Vi proponiamo la versione italiana di Specimen, uno dei testi che fanno parte della raccolta con cui Philip Schultz ha vinto nel 2008 il premio Pulitzer. La traduzione è stata elaborata nel corso del Laboratorio, che in questo ciclo 2013-2014 ha come oggetto appunto gli scritti del poeta statunitense. Sotto, la versione originale del testo.
Philip Schulz
Ho fatto sessant’anni l’anno scorso a Parigi.
Stavamo al Lutetia,
dove era acquartierata la Gestapo
durante la guerra, mia moglie, i due ragazzi ed io,
e molte anziane signore vietnamite
con barboncini dai collari di diamanti.
Una volta mio padre sorprese un uomo
che rubava sigarette da uno
dei suoi distributori automatici.
Non smise di stringergli la gola
fino a quando la sala da biliardo non puzzò di escrementi
e il corpo crollò a terra
come una sentenza.
L’ultima volta che ero stato a Parigi
ero povero in canna, mi imboscavo
dalla guerra del Vietnam.
Una sera, in una vecchia chiesa,
pensai di togliermi la vita.
Non capivo l’essere così giovane
e non appartenere a nessun luogo
in mezzo a tante sconcertanti melodie.
Amavo i bassi edifici bianchi,
i colori accattivanti, la luce antica.
Tanto lusso non faceva per noi.
Era una questione d’orgoglio.
Mio padre morì in bancarotta una settimana
prima di fare sessant’anni.
Non mi aspettavo di avere una famiglia;
Non mi aspettavo la felicità.
Al Lutetia erano tutti
vestiti come i modelli
da loro amati tutta la vita.
La gente scivolava lungo
guide di velluto rosso
come musica scintillante
che si sente solo una volta o due.
Tornando a casa, mio padre disse,
“Se permetti a qualcuno di rubarti qualcosa
non ce la puoi fare.”
Sedevo là, tranciato dalle luci del traffico,
senza appartenere a quel che diceva.
Appartenevo a una musica
scintillante e sconcertante
che non mi aspettavo di sentire.