the eyewater was not water but
wing and fur
and I was weeping bees. Bees on my face,
in my
hair. Bees walking in and out of my
ears. Workers landed on my
tongue
and danced their bee dance as their sisters
crowded
round for the knowledge. I learned
the language too, those
zig-zags, runs and circles,
the whole damned waggle dance
catalogue.
So nuanced it is, the geography of nectar,
the
astronomy of pollen. Believe me,
through my mouth dusted
yellow
with their pollen, I spoke bees, I breathed bees.
The
Hive
The
colony grew in my body all that summer.
The gaps between my
bones filled
with honeycomb and my chest
vibrated and
hummed. I knew
the brood was healthy, because
the
pheromones sang through the hive
and the queen laid a good
two
thousand eggs a day.
I smelled of bee bread and royal jelly,
my
nails shone with propolis.
I spent my days freeing bees from my
hair,
and planting clover and bee sage and
woundwort and
teasel and borage.
I was a queendom unto myself.
Going
About With The Bees
I
walked to the city carrying the hive inside me.
The bees
resonated my ribs: by now
my mouth was wax, my mouth was
honey.
Passers-by with briefcases and laptops
stared as
bees flew out of my eyes and ears.
As I stepped into the bank
the hum
increased in my chest and I could tell the bees
meant
business. The workers flew out
into the cool hall, rested on
marble counters,
waved their antennae over paper and
leather.
‘Lord direct us.’ I murmured, then felt
the
queen turn somewhere near my heart,
and we all watched, two eyes
and five eyes,
we all watched the money dissolve like wax.
CCD
My
body broke when the bees left,
became a thing of bones
and
spaces and stretched skin.
I’d barely noticed
the time of
wing twitch
and pheromone mismatch
and brood sealed in with
wax.
The honeycomb they
left behind dissolved
into
blood and water.
Now I smell of sweat and breath
and I
think my body cells
may have turned hexagonal,
though the
bees are long gone.
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Entro nell’albero
Dentro,
per questo frassino
è
attraverso la corteccia;
osserva
il colore –
asfalto
o ardesia sotto la pioggia –
poi
entra dentro, assaporando
il
tempo degli anelli dell’albero,
divorando
anni di siccità e tempeste,
muovendoti
rapido come un tarlo
che
veloce si lancia
a
scavare fino al centro,
a
riempirsi la bocca di midollo e di linfa,
fino
oh mio dio al cuore.
(
qui Jo Shapcott legge la versione originale della poesia,
I Go Inside the Tree)
da
Jo Shapcott, Della
mutabilità, traduzione
e cura di Paola Spendore,
Del Vecchio Editore, 2015
I
testi sono riprodotti per gentile concessione dell’autrice