Maria Vayola
Nella mole narrativa di Tolstoj,
La morte di Ivan Il'ic si incastona come un gioiello in miniatura, costruito con materiale prezioso e in una forma magistrale.
"La storia della vita di Ivan Il'ic era la più semplice, la più comune, la più terribile". Così inizia il secondo capitolo del lungo racconto di Tolstoj. Nel primo, cronologicamente successivo a tutti gli altri, la morte di Ivan è già avvenuta, e all'interno del Palazzo di Giustizia, regno professionale di Il'ic, un suo collega ne legge notizia da un quotidiano e la rende nota agli altri presenti. E' in questo capitolo che l'ambiente di lavoro e anche familiare del protagonista viene delineato con scanzonato cinismo e una giusta dose di ironia:
"tutti gli volevano bene" ma tutti traducono la morte di Il'ic e, quindi, il posto da lui lasciato vacante, in potenziali vantaggi professionali e tutti, dopo un primo attimo di costernazione, tirano un sospiro di sollievo perché l'evento non è accaduto a loro ma a un altro e iniziano a percepire il fastidio delle ritualità sociali che una tale situazione si porta dietro, il disturbo che arreca al normale svolgimento della loro quotidianità; persino la moglie si preoccupa, prima ancora della sepoltura, di come sfruttare al massimo, economicamente, la morte del marito.
Tolstoj, da subito ci apre il velo dell'ipocrisia per lasciarci entrare nei più reconditi pensieri dei personaggi, modalità stilistica che userà anche nella descrizione della vita e della morte dello stesso Il'ic, rendendo la percezione del narrato così incisiva da farci cogliere le sensazioni del protagonista in modo diretto quasi annullando l'opera di mediazione dello scrittore.
Ivan, figlio di un burocrate con un impiego fittizio il cui unico scopo è percepire uno stipendio a cui non corrisponde un effettiva attività lavorativa, intraprende gli studi di giurisprudenza e poi la carriera nello stesso ambito istituzionale.
"...intelligente, vivace, simpatico, ammodo" così risultava durante gli studi ma anche dopo come funzionario statale:
" una persona capace, gioviale e socievole, ma che seguiva coscienziosamente tutto quello che riteneva suo dovere; ed egli riteneva suo dovere tutto quello che era considerato tale dalle persone altolocate......sin dagli anni più giovanili si era manifestata in lui un'irresistibile attrazione, pari a quella delle mosche per la luce, verso la persone più altolocate della società: aveva cercato di appropriarsi delle loro maniere e delle loro idee e di stringere con loro relazioni amichevoli".
"Altolocate" una delle parole insieme a "piacevolezza e decoro" che ricorrono più spesso e quasi scandiscono l'esistenza di Ivan, intorno ad esse egli organizza la propria vita: il lavoro, le relazioni sociali, il matrimonio, il suo stesso pensiero.
Questa artificiosa costruzione rende la sua vita priva di autentici rapporti relazionali a tutti i livelli, inaridisce i suoi sentimenti verso gli altri e quelli degli altri verso di lui, le sue scelte non sono animate da profonda e sincera consapevolezza di sé ma da una preordinata aderenza a schemi convenzionali.
Ma di questo non si renderà conto fino a quando la malattia non lo metterà di fronte al tragico preannunciarsi della sua fine
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