domenica 11 settembre 2016

MVL teatro: il circo poetico di Olshansky al Teatro Vascello


Maria Cristina Reggio

Ha i capelli brizzolati, quasi bianchi, ricci e un po' malconci come quelli di un homeless, occhi e bocca bistrati di bianco e un naso rosso da clown a forma di pera: è Vladimir Olshansky, melanconico ed estetico clown - regista russo che ha inaugurato la stagione al Teatro Vascello ( dal 17 al 20 settembre) con la sua opera di clownerie Strange Games,  dove recita con il fratello Yuri e con Carlo Deccio. Clown giallo nel famoso Slava's Snowshow, lo spettacolo magico di teatro-circo Slava Polunin visto nel 2015 al Teatro Argentina, Vladimir Olshansky è un artista formatosi a Mosca, trasferitosi successivamente a New York negli anni '80, e fondatore con Caterina Turi Bicocchi dell'associazione Soccorso Clown, un'organizzazione di operatori di teatro e circo che visitano bambini e anziani negli ospedali.  Strange Games raccoglie diverse scene  tra quelle inventate da  Olshansky nella sua carriera, e difatti la struttura dello spettacolo è  costruita come una successione di brevi sequenze che molto ricorda quelle del circo che,  come i sogni, si alternano tra loro con legami incongruenti.

Le api di Shapcott


Jo Shapcott (Londra, 1953) è una delle più importanti voci poetiche inglesi contemporanee. Sabato 10 settembre ha presentato al festival di Mantova la sua celebrata raccolta Of mutability (2010), uscita alla fine del 2015 nella traduzione di Paola Splendore per Del Vecchio Editore. Shapcott ha aperto il reading con i suoi sonetti sulle api, non ancora pubblicati in raccolta, nella traduzione del Laboratorio di Monteverdelegge di quest’anno. Li presentiamo qui insieme a Entro nell’albero, una poesia da Della mutabilità, tradotta da Splendore e linkata al video della lettura in originale di Shapcott. Da questi testi già emerge con chiarezza l’originale rielaborazione di Shapcott del tema della metamorfosi, fondendo se stessa negli elementi naturali come passando per un’esperienza corporea reale: “assaporando / il tempo negli anelli dell’albero”, riempiendo “ la bocca di midollo e di linfa”. Nei sonetti sulle api la fusione con il mondo apiario corre in parallelo allo strascico emotivo di un’intensa storia amorosa bruscamente finita. Assistiamo così alla crescente esaltazione metamorfica: “stavo piangendo api”, “con la mia bocca impolverata dal giallo/ del loro polline,/ parlavo api, respiravo api”, “odoravo di ambrosia e pappa reale/ le mie unghie brillavano di propoli ” , il cui climax si riassume in “ero reame e regina”, fino ad arrivare al punto in cui “Il favo che/si erano lasciate dietro si dissolse/in sangue e acqua”.
(Fiorenza Mormile)

Jo Shapcott

da Sei sonetti sulle api, Poetry Review, (vol.101: 1 Spring 2011)


Lo dico alle api

Se ne andò per sempre all'alba con solo
un libro, stretto nella mano sinistra:
L'Enciclopedia di Tutto Ciò Che Attiene
alla Cura dell'Ape Mellifera; Api, Arnie,
Miele, Attrezzi, Piante da Miele Ecc.
E io gli invidiai ogni singolo eccetera,
ogni filtro da miele e fiore di cetriolo,
ogni ala d'ape e anno volato via e occhio spento.
Uscii al sorgere del sole, fischiando
per chiamarle mentre andavo verso l'alveare.
Spinsi la guancia contro il legno, aprii
le sinapsi al ronzio delle api, sentivo l'odore del ronzio.
'È finita, dolcezze', sussurrai,' e ora siete mie'.

La soglia

Attesi tutto il giorno le lacrime e le volevo, ma
le lacrime non vennero. Mi toccai le ciglia e
l'acqua dell’occhio non era acqua ma ali e peluria
e stavo piangendo api. Api sul viso,
nei capelli. Api che mi entravano e uscivano dalle
orecchie. Operaie atterravano sulla mia lingua
e danzavano la loro danza di api mentre le sorelle
si affollavano per sapere. Anch'io
imparai quel linguaggio, di zig-zag, corse e cerchi,
tutto il dannato repertorio della danza ad onda.
È ricca di sfumature, la geografia del nettare,
l'astronomia del polline. Credetemi,
con la mia bocca impolverata dal giallo
del loro polline, parlavo api, respiravo api.

