domenica 11 settembre 2016

Le api di Shapcott


Jo Shapcott (Londra, 1953) è una delle più importanti voci poetiche inglesi contemporanee. Sabato 10 settembre ha presentato al festival di Mantova la sua celebrata raccolta Of mutability (2010), uscita alla fine del 2015 nella traduzione di Paola Splendore per Del Vecchio Editore. Shapcott ha aperto il reading con i suoi sonetti sulle api, non ancora pubblicati in raccolta, nella traduzione del Laboratorio di Monteverdelegge di quest’anno. Li presentiamo qui insieme a Entro nell’albero, una poesia da Della mutabilità, tradotta da Splendore e linkata al video della lettura in originale di Shapcott. Da questi testi già emerge con chiarezza l’originale rielaborazione di Shapcott del tema della metamorfosi, fondendo se stessa negli elementi naturali come passando per un’esperienza corporea reale: “assaporando / il tempo negli anelli dell’albero”, riempiendo “ la bocca di midollo e di linfa”. Nei sonetti sulle api la fusione con il mondo apiario corre in parallelo allo strascico emotivo di un’intensa storia amorosa bruscamente finita. Assistiamo così alla crescente esaltazione metamorfica: “stavo piangendo api”, “con la mia bocca impolverata dal giallo/ del loro polline,/ parlavo api, respiravo api”, “odoravo di ambrosia e pappa reale/ le mie unghie brillavano di propoli ” , il cui climax si riassume in “ero reame e regina”, fino ad arrivare al punto in cui “Il favo che/si erano lasciate dietro si dissolse/in sangue e acqua”.
(Fiorenza Mormile)

Jo Shapcott

da Sei sonetti sulle api, Poetry Review, (vol.101: 1 Spring 2011)


Lo dico alle api

Se ne andò per sempre all'alba con solo
un libro, stretto nella mano sinistra:
L'Enciclopedia di Tutto Ciò Che Attiene
alla Cura dell'Ape Mellifera; Api, Arnie,
Miele, Attrezzi, Piante da Miele Ecc.
E io gli invidiai ogni singolo eccetera,
ogni filtro da miele e fiore di cetriolo,
ogni ala d'ape e anno volato via e occhio spento.
Uscii al sorgere del sole, fischiando
per chiamarle mentre andavo verso l'alveare.
Spinsi la guancia contro il legno, aprii
le sinapsi al ronzio delle api, sentivo l'odore del ronzio.
'È finita, dolcezze', sussurrai,' e ora siete mie'.

La soglia

Attesi tutto il giorno le lacrime e le volevo, ma
le lacrime non vennero. Mi toccai le ciglia e
l'acqua dell’occhio non era acqua ma ali e peluria
e stavo piangendo api. Api sul viso,
nei capelli. Api che mi entravano e uscivano dalle
orecchie. Operaie atterravano sulla mia lingua
e danzavano la loro danza di api mentre le sorelle
si affollavano per sapere. Anch'io
imparai quel linguaggio, di zig-zag, corse e cerchi,
tutto il dannato repertorio della danza ad onda.
È ricca di sfumature, la geografia del nettare,
l'astronomia del polline. Credetemi,
con la mia bocca impolverata dal giallo
del loro polline, parlavo api, respiravo api.

L'alveare

La colonia mi crebbe nel corpo tutta quell'estate.
Gli spazi tra le ossa si riempirono
di favi e il petto
vibrava e ronzava. Sapevo
che la covata era sana, perché
i feromoni cantavano per tutto l'alveare
e la regina deponeva almeno
duemila uova al giorno.
Odoravo di ambrosia e pappa reale,
le unghie brillavano di propoli,
passavo le giornate a liberare api dai capelli
e a piantare trifoglio e salvia bianca e
vulneraria e cardo e borragine.
Ero reame e regina.

A spasso con le api

Andai in città portandomi dentro l'alveare.
Le api risuonavano nelle mie costole: ormai
la mia bocca era cera, la mia bocca era miele.
Passanti con cartelle e portatili
mi fissavano mentre le api volavano fuori dagli occhi e dalle orecchie.
Mentre entravo in banca il ronzio
mi aumentò nel petto e capii che le api
facevano sul serio. Le operaie sciamarono
nel fresco salone, si posarono sui banconi di marmo,
agitarono le antenne su carta e cuoio,
'Signore guidaci tu'. Mormorai, poi sentii
la regina voltarsi vicino al mio cuore,
e tutte guardammo, due occhi e cinque occhi,
tutte guardammo il denaro sciogliersi come cera.


