Alessandro Drago
mercoledì, 08 luglio 2009:
Robert Louis Stevenson, “Treasure Island - The graphic novel” adapted by Tim Hamilton. Byron Priess Book, USA, 2005, pp. 176
Ho comprato questo volume per fare un regalo a un piccolo amico, ma poi mi ci sono affezionato, forse inconsciamente lo volevo per me. Si tratta dell’adattamento a fumetti del classico romanzo di Robert Louis Stevenson che un po’ tutti abbiamo letto da ragazzi. La Graphic Novel e’ un genere credo sottovalutato, ma non banale, non semplicistico, con una specificità linguistica suggestiva che apre verso fasce di lettori che magari vorrebbero evitare di impegnarsi su un testo “lungo” per pigrizia o ignoranza, ma anche per mancanza di tempo o per semplice non-abitudine alla lettura. In particolare questo adattamento grafico, tutto in bianco e nero, e’ realizzato con disegni molto belli e curati che ci riportano alle tavole del miglior Hugo Pratt, quello esotico e oceanico di “Una Ballata del Lago Salato”, un vero e proprio romanzo, anche se nato come fumetto. Quello che dice Umberto Eco nella sua storica introduzione: <>, vale anche per questo adattamento di Tim Hamilton, un graphic designer con, alle spalle, navigate esperienze editoriali che vanno dalla Marvel al New York Times Book Review, dopo essersi specializzato al Pratt Institute.
L’Isola del Tesoro, riletta a fumetti, trasmette una drammatica profondità che credo abbia invece perduto nelle infinite rappresentazioni cinematografiche o televisive. Il tratto in chiaroscuro ci introduce in un racconto fantastico e anche un po’ onirico, ma con un ritmo secco e veloce, com’e’ nello stile fumettistico. La colonna sonora, fatta di TAP, THUNK, CA-CHING, CLINK, KRNCH, BWOOM, K-SPLSH ci riporta ad un linguaggio adolescenziale forse mai dimenticato, ma lasciato in disparte, pronto a riemergere per un’ora di puro relax.
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Penso che, se non e’ stato gia’ fatto, anche Cuore di tenebra sarebbe un ottimo soggetto per una Graphic Novel. Il viaggio, l’azione e le tematiche del racconto cosi’ come sono state tradotte in uno straordinario film come Apocalypse Now, potrebbero altrettanto bene essere riportate sotto forma di Graphic Novel.
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mtc
9 maggio 2009
Tornando a Israele
Nel corso dell'incontro di aprile, si è accennato a un libro che mette a confronto la storia di Israele e della Palestina, così come viene letta dall'una e dall'altra parte. E difatti il volume, nato dal progetto di un gruppo di insegnanti israeliani e palestinesi, si intitola La storia dell'altro. In Italia il libro è stato pubblicato da una piccolissima casa editrice, Una città, e si può acquistare online.
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Alessandro Drago
17 marzo 2009
Perché mi è piaciuto "Gli Stati Uniti D’Africa" di Abdourahman A. Waberi
Parliamo di un romanzo che da qualcuno di noi e’ stato giudicato “arido”, “irritante”, “freddo”. E’ invece, secondo me, un lavoro molto interessante che sviluppa una tesi precisa, immaginando il continente africano unito e ricco, a scapito dell’Europa e dell’occidente. La tecnica di scrittura e’ estremamente moderna, anche se per molti e’ poco coinvolgente. In realta’ Waberi ha in mente uno scenario molto nitido e per costruirlo decide di scegliere un linguaggio in grado di sostenere il suo punto di vista per tutto lo sviluppo narrativo. Nello sviluppo di questa tematica Waberi ha dei precedenti letterari. In questo elenco metterei prima di tutto Philip Dick, il grande e misconosciuto autore di fantascienza, morto nel 1982, potente creatore di universi paralleli. Parlo in particolare del Philip Dick di “The Man in the High Castle”, assurdamente tradotto in italiano con “La svastica sul sole”, dove si parla di un mondo in cui la seconda guerra mondiale e’ stata vinta dai nazisti e l’America e’ stata poi spartita tra la Germania nella parte orientale e il Giappone in quella occidentale. Quindi niente androidi o astronavi su Marte, ma una situazione storica alternativa (la morte prematura di Franklin Delano Roosevelt che porta alla sconfitta degli USA) da analizzare in tutte le sue conseguenze. Si tratta tra l’altro di un capolavoro profondamente ottimista che affida all’arte sinceramente popolare il compito di trovare motivi e forza per una resistenza e rinascita della gente rispetto ad un potere dispotico ed oppressivo. Una situazione cosi’ remota, cosi’ lontana dalla realta’, da dover essere confinata nella letteratura di fantascienza. Un altro grandissimo precedente di “Aux Etats-Unis d’Afrique” e’ sicuramente il “Candide” di Voltaire, un pamphlet che espone una tesi molto decisa: questo mondo non e’ evidentemente il “migliore dei mondi possibili” di Pangloss (e di Leibnitz). I punti di contatto tra questi due testi sono molti ma indicherei in particolare l’ingresso di Maya a Parigi con le sue banlieues che sembra una citazione di quando Candido insieme a Pangloss racconta: <>. E’ stato anche detto che "Gli Stati Uniti D’Africa" e’ un romanzo postmoderno, perche’ una sua caratteristica e’ di rifarsi a testi e lavori pre-esistenti, elaborando un ricercato assemblaggio di citazioni. Sono d’accordo. Un altro riferimento forse piu’ nascosto ma secondo me importante e’ il Peter Handke di “Insulti al pubblico”. Un soliloquio per il teatro di avanguardia in cui lo spettatore viene insultato in tutti i modi possibili dall’attore. Dal momento che il testo di Waberi si rivolge prevalentemente ad un lettore europeo, l’immaginarlo povero e disperato stabilisce un chiaro parallelismo tra i due lavori. Questo porta a chiedermi quanto teatrale sia Waberi e quanto viceversa non lo sia Handke. Per inciso, Handke e’ stato spesso accusato di scrivere in modo gelido, e la sua forma-romanzo e’ estremamente particolare, moderna ed effettivamente molto di testa. Direi che chi ha digerito il geniale sperimentalismo estremo di Handke trovera’ Waberi “divertente”, “rilassante” e “popolare”. Inoltre credo che alcune parti di “Aux Etats-Unis d’Afrique” possano essere portate in teatro, magari per irritare ma anche per far discutere e divertire. Sarebbe ora di tornare all’avanguardia teatrale “di parola”. Riguardo a questa contiguita’, sono anche d’accordo con M.T.C. che fa il nome di Bertolt Brecht. Il legame, esplicito in questo caso, e’ evidente dalle didascalie che precedono ogni capitolo del libro e che si attengono all’estetica del teatro epico teorizzata dal drammaturgo tedesco. Affondando radici cosi’ profonde nella letteratura americana, francese, tedesca, ma essendo nello stesso tempo il testo di uno scrittore africano che scrive per l’Africa, personalmente considero “Aux Etats-Unis d’Afrique” anche come un notevole figlio della globalizzazione ed un esempio, riuscito, di letteratura senza frontiere. Un romanzo, quindi, sperimentale, innovativo ma anche impegnato. Ripeto, da non perdere.