Il figlio dell'altra della regista ebrea-francese Lorraine Levy è un film che si occupa del conflitto israelo-palestinese da una angolatura minimalista rispetto all'enormità dello stesso, taglio questo che permette alla narrazione di affrontare alcune problematiche socio-politiche e di indicare, attraverso le difficili esperienze reali e quotidiane dei singoli, possibili risoluzioni. Grazie all'equilibrio della scrittura e dello sguardo della regista, lo spettatore è aiutato a distanziarsi, a non prendere posizione a favore di un contesto umano e politico piuttosto che dell'altro.
Lo scambio di neonati che avviene nella concitazione determinata da un'incursione aerea, è l'errore possibile nell'emergenza del momento, ma si può anche leggere come ricerca di una possibile trasformazione in opportunità di un evento drammatico che riguarda l' espropriazione di se stessi e delle proprie funzioni generative riassunte dal nascente. Il film racconta con grazia, senza mai scivolare nella retorica, il vuoto di senso e di identità che si apre nelle due famiglie e nei due ragazzi, oggetto dello scambio, quando vengono a conoscenza del fatto in occasione della chiamata alle armi del ragazzo cresciuto nella famiglia ebrea. Le due madri, i cui sguardi profondi ci comunicano con intensità dolorosa il ritrovamento del figlio biologico e nello stesso tempo la possibile perdita dell'altro che si è cresciuto come proprio, ci conducono nel percorso di accoglienza e trasformazione del dolore, anche di quello afono e tenace degli uomini, dei padri, che vedono nel possibile ricongiungimento un precipitare delle esili certezze, dei luoghi comuni che hanno come sempre la funzione di produrre incomprensione e separatezza.