Decantato da Eduardo de Filippo in una sua poesia ("'O rraù ca me piace a me / m' 'o ffaceva sulo mammà...") il ragù è uno dei piatti più famosi della cucina napoletana. A Monteverdelegge ha regalato la sua versione Egi Volterrani, uomo di grande sapienza e di innumerevoli attività: è scrittore, architetto, organizzatore culturale, traduttore, scenografo e anche - appunto - cuoco (autore tra l'altro di un volume intitolato Frattaglie. Ricette dell'amor perduto, Edizioni Blu 2009).
Egi Volterrani
La ricetta del ragù me la diede molti anni fa un magistrato del tribunale minorile di Napoli e Salerno. Una persona speciale che ora non c’è più e si chiamava Paolo Giannino. A lui è stato intitolato il Centro Nazionale di Studi Minorili.
Tradizionalmente, il ragù si dovrebbe fare in una marmitta di coccio già “fatta”, cioè frequentemente usata. Ormai è difficile trovarne. Non può essere rimpiazzata con pentole di alluminio o di rame: col pomodoro acido, rilasciano “veleni” indigesti e scassafegato. Esistono pentole professionali di materiali stratificati ad alta conduzione termica, ma sono carissime. Si ricorre allora all’acciaio pesante, dove il ragù “attacca” facilmente e richiede moltissima attenzione e solerte, continuo uso del cucchiaio di legno.
In una pentola di acciaio con il fondo pesante, che – con qualche inconveniente – può rimpiazzare il coccio tradizionale, con un po’ d’olio buono e – per rispettare la tradizione – un po’ di strutto, su cipolla affettata abbondante, rondelle di canna di sedano, peperoncino piccante a piacere e una o due papaccelle dolci, saporite e mature, disporre tre o quattro pezzi di carne di manzo non magri. Tradizionali: punta di petto, rosa, scaramella, muscolo, collo … disossati. Ogni pezzo del peso tra g 400 e g 600. Mezzo kilo di tracchie“umide”di maiale, quelle “del collo” (facoltativo, non ammesso dalle comunità israelita e islamca). Usando la punta di petto con il suo grasso, non è utile aggiungere cotiche e cotenne, usate tradizionalmente perché addensano il sugo con grassi e gelatine, riducendone però le fragranze. Se tuttavia questo effetto organolettico untuoso piace, le cotenne, magari in involtini farciti di aglio, uva passa e prezzemolo, sono anch’esse ingredienti tradizionali, come del resto le polpette.
Fare rosolare il tutto lentamente e a lungo fino a quando le carni siano ben colorite e il fondo di cottura (cipolle, eccetera) sia completamente disfatto.
Le carni devono essere girate spesso con il cucchiaio di legno e il fondo dev’essere allungato – quando necessario – con vino rosso. Questa rosolatura, all’inizio a fuoco vivo, poi a fuoco basso, deve durare da 45 minuti a oltre un’ora. A questo punto si aggiungono 2 o 3 cucchiai di estratto di pomodoro (“strattu”, conserva tradizionale cruda, salata, aromatizzata al basilico, o alla piperna “ischitana”, o alla santoreggia, e seccata al sole sotto un velo, spesso conservata in “pani” avvolti in foglie di fico) disciolti in una tazza di brodo o di acqua calda. In mancanza di “strattu”, si usa triplo concentrato di pomodoro (Russo, Cirio, Mutti eccetera). Fare quasi asciugare a fuoco basso per 20 minuti circa, poi aggiungere almeno due litri di passata di pomodoro. Portare lentamente a ebollizione. Se non c’è basilico fresco (che, se c’è, si aggiunge più avanti), aggiungere basilico secco, mescolare e con fuoco minimo, sempre attenti con il cucchiaio di legno, fare “pippiare” o “peppiare” per 3 o 4 ore. Dopo la prima ora di questa sobbollitura, togliere dal ragù le tracchie, ormai cotte, disossarle, gettare via le ossa e mettere da parte la carne. (Si ricaccia nel ragù un quarto d’ora prima di toglierlo dal fuoco). A questo punto, se di stagione, si aggiunge abbondante basilico fresco sminuzzato. Dopo 3 ore di pippiatura, se sono stati immessi, si tolgono i resti degli involtini di cotenna, soprattutto gli stecchini o i fili, e si mettono nel ragù le polpettine facoltative – che si disferanno – eun paio di foglie di lauro. Dopo circa mezz’ora, se non era nella farcitura delle cotenne, cioè se non sono state usate le cotenne farcite, aggiungere una manciata di uva passa e una di prezzemolo tritato. Ancora 15 minuti sul fuoco basso. Momento cruciale: se il sugo è denso, scuro e lucido, il ragù è pronto. Se è necessario,diluirlo con brodo; per farlo addensare di più, estrarre con molta cautela le carni, disporle in un piatto fondo e continuare la cottura del sugo fino al risultato desiderato, mescolando continuamente. Poi, affettare la carne raffreddata, rimetterla nella casseruola e ricoprirla con il sugo. Riscaldare a dovere. Il sugo deve bastare per la carne e per 6 – 8 porzioni di maccheroni o di paccheri scolati al dente. Non utilizzare mai paste all’uovo. Interessante è l’uso di alcuni paccheri farciti di ricotta, possibilmente di capra.La ricetta del ragù me la diede molti anni fa un magistrato del tribunale minorile di Napoli e Salerno. Una persona speciale che ora non c’è più e si chiamava Paolo Giannino. A lui è stato intitolato il Centro Nazionale di Studi Minorili.
Tradizionalmente, il ragù si dovrebbe fare in una marmitta di coccio già “fatta”, cioè frequentemente usata. Ormai è difficile trovarne. Non può essere rimpiazzata con pentole di alluminio o di rame: col pomodoro acido, rilasciano “veleni” indigesti e scassafegato. Esistono pentole professionali di materiali stratificati ad alta conduzione termica, ma sono carissime. Si ricorre allora all’acciaio pesante, dove il ragù “attacca” facilmente e richiede moltissima attenzione e solerte, continuo uso del cucchiaio di legno.
In una pentola di acciaio con il fondo pesante, che – con qualche inconveniente – può rimpiazzare il coccio tradizionale, con un po’ d’olio buono e – per rispettare la tradizione – un po’ di strutto, su cipolla affettata abbondante, rondelle di canna di sedano, peperoncino piccante a piacere e una o due papaccelle dolci, saporite e mature, disporre tre o quattro pezzi di carne di manzo non magri. Tradizionali: punta di petto, rosa, scaramella, muscolo, collo … disossati. Ogni pezzo del peso tra g 400 e g 600. Mezzo kilo di tracchie“umide”di maiale, quelle “del collo” (facoltativo, non ammesso dalle comunità israelita e islamca). Usando la punta di petto con il suo grasso, non è utile aggiungere cotiche e cotenne, usate tradizionalmente perché addensano il sugo con grassi e gelatine, riducendone però le fragranze. Se tuttavia questo effetto organolettico untuoso piace, le cotenne, magari in involtini farciti di aglio, uva passa e prezzemolo, sono anch’esse ingredienti tradizionali, come del resto le polpette.
Fare rosolare il tutto lentamente e a lungo fino a quando le carni siano ben colorite e il fondo di cottura (cipolle, eccetera) sia completamente disfatto.
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