giovedì 28 agosto 2014

Il racconto del giovedì - M. R. James, La mezzatinta

M. R. James
Tempo addietro credo di avere avuto il piacere di narrarvi un’avventura accaduta a un mio amico, di nome Dennistoun, mentre era impegnato a ricercare oggetti d’arte per il museo di Cambridge.
Di ritorno in Inghilterra, non ha reso note a molti le sue esperienze; ciò nondimeno non era possibile che queste non venissero a conoscenza di numerosi amici, e tra questi del gentiluomo che a quel tempo lavorava per il museo di un’altra università. Era comprensibile che la vicenda colpisse in modo particolare la mente di un uomo la cui missione nella vita è simile a quella di Dennistoun e che egli fosse ansioso di trovare una spiegazione dei fatti tale da rendere improbabile l’eventualità che mai si trovasse a dover affrontare un’emergenza così inquietante. Era un conforto per lui sapere che non era suo compito acquistare antichi manoscritti per l’università; di questo si occupava la Shelburnian Library. I direttori di quella istituzione potevano, se così piaceva loro, saccheggiare oscuri angoli del continente alla ricerca di manoscritti. Lui si rallegrava di essere per il momento costretto a limitare la sua attenzione all’arricchimento di una raccolta già ineguagliata di incisioni e disegni topografici inglesi. Pure, come risultò, anche un campo così casalingo e familiare può avere i suoi angoli bui, e il signor Williams si trovò inaspettatamente a conoscerne uno.
Quanti si siano interessati, sia pure in modo assai limitato, all’acquisto di quadri o disegni topografici conoscono l’esistenza di un mercante londinese il cui aiuto è indispensabile alle loro ricerche. J.W. Britnell pubblica con una frequenza regolare splendidi cataloghi di una raccolta vasta e sempre rinnovata di incisioni, mappe e disegni di case, chiese e città dell’Inghilterra e del Galles. Per il signor Williams, si intende, questi cataloghi rappresentavano l’abbici della sua materia: ma poiché il suo museo aveva già una quantità enorme di materiale topografico, Williams faceva acquisti regolari più che abbondanti; e si serviva di Britnell per colmare le lacune della sua raccolta più che per procurarsi rarità.
Ora, nel febbraio dello scorso anno, sulla scrivania di Williams al museo, venne a trovarsi un catalogo del negozio di Britnell accompagnato da un biglietto scritto a macchina dal signor Britnell in persona. Britnell scriveva:
Caro signore,
ci permettiamo di richiamare la sua attenzione sul numero 978 del catalogo accluso che saremo lieti di inviarle in esame. Sinceri saluti
J.W. Britnell
Cercare il numero 978 del catalogo accluso non richiese al signor Williams (come egli stesso osservò) più di un minuto, e al numero indicato trovò la seguente indicazione:
978. Artista ignoto. Interessante mezzatinta: Veduta di una dimora di campagna, prima metà del secolo. 15 pollici x 10; cornice nera. 2 sterline e 2 scellini.
Niente di particolarmente interessante, e il prezzo sembrava alto. Tuttavia, poiché il signor Britnell, che conosceva il suo mestiere e i suoi clienti, sembrava dare tanto peso alla cosa, Williams spedì una cartolina chiedendo che gli venisse inviato in esame quell’articolo insieme ad altre incisioni e disegni segnalati nello stesso catalogo. Quindi si dedicò, senza grandi attese, al consueto lavoro quotidiano.
I pacchi arrivano sempre un giorno dopo quello in cui li si attende, e il pacco del signor Britnell non fece (come credo si dica) eccezione alla regola. Arrivò al museo con la posta del sabato pomeriggio, quando Williams aveva già lasciato il lavoro, e venne di conseguenza portato dal sorvegliante alla sua stanza nel College, affinché egli non dovesse attendere lunedì prima di esaminarne il contenuto e restituire quello che non intendeva tenere. Williams lo trovò quando arrivò con un amico per il tè.

Il solo pezzo che qui mi interessi è la mezzatinta, piuttosto grande, incorniciata di nero, di cui ho già citato la breve descrizione del catalogo di Britnell. Sarà necessario fornire qualche altro particolare, sebbene io non possa sperare di mettervi davanti agli occhi un’immagine del quadro chiara quanto quella che ho nella mente. Copie quasi esatte se ne trovano in molte salette di locande o nei corridoi di tranquille case di campagna. Era una mezzatinta di non grande valore, e una mezzatinta di non grande valore è forse la peggior forma di incisione possibile. Raffigurava la veduta frontale di una dimora di campagna del secolo scorso non molto vasta, con tre file di semplicissime finestre circondate da una cornice al rustico, un parapetto con palle o vasi agli angoli e un piccolo portico al centro. Era fiancheggiata da alberi e aveva davanti un’ampia distesa di terreno. Sul margine inferiore si leggeva: “A.W.F. sculpsit”; non vi erano altre indicazioni. Nell’insieme sembrava opera di un dilettante. Come poteva pensare Britnell di chiedere 2 sterline e 2 scellini per quel pezzo, Williams non riusciva a immaginarlo. Lo voltò con molto disprezzo; sul verso c’era un foglietto di cui era stata strappata la parte sinistra. Restava soltanto la fine di due righe di scrittura: sulla prima si leggevano le lettere: ngley Hall; sulla seconda ssex.