SSA (Sindrome Spopolamento Alveari)

Il mio corpo si spezzò quando le api se ne andarono,
divenne una cosa fatta di ossa
e spazi e pelle tirata.
Quasi non avevo notato
il tempo di uno spasmo d'ala
e l'incompatibilità dei feromoni
e la covata sigillata con la cera.
Il favo che
si erano lasciate dietro si dissolse
in sangue e acqua.
Adesso odoro di sudore e fiato
e penso che le cellule del mio corpo
siano diventate esagonali,
anche se le api sono andate via da un pezzo.

(traduzione del Laboratorio di traduzione di poesia Monteverdelegge 2015/2016 composto da:
Maria Adelaide Basile, Marta Izzi, Giselda Mantegazza, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava,
Anna Maria Robustelli, Paola Splendore, Jane Wilkinson.)


Jo Shapcott

da Six Bee Poems, Poetry Review, (vol.101: 1 Spring 2011)

I Tell The Bees

He left for good in the early hours with just
one book, held tight in his left hand:
The Cyclopedia of Everything Pertaining
to the Care Of the Honey-Bee; Bees, Hives,
Honey, Implements, Honey-Plants, Etc.
And I begrudged him every single et cetera,
every honey-strainer and cucumber blossom,
every bee-wing and flown year and dead eye.
I went outside when the sun rose, whistling
to call out them as I walked towards the hive.
I pressed my cheek against the wood, opened
my synapses to bee hum, I could smell bee hum.
‘It’s over, honies,’ I whispered, ‘and now you’re mine.’

The Threshold

I waited all day for tears and wanted them, but
there weren’t tears. I touched my lashes and
the eyewater was not water but wing and fur
and I was weeping bees. Bees on my face,
in my hair. Bees walking in and out of my
ears. Workers landed on my tongue
and danced their bee dance as their sisters
crowded round for the knowledge. I learned
the language too, those zig-zags, runs and circles,
the whole damned waggle dance catalogue.
So nuanced it is, the geography of nectar,
the astronomy of pollen. Believe me,
through my mouth dusted yellow
with their pollen, I spoke bees, I breathed bees.

The Hive

The colony grew in my body all that summer.
The gaps between my bones filled
with honeycomb and my chest
vibrated and hummed. I knew
the brood was healthy, because
the pheromones sang through the hive
and the queen laid a good
two thousand eggs a day.
I smelled of bee bread and royal jelly,
my nails shone with propolis.
I spent my days freeing bees from my hair,
and planting clover and bee sage and
woundwort and teasel and borage.
I was a queendom unto myself.


Going About With The Bees

I walked to the city carrying the hive inside me.
The bees resonated my ribs: by now
my mouth was wax, my mouth was honey.
Passers-by with briefcases and laptops
stared as bees flew out of my eyes and ears.
As I stepped into the bank the hum
increased in my chest and I could tell the bees
meant business. The workers flew out
into the cool hall, rested on marble counters,
waved their antennae over paper and leather.
‘Lord direct us.’ I murmured, then felt
the queen turn somewhere near my heart,
and we all watched, two eyes and five eyes,
we all watched the money dissolve like wax.

CCD

My body broke when the bees left,
became a thing of bones
and spaces and stretched skin.
I’d barely noticed
the time of wing twitch
and pheromone mismatch
and brood sealed in with wax.
The honeycomb they
left behind dissolved
into blood and water.
Now I smell of sweat and breath
and I think my body cells
may have turned hexagonal,
though the bees are long gone.

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Entro nell’albero

Dentro, per questo frassino
è attraverso la corteccia;
osserva il colore –
asfalto o ardesia sotto la pioggia –

poi entra dentro, assaporando
il tempo degli anelli dell’albero,
divorando anni di siccità e tempeste,
muovendoti rapido come un tarlo

che veloce si lancia
a scavare fino al centro,
a riempirsi la bocca di midollo e di linfa,
fino oh mio dio al cuore.

(qui Jo Shapcott  legge la versione originale della poesia, I Go Inside the Tree)

da Jo Shapcott, Della mutabilità, traduzione e cura di Paola Spendore, Del Vecchio Editore, 2015



I testi sono riprodotti per gentile concessione dell’autrice


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