Patrizia Vincenzoni
Il bello e appassionato romanzo d'esordio di Sandro Bonvissuto è strutturato in tre racconti che costituiscono il percorso esistenziale, presentato a ritroso, del protagonista al quale non viene attribuito un nome, a sottolineare il fatto che l'identità attraversa i luoghi, delineandosi.
Il bello e appassionato romanzo d'esordio di Sandro Bonvissuto è strutturato in tre racconti che costituiscono il percorso esistenziale, presentato a ritroso, del protagonista al quale non viene attribuito un nome, a sottolineare il fatto che l'identità attraversa i luoghi, delineandosi.
I luoghi sono fisici e psichici allo stesso
tempo e la narrazione li articola costantemente in una dimensione
spazio-tempo. La coppia 'dentro-fuori'
si fa metafora di un percorso di iniziazione alla vita che, a ritroso, il
personaggio compie. L'uso della prima
persona e il linguaggio icastico catapultano il lettore dentro il
racconto, articolando esperienza ed osservazione della stessa: la scrittura è
essenziale,incarnata. L'io narrante e
la sua affabulazione scarna trasformano le cose, gli atti, i contesti in
esperienza attraverso la quale lo sguardo si fa introspezione, riversando nella
scrittura pillole di saggezza sapienziale.
La lettura di questo romanzo è
esperienza del reale, ci conduce spontaneamente e ci fa ricontattare
quel nucleo di solitudine e sorpresa di
fronte alla vita e al mistero che contiene,
rinunziando,come indica anche il testo,
al bagaglio degli 'a priori' che illusoriamente ci rendono più sicuro
il mondo.
Bonvissuto scandaglia
l'esistenza del protagonista - e, in modo
non scontato, tocca tematiche che interessano la vita e la riflessione di
chiunque anche a livello collettivo-
attraverso tre storie temporalmente
collocate in periodi diversi: adulto in un carcere nel quale il tempo
trasborda e non offre appigli per
'essere' e lo spazio si fa claustrofobico. L'esperienza di sé, vissuta anche
attraverso i luoghi, è dettata dalla
violenza di questi e vivere, resistendo
in uno stato di sospensione, diventa scelta di
sopravvivenza.
E' totale l'assenza
di legame tra la vita dentro e fuori. Il
muro del carcere, come la biblioteca senza libri, ne sono testimonianza.
Nel secondo racconto
le implicazioni emotive-esistenziali di tale assenza hanno dei rimandi : la
scuola è il contesto/luogo anch'esso claustrofobico come il carcere,
capace di portare via qualcosa di sé.
L'assenza di spazi interattivi vitali, il cortile-agorà vuoto, morto,
con la presenza solo dello squallore, anche qui l'impossibile dialettica tra il
'dentro e fuori' è tale ad opera di un confine -un cancello di ferro-
impermeabile.
Il banco di scuola
che indica un 'noi' limitato a due,diventa un luogo-feticcio, dimensione
interpersonale che non sdogana le due soggettività dei ragazzi.
L'ultimo racconto è
il compimento, inteso come un nuovo inizio, di questo percorso umano anche se
il ciclo di vita è relativo all'infanzia: la speranza prende il posto della
disperazione contenuta, omologata,dell'assenza e dell'abbandono. Forse anche a
motivo di ciò, si legge questa storia in uno stato di grazia, direi, anche
perché è attraversata dalla poesia dell'ingenuità dell'infanzia che costruisce
la consapevolezza di sé partendo dal
sentire,come scrive l'autore, '”un disagio per aver scoperto in me un luogo
interiore, e il suo silenzio metafisico”.
Tale aggettivazione stona sulle labbra di un bambino, sembra quasi che
l'io dello scrittore abbia preso per un attimo il posto di questo e le parole
restino tali. In tempo di evaporazione
del ruolo e della funzione paterna, il romanzo in chiusura ci offre invece la
presenza autorevole e affettiva di
questi, come superamento di una difficoltà personale di andare verso un
obiettivo, una spiaggia in questo caso, luogo che è metafora di un altrove
inteso non come fuga ma come ricerca di sé attraverso l'altro da sé.
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