Maria Cristina Reggio
Ha i capelli brizzolati, quasi bianchi, ricci e un po' malconci come quelli di un homeless, occhi e bocca bistrati di bianco e un naso rosso da clown a forma di pera: è Vladimir Olshansky, melanconico ed estetico clown - regista russo che ha inaugurato la stagione al Teatro Vascello ( dal 17 al 20 settembre) con la sua opera di clownerie Strange Games, dove recita con il fratello Yuri e con Carlo Deccio. Clown giallo nel famoso Slava's Snowshow, lo spettacolo magico di teatro-circo Slava Polunin visto nel 2015 al Teatro Argentina, Vladimir Olshansky è un artista formatosi a Mosca, trasferitosi successivamente a New York negli anni '80, e fondatore con Caterina Turi Bicocchi dell'associazione Soccorso Clown, un'organizzazione di operatori di teatro e circo che visitano bambini e anziani negli ospedali. Strange Games raccoglie diverse scene tra quelle inventate da Olshansky nella sua carriera, e difatti la struttura dello spettacolo è costruita come una successione di brevi sequenze che molto ricorda quelle del circo che, come i sogni, si alternano tra loro con legami incongruenti.
Difficile ricordare un'unica trama, impossibile ricostruire nella memoria i passaggi tra i singoli episodi spesso intervallati da pochi secondi di spiazzanti bui totali del palco: il regista gioca infatti con le emozioni degli spettatori, dall'inizio sorprendente con una musica ad altissimo volume che fa saltare sulla poltrona, fino al finale ripetuto più volte con ironia surreale, che richiede diversi applausi incerti e stupiti della platea. Forse questa giustapposizione di scene - che proviene dal mondo del circo dove la gag costruisce una drammaturgia che non vuole raccontare una storia, ma piuttosto un'atmosfera - nuoce alla costruzione semantica dello spettacolo intero, che pur affrontando tematiche dense, le sorvola continuamente. D'altra parte in questi "strani giochi" non ci sono parole, ma c'è solo la pantomima, il cui principale valore estetico è nella sintesi gestuale e narrativa. Si depositano tuttavia nella memoria, alcune magnifiche scene che parlano di amori impossibili, della vita e della morte, dell'essere, noi umani, sospesi tra cielo e terra, con un gusto surreale che fa pensare al mondo pittorico di Chagall, dove tutto l'universo è un immenso cielo materico piatto e screziato dentro il quale sono sospesi i corpi e gli oggetti. Pittorica e dipinta è infatti tutta la scena di teli di plastica, come pure i costumi dei clown, realizzati con materie di carpenteria, oggetti poveri, sdrusciti come la carta arricciata dei giornali o altri oggetti di scena surrealisticamente "trovati" per strada, come un vecchio ombrello che si trasforma in una giostrina , oppure la custodia di un violino che, per via di una piccola lampadina al suo interno, sembra animata di vita propria e, pur gettata in un cassonetto, continua a emettere segnali di vita suonando una sua singolare interpretazione della bachiana Passione di Matteo.
E' un circo di stralunati in cui le cose semplici si animano continuamente, stimolando la fantasia poetica degli adulti e dei bambini: una passione un po' obsoleta in questi ultimi tempi in cui le cose e le persone perdono materia e materialità a vantaggio del virtuale, dell'immagine algida e senza corpo del mega spettacolo multimediale in cui tutti quotidianamente viviamo. Non a caso, forse, il loro lavoro entra e opera poeticamente soprattutto negli ospedali, laddove il corpo è obbligato, giocoforza, a ridiventare umano.
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