Poteva forse essere interessante identificare il luogo rappresentato, e Williams avrebbe potuto agevolmente farlo con l’aiuto di un dizionario geografico, quindi avrebbe restituito la mezzatinta al signor Britnell accompagnandola con qualche osservazione sul discernimento di quel signore.
Accese le candele, poiché era ormai buio, preparò il tè e l’offrì all’amico con cui aveva giocato a golf (poiché credo che le autorità dell’università di cui scrivo si dedichino a quel gioco per distrarsi); e il tè venne preso con l’accompagnamento di una conversazione che i giocatori di golf possono immaginare da soli ma che lo scrittore scrupoloso non ha il diritto di infliggere ai non giocatori.
La conclusione fu che alcuni tiri avrebbero potuto essere migliori e che in determinate circostanze nessuno dei due giocatori aveva goduto di quella fortuna che un essere umano ha il diritto di aspettarsi.
Fu allora che l’amico – chiamiamolo professor Binks – prese l’incisione e disse: «Che posto è questo, Williams?»
«È appunto quello che cercherò di scoprire» rispose Williams andando alla libreria per prendere il dizionario. «Guarda sul retro. Chissacosangley Hall, nel Sussex o nell’Essex. Una metà del nome è sparita come vedi. Immagino che tu non sappia che posto è?»
«Viene da quel tale Britnell, no?» chiese Binks. «È per il museo?»
«Credo che la comprerei se costasse cinque scellini, ma per misteriosi motivi ne vuole due ghinee. Non riesco a immaginare perché. È una orrenda incisione e non ci sono neppure figure ad animarla.»
«No, non credo valga due ghinee,» annuì Binks «ma non mi sembra tanto mal fatta. La luce lunare è resa in modo piuttosto efficace; e direi che ci sono figure, o almeno una figura, proprio sul davanti.»
«Lasciami guardare. Sì, è vero, la luce è data bene. Dove la figura? Oh, sì! Soltanto la testa, esattamente sul davanti.»
E c’era davvero – poco più che una macchia scura sul bordo estremo dell’immagine – la testa di un uomo o di una donna, molto confusa, voltata di spalle, che guardava la casa.
Williams non l’aveva vista prima.
«Però» disse «sebbene sia migliore di quel che avevo creduto, non posso spendere due ghinee del museo per l’immagine di un luogo che non conosco.»
Il professor Binks aveva il suo lavoro e si congedò presto; e quasi fino all’ora di cena Williams fu occupato nel vano tentativo di identificare il soggetto del quadro. “Se soltanto fosse rimasta la vocale prima di ng, sarebbe stato facile” pensava “ma così il nome può essere un nome qualsiasi, da Guestingley a Langley, e ci sono più nomi in gley di quanto pensassi; questo sciagurato dizionario, poi, non ha un indice delle finali.”
La cena nel college di Williams era alle sette. Non sarà necessario soffermarcisi troppo; tanto più che Williams vi incontrò i colleghi che avevano giocato a golf quel pomeriggio, e da un capo all’altro della tavola si incrociarono liberamente parole che non ci riguardano... soltanto parole relative al golf, mi affretto a spiegare.
Immagino che un’ora circa sarà stata dedicata al dopocena in comune. Più tardi alcuni andarono nell’appartamento di Williams, dove non dubito che si giocasse al whist e si fumasse. In un intervallo di queste occupazioni, Williams prese dal tavolo la mezzatinta senza guardarla e la porse a un collega, blandamente interessato all’arte, spiegandogli di dove venisse e gli altri particolari che già conosciamo.
Il collega la prese con indifferenza, la guardò, quindi disse con un certo interesse: «È un lavoro ottimo, Williams; pieno dell’atmosfera dell’epoca romantica. La luce è data in modo splendido, a mio parere, e la figura, sebbene troppo grottesca, è davvero d’effetto.»
«Già, proprio così» annuì Williams, che stava offrendo whisky-and-soda agli altri della compagnia e non poteva attraversare la stanza per guardare nuovamente la veduta.