L'alveare

La colonia mi crebbe nel corpo tutta quell'estate.
Gli spazi tra le ossa si riempirono
di favi e il petto
vibrava e ronzava. Sapevo
che la covata era sana, perché
i feromoni cantavano per tutto l'alveare
e la regina deponeva almeno
duemila uova al giorno.
Odoravo di ambrosia e pappa reale,
le unghie brillavano di propoli,
passavo le giornate a liberare api dai capelli
e a piantare trifoglio e salvia bianca e
vulneraria e cardo e borragine.
Ero reame e regina.

A spasso con le api

Andai in città portandomi dentro l'alveare.
Le api risuonavano nelle mie costole: ormai
la mia bocca era cera, la mia bocca era miele.
Passanti con cartelle e portatili
mi fissavano mentre le api volavano fuori dagli occhi e dalle orecchie.
Mentre entravo in banca il ronzio
mi aumentò nel petto e capii che le api
facevano sul serio. Le operaie sciamarono
nel fresco salone, si posarono sui banconi di marmo,
agitarono le antenne su carta e cuoio,
'Signore guidaci tu'. Mormorai, poi sentii
la regina voltarsi vicino al mio cuore,
e tutte guardammo, due occhi e cinque occhi,
tutte guardammo il denaro sciogliersi come cera.


SSA (Sindrome Spopolamento Alveari)

Il mio corpo si spezzò quando le api se ne andarono,
divenne una cosa fatta di ossa
e spazi e pelle tirata.
Quasi non avevo notato
il tempo di uno spasmo d'ala
e l'incompatibilità dei feromoni
e la covata sigillata con la cera.
Il favo che
si erano lasciate dietro si dissolse
in sangue e acqua.
Adesso odoro di sudore e fiato
e penso che le cellule del mio corpo
siano diventate esagonali,
anche se le api sono andate via da un pezzo.

(traduzione del Laboratorio di traduzione di poesia Monteverdelegge 2015/2016 composto da:
Maria Adelaide Basile, Marta Izzi, Giselda Mantegazza, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava,
Anna Maria Robustelli, Paola Splendore, Jane Wilkinson.)


Jo Shapcott

da Six Bee Poems, Poetry Review, (vol.101: 1 Spring 2011)

I Tell The Bees

He left for good in the early hours with just
one book, held tight in his left hand:
The Cyclopedia of Everything Pertaining
to the Care Of the Honey-Bee; Bees, Hives,
Honey, Implements, Honey-Plants, Etc.
And I begrudged him every single et cetera,
every honey-strainer and cucumber blossom,
every bee-wing and flown year and dead eye.
I went outside when the sun rose, whistling
to call out them as I walked towards the hive.
I pressed my cheek against the wood, opened
my synapses to bee hum, I could smell bee hum.
‘It’s over, honies,’ I whispered, ‘and now you’re mine.’

The Threshold

I waited all day for tears and wanted them, but
there weren’t tears. I touched my lashes and
the eyewater was not water but wing and fur
and I was weeping bees. Bees on my face,
in my hair. Bees walking in and out of my
ears. Workers landed on my tongue
and danced their bee dance as their sisters
crowded round for the knowledge. I learned
the language too, those zig-zags, runs and circles,
the whole damned waggle dance catalogue.
So nuanced it is, the geography of nectar,
the astronomy of pollen. Believe me,
through my mouth dusted yellow
with their pollen, I spoke bees, I breathed bees.

The Hive

The colony grew in my body all that summer.
The gaps between my bones filled
with honeycomb and my chest
vibrated and hummed. I knew
the brood was healthy, because
the pheromones sang through the hive
and the queen laid a good
two thousand eggs a day.
I smelled of bee bread and royal jelly,
my nails shone with propolis.
I spent my days freeing bees from my hair,
and planting clover and bee sage and
woundwort and teasel and borage.
I was a queendom unto myself.


Going About With The Bees

I walked to the city carrying the hive inside me.
The bees resonated my ribs: by now
my mouth was wax, my mouth was honey.
Passers-by with briefcases and laptops
stared as bees flew out of my eyes and ears.
As I stepped into the bank the hum
increased in my chest and I could tell the bees
meant business. The workers flew out
into the cool hall, rested on marble counters,
waved their antennae over paper and leather.
‘Lord direct us.’ I murmured, then felt
the queen turn somewhere near my heart,
and we all watched, two eyes and five eyes,
we all watched the money dissolve like wax.

CCD

My body broke when the bees left,
became a thing of bones
and spaces and stretched skin.
I’d barely noticed
the time of wing twitch
and pheromone mismatch
and brood sealed in with wax.
The honeycomb they
left behind dissolved
into blood and water.
Now I smell of sweat and breath
and I think my body cells
may have turned hexagonal,
though the bees are long gone.

