a cura di Fiorenza Mormile
Il laboratorio di traduzione di poesia ha deciso di introdurre
accanto all’attività già avviata (dedicata quest’anno ad Eleanor Wilner) un
quaderno di traduzioni in omaggio a un poeta in visita a Roma: la statunitense
Marianne Boruch, che terrà un reading alla John Cabot University martedi 17 marzo alle 18.
Nella pur breve scelta si individuano tematiche ricorrenti: la violenza, la paura, l’attenzione ai corpi e alla loro fragilità, l’insistenza sulla loro disgregazione. Come in Hands, la sala di disegno e quella di anatomia si affiancano, necessarie entrambe. Il falco che divora la sua preda, smembrandola meticolosamente, sembra anticipare la dissezione anatomica della mano (Hands), le statue mutile del foro (At The Forum), così come i martoriati martiri di Old Paintings. La minaccia -della morte e non solo- aleggia costantemente sui vivi e la paura è l’inevitabile risposta, come ben sanno l’uccello che dall’alto assiste allo scempio della gracola (The Hawk) e la viaggiatrice notturna terrorizzata dai continui tentativi di forzare la porta del suo vagone letto (Old Paintings). “The old story. Threat meet dread” ci riconferma anche un passaggio chiave di Rom, Du Bist Ein Welt. Ma appare in Boruch anche un altro timore, quello di non ricordare tutto, di non riuscire a ricomporre a distanza, in una poesia, le forti emozioni del momento. Ecco quindi gli schizzi da Gran Tour nella casa di Keats, come la registrazione puntuale di tutti gli stimoli visivi e sonori (silenzio compreso), siano quelli di un cortile pieno di uccelli, dello sbatacchiare di ferraglia di un treno di notte o del vociare che dalla scalinata di Piazza di Spagna penetra nella silenziosa casa-museo. Boruch sa accendere anche inaspettati sprazzi di humour, collaudato antidoto alla melanconia: il braccio del cadavere che continua ad alzarsi (Hands), la statua del foro che “non tradisce il dolore per il pene smarrito” (At The Forum), l’aureola dei santi che sembra un piatto da torta ( Old Paintings). E dimostra anche grande capacità di sintesi: secoli di storia romana riassunti nel giro di pochi versi. La pratica di derivazione etrusca del seppellimento simbolico del fulmine ripropone indirettamente il tema della minaccia e della paura insieme a modalità antiche di esorcizzarle. Ma anche scrivere poesie, sembra dire Marianne Boruch, funziona.
Ad eccezione di The Hawk, che risale al 2004, le poesie tradotte sono tratte da Cadaver, Speak, edito da Copper Canyon Press nel 2014.
Nota biobibliografica
Nata e cresciuta a
Chicago (1950), Marianne Boruch ha al suo attivo otto raccolte di poesia. Le
più recenti sono The Book of Hours,
2013, per cui ha ricevuto l’ambitissimo Kingsley-Tufts Poetry Award, e Cadaver, Speak, uscito nel 2014. (La successiva,
Eventually One Dreams the Real Thing
, uscirà nel 2016). Ha pubblicato due raccolte di saggi sulla poesia, In the
Blue Pharmacy e Poetry’s Old
Air, e un’autobiografia, The Glimpse Traveler. Insegna sia alla
Purdue University (Indiana), dove ha fondato e diretto l’MFA Program di scrittura creativa, sia nel Program
for Writers del Warren Wilson College (North Carolina). Presente sulle più autorevoli riviste letterarie e in importanti
antologie è stata insignita di molteplici
riconoscimenti, tanto per la qualità letteraria che per quella
didattica.
Da
Poems: New & Selected, 2004
THE HAWK
He was halfway through the grackle
when I got home. From the kitchen I saw
blood, the black feathers scattered
on snow. How the bird bent
to each skein of flesh, his muscles
tacking to the strain and tear.
The fierceness of it, the nonchalance.
Silence took the yard, so usually
restless with every call or quarrel,
titmouse, chickadee, drab
and gorgeous finch, and the sparrow haunted
by her small complete surrender
to a fear of anything. I didn't know
how to look at it. How to stand
or take a breath in the hawk's bite
and pull, his pleasure
so efficient, so of course, of course,
the throat triumphant,
rising up. Not
the violence, poor grackle. But the
sparrow, high above us, who
knew exactly.
IL FALCO
Era a metà della gracola
quando tornai a casa. Dalla
cucina vidi
il sangue, le penne nere
sparpagliate
sulla neve. Come l'uccello si
piegava
su ogni matassa di carne, i
muscoli
protesi allo sforzo e allo
strappo.
La ferocia del tutto, la
noncuranza.
Il silenzio catturò il cortile,
di solito
scosso da liti o richiami,
cinciallegra, passero e
fringuello cinerino
e quello sgargiante, e la cincia
tormentata
dalla sua piccola resa totale
alla paura di ogni cosa. Non sapevo
come guardare. Come restare lì
o prendere fiato tra i morsi
e gli strappi del falco, il suo
piacere
così efficiente, così naturale,
naturale,
la gola in trionfo,
che si sollevava. Non
la violenza, povera gracola. Ma
la
cincia, alta sopra di noi, che
capiva ogni cosa.