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venerdì 29 dicembre 2017

GRUPPO DI LETTURA: la paura in "Cujo" di Stephen King




Maria Vayola

Da un libro di King forse ci si aspetta di trovare storie di eventi soprannaturali, di elementi esterni che minacciano la vita di noi umani, inspiegabili fenomeni che, inserendosi nella quotidianità, ne alterino il normale svolgimento inserendo al suo interno situazioni che generano paura fino al terrore.
In Cujo è presente questo tipo di paura all'inizio del libro e ha le sembianze di un mostro che si nasconde nell'armadio di un bambino, Tad Trenton, e durante la notte si manifesta e lo terrorizza.  Potrebbe essere quasi inteso, questo inizio, come premonitore di cosa accadrà dopo, un sottofondo che dall'inizio strizza l'occhio all'incomprensibile fuori dalla realtà lasciando aperte interpretazioni altre rispetto allo svolgimento più che razionale di tutta la vicenda che da lì si svilupperà; non solo il bambino, ma anche i suoi genitori, Vic e Donna, avranno di quel mostro un vago sentore, nonostante il loro naturale scetticismo verso i timori di un bimbo nella notte.
E quel mostro assomiglia maledettamente a Cujo, che però è un San Bernardo di quasi 100 chili e che, come tutti i cani della sua razza, è un compagno affettuoso e giocoso, con adulti e bambini. Vive con una famiglia  di tre persone  Charity , Joe  e  Brett il figlio di circa dieci anni . Joe è un meccanico ed abita e lavora in un luogo isolato fuori  paese ed è per il suo lavoro che entra in contatto con i Trenton.
La trama del libro intreccia però tra i suoi protagonisti ben altre paure, molto più correlate al normale svolgimento della vita: quella di Donna di diventare una banale casalinga americana, tra feste di beneficenza e sformati da cucinare il sabato sera, condannata a vedere sempre le stesse facce, sentire sempre le stesse cose, gli stessi pettegolezzi; quella di Vic di perdere il lavoro, l'amore della moglie, la sua famiglia; quella di Charity della violenza fisica, e non solo, del marito su di lei e dell'influenza negativa che può avere sul loro figlio; quella di Brett di non essere all'altezza delle aspettative del padre su di lui. Solo Joe e il suo amico Gary, impenitenti alcolizzati, sembrano non avere paure di sorta, forse loro non si aspettano più alcunché dalla vita, e le loro speranze e paure le hanno già annegate nell'alcool.

giovedì 10 luglio 2014

Vita e sogno, pagine di uno stesso libro

G. Luca Chiovelli

- IV secolo a.C. Platone, VII libro de La Repubblica:
“Si immaginino degli uomini chiusi fin da bambini in una grande dimora sotterranea, incatenati in modo tale da permettere loro di guardare solo davanti a sé. Dietro di loro brilla, alta e lontana, la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada con un muretto. Su questa strada delle persone trasportano utensili, statue e ogni altro genere di oggetti; alcuni dei trasportatori parlano, altri no. Chi sta nella caverna, non avendo nessun termine di confronto e non potendo voltarsi, crederà che le ombre degli oggetti proiettate sulla parete di fondo siano la realtà; e che gli echi delle voci dei trasportatori siano le voci delle ombre”.

- IV-III secolo a. C. Aneddoto del maestro Zhuāngzǐ:

"Una volta Zhuāngzǐ sognò di essere una farfalla, una farfalla che svolazzava qua e là spensierata.
Non sapeva di essere Zhuāngzǐ.
Improvvisamente si svegliò ed ecco che era di nuovo Zhuāngzǐ.
Ma ora non sapeva più se era Zhuāngzǐ che aveva sognato di essere una farfalla oppure se era la farfalla che stava sognando di essere Zhuāngzǐ".

- 54 d. C. San Paolo, Prima lettera ai Corinzi, 13, 12
"Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto”. (Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem; nunc cognosco ex parte, tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum)

- I secolo d. C., Vangelo secondo Giovanni, 14, 30

"Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il Principe di questo mondo ..."

- III secolo d. C., Ipostasi degli Arconti (dai codici gnostici di Nag Hammadi).