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Entro nell’albero

Dentro, per questo frassino
è attraverso la corteccia;
osserva il colore –
asfalto o ardesia sotto la pioggia –

poi entra dentro, assaporando
il tempo degli anelli dell’albero,
divorando anni di siccità e tempeste,
muovendoti rapido come un tarlo

che veloce si lancia
a scavare fino al centro,
a riempirsi la bocca di midollo e di linfa,
fino oh mio dio al cuore.

(qui Jo Shapcott  legge la versione originale della poesia, I Go Inside the Tree)

da Jo Shapcott, Della mutabilità, traduzione e cura di Paola Spendore, Del Vecchio Editore, 2015



I testi sono riprodotti per gentile concessione dell’autrice


Piccolo diario mantovano

Il gruppo del laboratorio di traduzione di Monteverdelegge è stato invitato al festival della letteratura di Mantova, che quest'anno compie vent'anni, per presentare al pubblico l’esperienza di traduzione collettiva di un poemetto di Philip Schultz pubblicato da Donzelli.
Il poeta americano è presente al festival con due libri : Erranti senza ali – appunto, il poemetto interno a Failure, libro con cui nel 2008 ha vinto il premio Pulitzer - e La mia dislessia, seconda edizione del memoir in cui racconta la difficoltà ma anche la forza di aver seguito la sua vocazione di scrittore e di aver fatto della scrittura il proprio lavoro e la propria vita, a dispetto della dislessia. Ambedue i libri sono a cura di Paola Splendore e il primo si avvale della traduzione di gruppo del laboratorio di Monteverdelegge composto da: Maria Adelaide Basile, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore. 
Il 7 settembre, giusto il tempo di posare le valigie e darci  una rinfrescata, e abbiamo incontrato l’autore. Su di lui, benché non lo avessimo mai incontrato prima, avevamo moltissime informazioni non solo per aver letto interviste e avergli potuto rivolgere domande via e-mail nel corso della traduzione, ma anche perché tradurre un testo, revisionarlo per  tre anni, analizzarlo nelle più piccole sfumature, finisce con lo stabilire un rapporto di conoscenza molto 'intimo' con l'autore. Al contrario, per lui, eravamo solo dei nomi sulla copertina del suo libro, ma la visita tutti insieme a Palazzo Te ha rotto subito il ghiaccio: la simpatia di Schultz ha fatto il resto e la sera a cena era come se ci conoscessimo da sempre. Le giornate successive, impegnative per il caldo e il ritmo degli impegni,  sono risultate piacevoli per la genuina empatia umana del personaggio e per l’armonia che si è creata fra di noi. Siamo state insieme al 'nostro autore' ai tanti eventi che le efficientissime Francesca Pieri ed Elena Munafò, della casa editrice Donzelli, hanno organizzato per lui: interviste con giornalisti di varie testate e servizi fotografici.
Il giorno successivo, 8 settembre, il poeta ha partecipato attivamente, grazie anche al gentile e provvidenziale aiuto del marito di Paola che si è prestato a fargli da interprete simultaneo, al nostro translation slam, in cui abbiamo spiegato a un pubblico attento e curioso come riusciamo a raggiungere un risultato condiviso nella traduzione di gruppo, tutto mentre le foto di Plautilla con il laboratorio al lavoro scorrevano sullo schermo.
Il 9 settembre è stata la volta del reading dell'autore presentato da Paola Splendore, in cui abbiamo coadiuvato Schultz alternandoci con lui nella lettura. La scelta è caduta su alcuni dei testi iniziali di  Failure tradotti e pubblicati sul blog di monteverdelegge, prima di decidere di dedicarci al poemetto che ne costituisce la seconda parte.  La sessione si è conclusa con la lettura delle tre strofe iniziali di Luxury,  il poemetto inedito a cui Schultz sta ancora lavorando. La citazione in exergo è tratta da Il mito di Sisifo di Albert Camus: "L'unico problema filosofico serio è il suicidio. Tutto il resto [...] viene dopo”.  Da un lato il poeta aveva voglia di far conoscere il suo nuovo lavoro, dall'altro era piuttosto restio sentendo di essersi esposto più del solito in prima persona, cosa forse inevitabile se si sceglie il suicidio come filo conduttore e si ritiene che il proprio padre sia morto suicida. Un suicidio attuato sovraccaricandosi di lavoro, quasi per punirsi di non essere stato in grado di realizzare il sogno americano di benessere economico e conseguente accettazione sociale. Per questo Schultz, in una delle cene assieme, ci ha spiegato sdrammatizzando con una delle sue sonore e contagiose risate, di sentire fortemente il problema del “to be or not to be” come gli altri famosi personaggi letterari citati nel poemetto, a cominciare da quell' Ernest Hemigway nella cui famiglia si sono verificati altri casi di suicidio sia prima sia dopo quello dello scrittore. Il suicidio come malattia ereditaria a cui il poeta si sottrae con la scrittura. Non sarà infatti un caso che il poemetto, almeno al momento, si chiuda con la parola happiness. Aver letto a Mantova questi suoi versi ancora inediti è stato per lui rassicurante e si è detto ora pronto ad accettare le ripetute richieste del suo editore a presentare Luxury anche in America.
Siamo state felici di passeggiare e spesso correre con Philip da una parte all'altra della città, continuando a intrecciare conversazioni, domande e risposte: dai piccoli problemi legati alle scelte lessicali e alle frasi idiomatiche su cui conserviamo ancora, come è naturale, dei dubbi, a conversazioni sui "massimi sistemi" e sui massimi autori, da Dante a Pavese a Montale, i suoi poeti italiani d’elezione.
Sabato 10 settembre Schultz in una conversazione con Valeria Parrella ha presentato la seconda edizione italiana con una nuova introduzione dell'autore a La mia dislessia (traduzione e cura di Paola Splendore, Donzelli editore). Poi sarà finalmente libero di visitare Palazzo Ducale e, ne siamo certe, mancandogli la sua amata bastardina Penelope, si innamorerà dei cani affrescati nella camera picta.
Nel pomeriggio, Paola Splendore ha presentato Della Mutabilità della poetessa inglese Jo Shapcott (cura e traduzione di Paola Splendore, Del Vecchio, 2015). La poetessa ha chiesto che, oltre al libro, venissero lette anche le sei poesie sulle api uscite su "Poetry Review", (vol.101: 1 Spring 2011) che abbiamo tradotto quest'anno nel nostro laboratorio di Monteverdelegge.



