Un raro sonetto prodotto dal sommo pittore (1483-1520), forse in omaggio a Margherita Luti, sua amante (e modella per La velata e la Fornarina).
Il dipinto La Fornarina si può vedere presso il Museo di Arte Antica di Palazzo Barberini (se non l'hanno temporaneamente spostato; o rubato, non si sa mai); il Museo di Arte Antica di Palazzo Barberini lo si può visitare ogni giorno. La prima domenica del mese è addirittura gratis. Mi spiego? Voi potete gustare, senza spendere un centesimo, il dipinto di uno dei maggiori artisti di ogni tempo - un dipinto che alcuni ritengono pari alla Monna Lisa di Leonardo da Vinci (1452-1519). Ne concludo: se non avete mai visto tale dipinto (e lo ripeto: potete farlo dal vivo, meditandolo con agio da pochi centimetri) siete degli Yahoos (gli scimmioni de I viaggi di Gulliver che cadono in estasi davanti a volgari pietre trovate nel fango).
Non sappiamo se Leonardo e Raffaello si incontrarono mai; secondo lo sceneggiato televisivo Vita di Leonardo da Vinci (RAI, 1971, regia di Renato Castellani) pare di sì.
L'incontro viene immaginato nella quarta puntata.
Un vecchio amico di Leonardo, il pittore Pietro Perugino (Pietro di Cristoforo Vannucci, 1448-1523), accompagna un ventenne Raffaello presso il laboratorio artistico e scientifico di Leonardo; in un cantuccio del vastissimo ambiente è un cavalletto, che sostiene una piccola tavola dipinta: la futura Monna Lisa. Leonardo e il Perugino discorrono fra loro: il lavoro, le commissioni, gli studi leonardeschi sul volo; consigli, scambi di esperienze: una conversazione fra maestri; le loro voci echeggiano sonore sotto le ampie volte. Raffaello non li segue; in silenzio, s'apparta. Ora è davanti al quadro, in tacita contemplazione. Il Perugino, alfine, si accorge del giovane pittore, sempre immoto e assorto: "Oh Raffaello, cosa fai?". Raffaello si stacca lentamente dal dipinto, poi fissa Leonardo, sempre in silenzio: le lacrime gli rigano il volto. Perugino comprende il momento, mette una mano rassicurante sulla spalla del giovane allievo e gli sussurra paternamente, come a un bambino: "Sei contento? Ora l'hai vista. Andiamo". E lo reca via dolcemente, nel tumulto delle strade cittadine.
Del sonetto di Raffaello voglio solo mettere in rilievo quel memorabile "tu m'envesscasti": mi hai catturato con la pania (la pania è la colla tratta dalle bacche del vischio), ovvero con la malia languida e vischiosa dei tuoi occhi per cui, ora, non so staccarmi da te; ti amo e più ardo d'amore più cresce in me la voglia di bruciare, come accade alla falena, sedotta dal calore della fiamma.
Amor, tu m'envesscasti con doi lumi
de doi beli occhi dov'io me strugo e sface,
da bianca neve e da rosa vivace,
da un bel parlar in donneschi costumi.
Tal che tanto ardo, che né mar né fiumi
spegnar potrian quel foco; ma non mi spiace,
poiché 'l mio ardor tanto di ben mi face,
ch'ardendo ognior più d'arder me consumi.
Quanto fu dolce el giogo e la catena
de' toi candidi braci al col mio vòlti,
che, sogliendomi, io sento mortal pena.
D'altre cose io non dico, che fôr molti,
ché soperchia docenza a morte mena,
e però tacio, a te i penser rivolti.
Raffaello Sanzio, La poesia (Stanza della Segnatura, Musei Vaticani)
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