G. Luca Chiovelli
Dante Alighieri, nacque sotto il segno dei Gemelli:
(1) Paradiso, XXII, 110-115
(2) P. B. Shelley, Inno alla Bellezza Intellettuale
Dante Alighieri, nacque sotto il segno dei Gemelli:
"... io vidi ’l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O glorïose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva ..." (1)
probabilmente nel 1265, a cavallo fra maggio e giugno.
Nell'anno 2015, quindi, ricorre(va) il 750esimo anniversario della sua nascita.
Qualcuno se n'è accorto?
Tanto per dire.
Tale momento epocale (pensate: c'erano voluti 750 anni per celebrarlo) è passato, per usare un eufemismo, sotto una discreta coltre di silenzio.
Certo, non era nato sotto i migliori auspici: a maggio, infatti, s'era iniziata la commemorazione, in Senato, con un messaggio del Pontefice gesuita Francesco I, il saluto delle massime cariche istituzionali e una lettura del Paradiso da parte di Roberto Benigni.
Come dire: il saluto del Capo di una potenza straniera, in un'aula prossima alla smobilitazione istituzionale e la lettura del Paradiso eseguita da un tizio che, dopo aver scassato i cabbasisi per un decennio con "la Costituzione più bella del mondo", si guarda bene dal far motto una volta che questa è stravolta e annientata (e, se tanto mi dà tanto, figuriamoci cosa gliene impipa di Dante e del Paradiso).
I capoccioni hanno naturalmente attivato una serie di iniziative accademiche e diplomatiche (coinvolti gli istituti per la cultura italiana all'estero), eppure di tutto questo formalissimo indaffararsi cosa è trapelato nell'opinione pubblica?
Niente.
E perché?
Primo: perché a tutti i capoccioni nazionali di Dante e dell'Italia importa poco o zero. Sono dei traditori della Patria, satolli e ignoranti.
Secondo: perché l'attuale Spirito dei Tempi, l'edonismo economico, turistico e usuraio, ridanciano e irresponsabile, ha due soli nemici: il passato e la bellezza. Dante li riunisce entrambi e quindi deve finire nella Gehenna della dimenticanza.
Il passato è passato: Petrarca, Dante, Tasso, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, tutto ciò che costituisce la bellezza diuturna, tutto ciò che forma l'Italia, tutto ciò che, secondo un memorabile verso di Percy Shelley:
"dà grazia e verità al sogno inquieto della vita" (2)
dev'essere essere ignorato; se possibile, seppur con cautela, dev'essere distrutto.
Non stupisce allora che l'anniversario di Dante sia stato liquidato da convenzionali adempimenti istituzionali.
Un modo perfetto di autoassolversi, crearsi un alibi, e dedicarsi al proprio passatempo favorito: fare i nababbi.
Coraggio, fra un po' è Capodanno (2016!) e di Dante non correremo più il rischio di sentir parlare.
Almeno sino al 2021, 700esimo anno dalla sua morte.
Tranquilli, però, per quella data sono sicuro che ci saremo pur inventati qualcosa capace di liberarci dall'ennesimo, molesto, anniversario.
(1) Paradiso, XXII, 110-115
(2) P. B. Shelley, Inno alla Bellezza Intellettuale
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