Ormai era piuttosto tardi e i visitatori stavano andandosene. Poi Williams doveva scrivere una o due lettere e concludere alcuni piccoli lavori. Infine, dopo mezzanotte, si preparò ad andare a dormire, e spense la lampada dopo aver acceso la candela della camera da letto. La mezzatinta era sul tavolo, dove l’aveva lasciata l’ultimo che l’aveva guardata, e richiamò la sua attenzione mentre spegneva la lampada. Quello che vide gli fece quasi cadere di mano la candela, e ora afferma che se fosse rimasto al buio in quel momento avrebbe probabilmente avuto un attacco di cuore. Poiché non accadde così, poté appoggiare la lampada sul tavolo e guardare bene l’immagine. Era innegabile... categoricamente impossibile, senza dubbio, ma assolutamente certo. In mezzo al prato di fronte alla casa sconosciuta c’era una figura, dove non c’era stata nessuna figura alle cinque del pomeriggio. Si trascinava a mani e piedi verso la casa ed era avvolta in una strana cappa nera con una croce bianca sulla schiena.
Non so quale sia la strada migliore da seguire in una situazione simile. Posso soltanto dirvi che cosa fece il signor Williams. Prese l’incisione per un angolo e la portò lungo un corridoio verso un’altra parte dell’appartamento. Poi la chiuse a chiave in un cassetto, chiuse le porte dei due appartamentini e si coricò; ma prima scrisse e firmò una descrizione dello straordinario mutamento subito dall’incisione da quando era entrata in suo possesso.
Il sonno lo raggiunse piuttosto tardi; ma era consolante riflettere che la condotta del quadro non riposava soltanto sulla sua isolata testimonianza. Evidentemente l’uomo che l’aveva guardata la sera prima aveva visto più o meno quello che aveva visto lui; altrimenti sarebbe stato tentato di credere che stesse succedendo qualcosa di molto grave alla sua vista o al suo intelletto. Esclusa fortunatamente questa possibilità, due problemi lo attendevano al mattino. Doveva esaminare molto attentamente l’incisione, e chiamare per questo un testimone, e doveva fare ogni sforzo per stabilire quale fosse la casa rappresentata. Avrebbe dunque chiesto all’amico Nisbet di fare colazione con lui e avrebbe trascorso la mattina studiando il dizionario.
Nisbet non aveva impegni e arrivò verso le nove e mezzo. Il suo ospite, mi duole dirlo, non era perfettamente vestito neppure a un’ora così tarda. Durante la colazione Williams non parlò della mezzatinta, se non per dire che aveva un’incisione per cui avrebbe gradito il parere di Nisbet. Ma quanti hanno familiarità con la vita universitaria sapranno immaginare l’ampio e appassionante spettro degli argomenti sui quali può vertere la conversazione di due membri del Canterbury College una domenica mattina, a colazione. Nessun argomento possibile fu trascurato, dal golf al tennis. Tuttavia, non posso tacere che Williams non era molto attento; poiché il suo interesse si concentrava naturalmente sulla stranissima incisione che riposava ora, a faccia in giù, nel cassetto della stanza di fronte. Venne accesa la pipa mattutina, e giunse il momento che egli attendeva. Con grande – quasi tremula – eccitazione, corse nella stanza, aprì il cassetto, e, prendendone l’incisione sempre a faccia in giù, tornò correndo da Nisbet e gliela mise tra le mani.
«E ora» disse «vorrei che tu mi dicessi esattamente che cosa vedi in questa immagine, Nisbet. Descrivila, se non ti dispiace, minuziosamente. Poi ti dirò perché.»
«Ecco,» spiegò Nisbet «è una veduta di una dimora di campagna... inglese, immagino... sotto la luna.»
«La luna? Ne sei certo?»
«Assolutamente. Se vuoi che sia più preciso, sembra una luna calante, e nel cielo ci sono nuvole.»
«Bene. Continua. Giurerei» aggiunse Williams tra sé «che non c’era luna quando l’ho vista la prima volta.»
«Non c’è molto da dire» continuò Nisbet. «La casa ha una, due, tre file di finestre, cinque in ogni fila, salvo in quella in basso, dove c’è un portico al posto della finestra centrale, e...»
«E le figure?» chiese Williams, con palese interesse.
«Non ci sono figure» rispose Nisbet «ma...»
«Come! Non c’è una figura sul prato di fronte alla casa?»
«Non c’è niente.»
«Potresti giurarlo?»
«Certo che potrei. Ma c’è un’altra cosa da dire.»
«Cosa?»
«Ecco, una delle finestre al pianterreno – a sinistra della porta – è aperta.»
«Davvero? Povero me! deve essere entrato» disse Williams, eccitatissimo; si affrettò al divano dove sedeva Nisbet e, prendendogli di mano l’incisione, guardò lui stesso.
