giovedì 5 marzo 2015

Scrivere di sé: "Via Ripetta 155" di Clara Sereni

Clara Sereni alla sua autobiografia lavora da anni, da prima che il racconto della propria esistenza diventasse materiale di scavo più o meno profondo per una quantità crescente di autrici e di autori. In particolare Casalinghitudine, del 1987, resta uno dei libri più riusciti di quel filone della "cucina della memoria", che negli ultimi tempi si è arricchito di molti, forse troppi titoli. Con Via Ripetta 155 la scrittrice torna all'epoca in parte descritta in quel suo libro fortunato, prendendo come cornice la casa in cui abitava allora e scandendo il suo racconto in uno sgranare di anni, dal 1968 al 1977, che segnarono in modo particolare la vita sua e dell'Italia. Qui, per gentile concessione dell'editore Giunti, proponiamo un breve stralcio dal capitolo dedicato al 1973.

Clara Sereni
Con la firma degli accordi di pace la guerra in Vietnam formalmente finì: pensai che forse le raccolte di fondi e di medicinali potevano cominciare a essere meno impegnative, forse avrei avuto in giro per casa qualche perseguitato in meno da far dormire per un pizzico di innamoramento o per forzata solidarietà.
A maggio lo scoppio dello scandalo Watergate lasciava sperare che scomparisse dalla scena Nixon guerrafondaio e imbroglione: forse la politica degli USA poteva cambiare, forse si poteva non pensare in modo così ossessivo alla lotta, alle spie, alle guerre che insanguinavano il mondo... Forse si poteva provare a vivere senza sentirsi perennemente in colpa per tutti i diseredati, gli oppressi, i bombardati.
Dal grande amore non ero affatto guarita, anche di questo mi sentivo colpevole. Mi davo un contegno, altro non potevo permettermi, ma intanto continuavo a cercare ogni occasione, ogni scusa. Ci incrociavamo talvolta per lavoro, lui sempre con la straordinaria capacità che aveva di entrare subito in contatto, di farti sentire unica in quel momento, anche se era solo un momento. E ogni volta la stessa domanda, un'apertura di credito che da nessun altro mi arrivava: Cosa stai scrivendo? Tentavo ancora la strada di soggetti e sceneggiature, e quella domanda mi faceva sentire in diritto, mi permetteva di convincermi che macchina da scrivere e ciclostile non sarebbero stati il mio unico eterno orizzonte.
Peraltro erano comparse le prime fotocopiatrici, assai rudimentali e più che lente, per le quali le mie pagine così ben dattiloscritte rimanevano comunque indispensabili: l'era del computer, in cui gli scriventi di ogni genere non avrebbero più avuto bisogno di dattilografe provette, non era immaginabile. Neanche per me, che pure continuavo a leggere romanzi di fantascienza zeppi di robot e calcolatori elettronici in grado di prodursi in mirabolanti prodezze.

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