Daniele Salvo Dionysus |
Se nel 2016 Dioniso,
il dio nato due volte, potesse rinascere per una terza, avrebbe forse le fattezze de Il Corvo - Brandon Lee, ovvero l'attore
morto per un tragico errore mentre interpretava
sul set il personaggio di Eric Draven? Oppure il Joker nemico di Batman, tutto nero e con il volto dipinto di
bianco? Questa sembra essere l'ipotesi
avanzata da Daniele Salvo nella sua regia
di Dionysus,
lo spettacolo con cui il regista reinterpreta
l'ultima opera di Euripide, Le Baccanti,
al Teatro Vascello di Roma (fino al 13 marzo), con Manuela Kustermann nei panni
di Agave, il personaggio-chiave che sconvolge la seconda parte della
tragedia. Una fantasmagoria video di
fuochi divampanti e cupi cosmici cieli turbinosi fa da sfondo alla riapparizione del nero
Corvo-Dioniso nei panni dello stesso Daniele Salvo, avvampando nella magica e
semplice perfezione del palco del teatro Vascello, spogliato di attrezzerie per
l'occasione e che si mostra in tutta la sua dolcissima slabbrata nudità di
mattoni dipinti di nero, dove la texture della vernice, ormai consunta, si
porta dietro la storia del glorioso teatro di avanguardia. Ma non c'è alcuna intenzione di volere fare
un teatro di ricerca né di avanguardia nelle note di regia dell'attore-regista
Daniele Salvo, animato piuttosto dall'assoluta
certezza di poter "partire da Euripide tornando ad Euripide".
Cosa significano allora questa partenza e ritorno
programmatici? Di sicuro la volontà di utilizzare il testo così come è stato
scritto, senza interventi di riscritture testuali di sorta, attraverso cui
mettersi ipoteticamente anche in
competizione con l'autore che, scomparso da più di duemila anni, non potrebbe
tuttavia nemmeno mostrare il suo disappunto. Infatti il regista inserisce anche alcune registrazioni-citazioni recitate
da voci acusmatiche, recitate in autentico greco euripideo, che
tuttavia, proprio essendo gli orecchi della platea avvezzi a registratori e
altoparlanti, non suscitano la commozione e lo sgomento sperati di fronte
all'apparizione sonora del deus ex
machina, ma piuttosto il riconoscimento dell'effetto teatrale e la paziente
ricerca, magari, di una traduzione con sovra-titoli. Si potrebbe
obiettare che ogni interpretazione teatrale è, a suo modo, una forma di riscrittura,
soprattutto quando il testo è tradotto da una lingua ormai morta da secoli: il
tentativo di accostarsi al testo in maniera "filologicamente
corretta" è destinato a rivelarsi comunque una forma di travestimento, che
piaccia o no, e talvolta perfino risibile, di fronte al quale l'invenzione del
semplice modern dress, già sperimentata dagli artisti del rinascimento, geniali ri-scrittori per antonomasia, sarebbe
senz'altro più efficace e capace di avvicinarsi al pensiero degli spettatori di
ogni tempo.
Ma, oggi, mettere in scena una tragedia greca come Le Baccanti può tradursi nel trascinare
sul palco un'emotività violenta,
gridata attraverso una
recitazione espressionistica che non lascia mai spazio alla pausa, al silenzio, all'immobilità e alla fermezza
degli eroi e del coro che li accompagna?
Forse si, se si paragona una star del rock al dio dell'ebbrezza alcolica e
dell'estasi erotica, attorniandolo di menadi parzialmente vestite con pelli
lanose di capre e cornuti copricapi che danzano languide coregrafie sensualeggianti. Si, se si
assimila il tragico all'abusato perturbante come lo definiva Freud, ovvero a un fenomeno o personaggio che a un
primo impatto dovrebbe essere familiare, ma che poi all'improvviso si rivela spaventoso, terrorizzante: così il cavaliere oscuro Joker che porta il male e il caos nella città
di Gotham. Però l'aggettivo perturbante,
perfettamente attribuibile al caso della scintillante metafora cinematografica
del Cavaliere Oscuro, se viene utilizzato in riferimento al teatro tragico, sembra portare una
forzatura semantica che, se non è supportata da una lettura più profonda e
attenta, non aiuta la regia. I filmati di metropoli che ricordano Gotham
City, proiettati su fondale e monticello
a centro scena, stridono con i personaggi tipizzati che narrano la
storia, come i lanosi Tiresia e Penteo che contornano il dionisiaco re delle
forze ctonie e certo non aiutano nel
faticoso compito di condurre gli
spettatori nelle pieghe di un testo arcaico, antico, di difficile comprensione
come Le Baccanti, che celebra, di
fronte a una platea occidentale contemporanea,
ormai annoiata dalla religiosità,
gli oscuri misteri religiosi di un dio, figlio del padre degli dei, Zeus
e di una donna mortale, Semele, che ricorda tanto un altro Dio, molto più
vicino e conosciuto, divino e umano nello stesso tempo.
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