(a cura di Adelaide Basile)

mercoledì 7 settembre 2016

monteverdelegge al Festivaletteratura di Mantova!

 
Mantova, 8 /9/2016, Slam Poetry del Laboratorio di Traduzione di Monteverdelegge

PHILIP SCHULTZ
Erranti senza ali
a cura di Paola Splendore
traduzione di Maria Adelaide Basile, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore
Donzelli, 2016

Dalla Nota sulla traduzione di Paola Splendore:

La traduzione di Erranti senza ali è il risultato del lavoro condiviso di cinque traduttrici esperte e appassionate (Maria Adelaide Basile, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore), componenti del Laboratorio di traduzione poetica di Monteverdelegge, un’associazione romana volta alla promozione della lettura.
Nella sua sede, la bibliolibreria Plautilla, ospitata presso il D.S.M. dell’Asl Roma D, si sono svolti tra il 2013 e il 2014 gli incontri dedicati alla poesia del newyorkese Philip Schultz, premio Pulitzer 2008 per la raccolta Failure. Il poemetto Erranti senza ali , che ne costituisce parte essenziale, con la sua vocazione “corale” si è offerto con naturalezza ad una traduzione a più mani.
Di volta in volta ognuna di noi ha letto la propria versione, sottoponendosi al confronto puntuale e agguerrito con le altre. Fulcro di interesse del laboratorio è la pratica traduttiva, la cura artigianale al servizio della parola poetica, che ci impegna soprattutto intorno alle scelte lessicali e di registro, all'ordine delle parole nel verso, al recupero degli strati di senso.
Un processo non facile, spesso un esercizio di umiltà, in cui entrano in gioco varie componenti, psicologiche, di gusto e di cultura, ma che porta alla fine, attraverso aggiustamenti d'ogni tipo - correzione di sviste, negoziazione tra varianti ed equivalenze, sacrificio di soluzioni ritenute valide da chi le aveva proposte - a comporre un'unica traduzione.


Il laboratorio di gruppo è un'esperienza stimolante e positiva, utilissima nell'apprendistato/formazione di chi traduce poesia, soprattutto in quanto agisce come correttivo di atteggiamenti di prevaricazione sul testo più facilmente diffusi nelle traduzioni fatte singolarmente. Chi traduce poesia infatti è esposto al rischio sempre in agguato di farsi prendere la mano e sostituirsi all'autore come creatore di linguaggio, reinventando il testo nella propria lingua con abbellimenti, chiarimenti, libertà d'ogni tipo. Il gruppo garantisce la resa poetica più accurata di un testo, e non ultimo, si pone come antidoto naturale alla solitudine cronica del traduttore.