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Holbein il Giovane, Gli ambasciatori |
G. Luca Chiovelli
Credetemi, leggere tanto per leggere mi disgusta. Come offrire dolci a chi ha fatto indigestione di cioccolata. Leggere come terapia, leggere l'ultima novità, leggere il libro dell'amico ... tutto ciò mi ripugna irresistibilmente ... per tacere dell’orrore che ispirano ormai i libri ... con quella carta crocchiante … un olezzo acido da sbrigativa cartiera fordiana … edizioni inutili di autori inutili, che presentono già il macero, fetenti d'effimero, con risvolti allucinati e copertine d'un kitsch lisergico ... no, tutto questo non è il mio regno di lettore.
Credetemi, leggere tanto per leggere mi disgusta. Come offrire dolci a chi ha fatto indigestione di cioccolata. Leggere come terapia, leggere l'ultima novità, leggere il libro dell'amico ... tutto ciò mi ripugna irresistibilmente ... per tacere dell’orrore che ispirano ormai i libri ... con quella carta crocchiante … un olezzo acido da sbrigativa cartiera fordiana … edizioni inutili di autori inutili, che presentono già il macero, fetenti d'effimero, con risvolti allucinati e copertine d'un kitsch lisergico ... no, tutto questo non è il mio regno di lettore.
Solo l'avidità della conoscenza m'ispira
il desiderio bruciante della lettura, non altro.
Se tale brama manca preferisco poltrire
nell'ignavia.
Non leggere niente, in tali condizioni,
è più nobile del leggere qualcosa – una cosa qualsiasi, a caso.
Rassomiglio insomma a Sherlock Holmes
che, in mancanza d'uno stimolo intellettuale, si abbandona a una letargia
melanconica, alleviata appena dalla cocaina (in vena una soluzione 7%) o dagli
spettrali accordi del violino, che inseguono i saliscendi tartiniani del Trillo
del diavolo ... nel salottino a Baker Street, mentre il reduce dall'Afghanistan
John Watson, in poltrona, davanti al fuoco inglese d'un caminetto inglese,
serrato fuori l'umido lividore dei pomeriggi invernali di Londra, segue con occhio
ansioso e clinico tali manifestazioni depressive, da umor nero.
E cosa ci strappa dalla depressione, a
me e Sherlock?
L'ansia di capire, di scoprire, di
sollevare il velo dipinto dei fenomeni. L'ansia di conoscenza brucia l'anima, non
c'è niente da fare ... basta un piccolo accenno, quasi sempre casuale, un
minuscolo arzigogolo che risale alla mente, un addentellato trascurato nel mare
della conoscenza e una frenesia incontrollabile scuote le mie membra
intorpidite di lettore. Allora sì che è una festa ... ma che dico: festa? È,
clinicamente, come per Holmes, una libidine maniacale, incontrollabile,
travolgente. Un piccolo spunto, si diceva ... un esempio? Eccolo. Qualche tempo
mi ero incapricciato della poesia orientale; cinese e giapponese, ma,
soprattutto, persiana. Ero reduce, infatti, da una visita al Museo Nazionale
d'Arte Orientale, in Via Merulana, a Roma.
In una bacheca lessi una breve lirica
ricca d'una metafora che esercitò su di me un fascino profondo, inspiegabile:
il poeta paragonava la propria amata a un cipresso.
Non ricordavo chi fosse l'autore; tornai
al museo, ma non riuscii a ritrovare il cartiglio fatale. Feci qualche ricerca;
forse il poeta era Amir Khusrow. Non fui capace nemmeno di ritrovare l'esatta
lirica; una che le si poteva approssimare era questa:
Il parco ha cipressi, larici e pini
ma nulla ti somiglia mia divina, mio
cipresso.
Non hai bisogno di pugnali o spade o
coltelli
un dardo dal tuo occhio mi rubò la vita.
Il fuoco d’amore è dolce, oh, quanto
dolce
ma quest’inferno lo preferisco al
paradiso.
Bacia gli occhi del tuo Khusrow, sciocca
ragazza,
ogni sua piccola lacrima è come una perla.
Non importava. L'occasione viene sempre
dimenticata. Il morbo, però, era già in me, e operava. Mi procurai, già febbricitante,
una serie di antologie di poesia persiana del Medioevo.