Sophia crea, da sola (senza Gesù Cristo), Yahwhe (Samael, Yaldabaoth) ovvero Satana, il Demiurgo ingannatore, creatore del mondo materiale:

"E prese la sua forma dall’ombra ed è diventato una Bestia Arrogante che assomiglia ad un leone. Ed è androgino, perchè è dalla materia che proviene.
Aprì gli occhi e vide un grande quantità di materia senza limiti, ed egli divenne arrogante, dicendo: 'Sono io che sono Dio, e non c’è nessun altro a parte me'".

domenica 2 marzo 2014

L'incipit della domenica - Stephen King, La Cadillac di Dolan

Il racconto è tratto dalla raccolta Incubi e deliri. È la storia di una vendetta: perseguita cautamente, passo dopo passo, negli anni, e quindi sempre sul punto di diluire la determinazione feroce del proposito nella rassicuranti secche della rinuncia. Lo diceva anche Amleto, dopo l’apparizione dello spettro: “I miei taccuini! I miei taccuini È giusto che ce lo scriva: che uno può sorridere e sorridere, ed esser sempre una canaglia!”: occorre sempre ricordare l’oggetto del proprio odio; allo stesso modo è necessario gettare continuamente della paglia sul fuoco dei propositi e attizzarne i carboni languenti.
La vendetta, un appressamento lento e doloroso, è anche una celebrazione dell’uomo medio (e del linguaggio medio). Come spesso capita in King, il perturbante è una rottura dell’ordine borghese (della middle class americana): anzi scaturisce proprio da questa: un lutto, un divorzio, un incesto, creano il disagio letterario entro cui il sovrannaturale si insinua raddoppiandone la portata.
In tal caso egli sostituisce al sovrannaturale un’avvincente trama gialla, ma lo schema è lo stesso: lutto, disagio, vendetta (rottura dell'ordine naturale) e, quindi, il doppio disagio letterario del lettore (borghese).
Tale estetica (o metodo di lavoro) spiega la popolarità planetaria di King (in un mondo, peraltro, che va uniformandosi alle strutture sociali statunitensi) e la freddezza con cui è accolto dai puristi della letteratura fantastica, specie ottocentesca, più sbilanciati sul versante metafisico ed estetizzante (e antiborghese: versante che include anche americani come Lovecraft e Chambers).

Stephen King
"La vendetta è un piatto da servire freddo"
Proverbio spagnolo

Ho aspettato e vigilato per sette anni. Lo guardavo andare e venire. Dolan. Lo guardavo entrare in ristoranti alla moda in smoking, ogni volta con una donna diversa al braccio, sempre fra le ali protettrici delle sue guardie del corpo. Ho visto i suoi capelli passare dal grigio ferro a un signorile color argento, mentre i miei si diradavano fino alla calvizie totale. L'ho visto lasciare Las Vegas per i suoi regolari pellegrinaggi sulla West Coast; l'ho visto tornare. Due o tre volte ho osservato da una strada secondaria la sua Sedan De Ville,
dello stesso colore dei suoi capelli, percorrere la Route 71, diretta a Los Angeles. L'ho anche osservato lasciare la sua casa sulle Hollywood Hills a bordo della stessa Cadillac grigia, per rientrare a Los Angeles, ma non molto spesso.
Sono insegnante. Gli insegnanti e i criminali d'alto bordo non hanno la stessa libertà di movimento; è solo un fatto economico della vita. Lui non sapeva che lo sorvegliavo, non mi sono mai avvicinato abbastanza perché se ne accorgesse. Sono stato prudente.
Ha ucciso mia moglie o l'ha fatta uccidere; non c'è differenza. Volete i particolari? Non li avrete da me. Se li volete, sfogliate i giornali vecchi. Si chiamava Elizabeth. Insegnava nella stessa scuola dove insegnavo e insegno ancora io. Insegnava alle prime elementari. I bambini l'adoravano ed è probabile che alcuni di loro non si siano ancora dimenticati di quanto l'amassero, anche se ormai sono adolescenti. L'amavo certamente io e l'amo ancora. Non era bella, ma era carina. Era riservata, ma sapeva ridere. La sogno. Sogno i suoi occhi nocciola. Non c'è stata nessun'altra donna per me. Né ci sarà mai.
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