Era vero. Non c’era nessuna figura e una finestra era aperta. Williams, dopo un istante di stupefatto silenzio, andò allo scrittoio e scrisse per breve tempo. Quindi portò due fogli a Nisbet e gli chiese prima di firmarne uno – si trattava della sua descrizione del quadro, che avete appena sentito – poi di leggere l’altro, la testimonianza di Williams scritta la sera prima.
«Che cosa significa?» chiese Nisbet.
«Per l’appunto» rispose Williams. «Bene, una cosa devo farla... o piuttosto tre cose, ora che ci penso. Devo sapere da Garwood» – il suo ospite della sera prima – «che cosa ha visto, poi devo far fotografare l’incisione prima che cambi ancora, e poi devo sapere che luogo ritrae.»
«Posso fare io stesso la fotografia e la farò» disse Nisbet. «Ma, vedi, sembra proprio che stiamo assistendo allo svolgersi di una tragedia. Il problema è: è già accaduta o deve ancora accadere? Devi scoprire di quale luogo si tratti. Sì,» aggiunse guardando nuovamente l’immagine «immagino che tu abbia ragione: è entrato. E se non mi sbaglio, ci sarà una bella confusione in una delle stanze ai piani superiori.»
«Senti» disse Williams. «Porterò l’incisione al vecchio Green» (era il membro più anziano del College, per parecchi anni tesoriere). «E probabile che lui lo sappia. Abbiamo proprietà nell’Essex e nel Sussex e deve essere stato spesso a suo tempo nelle due contee.»
«Molto probabile, ma prima fammi scattare la fotografia. E poi, senti, penso che oggi Green non ci sia. Non era a cena ieri sera e credo di avergli sentito dire che andava via domenica.»
«Sì, è vero» annuì Williams. «So che è andato a Brighton. Bene, se la fotografi adesso, andrò da Garwood per avere la sua testimonianza, e tu tieni d’occhio l’incisione mentre io sono via. Comincio a pensare che due ghinee non siano un prezzo eccessivo.»
Tornò poco dopo portando con sé Garwood. Garwood aveva affermato che la figura, quando l’aveva vista, non era più sul bordo dell’immagine ma non si era inoltrata molto sul prato. Ricordava un segno bianco sulla schiena della veste, ma non era certo che fosse una croce. Venne stesa una testimonianza scritta e firmata, e Nisbet fotografò l’immagine.
«E adesso che cosa pensi di fare?» chiese. «Stare seduto a guardarla tutto il giorno?»
«No, non credo. Penso che sia volontà di qualcuno farci assistere all’intera vicenda. Vedi, tra il momento in cui l’ho guardata la scorsa notte e questa mattina, c’era tempo perché accadessero molte cose, ma l’essere si è limitato ad entrare in casa. Avrebbe avuto il tempo di fare quello che doveva fare e di tornare al suo posto; ma se la finestra è aperta, vuol dire che in questo momento è in casa. Quindi non mi preoccupa lasciarla qui. Inoltre, ho come la sensazione che non cambierebbe molto, o forse affatto, durante il giorno. Possiamo andare a fare una passeggiata questo pomeriggio e rientrare per il tè o appena fa buio. La lascerò qui sul tavolo, e chiuderò la porta. Può entrare il cameriere, ma nessun altro.»
Tutti e tre furono d’accordo: il piano era buono; inoltre, se avessero trascorso il pomeriggio insieme, avrebbero avuto minori possibilità di parlare della cosa con altre persone; poiché al minimo sentore di quello che stava succedendo, l’intera Società Fasmatologica gli sarebbe piombata addosso.
Possiamo dunque lasciarli tranquilli fino alle cinque.
Alle cinque o verso le cinque, i tre salivano le scale di Williams. Dapprima si infastidirono vedendo che la porta non era chiusa; ma subito ricordarono che la domenica gli inservienti venivano circa un’ora prima. Tuttavia, una sorpresa li attendeva. Videro per prima cosa l’incisione appoggiata a una pila di libri sul tavolo, come era stata lasciata, quindi il cameriere di Williams, seduto di fronte, su una sedia, che la fissava con assoluto orrore. Perché? Il signor Filcher (il nome non l’ho inventato io) era un cameriere di non poco prestigio, modello di etichetta per tutto il suo college e molti college vicini, e nulla era estraneo alle sue abitudini quanto il farsi trovare seduto sulla sedia del padrone o avere l’aria di notare in modo particolare i mobili o i quadri del padrone. Sembrava in verità che lui stesso ne fosse consapevole. Sussultò con violenza quando i tre uomini entrarono nella stanza e si alzò con palese sforzo.
«Le chiedo scusa, signore, per essermi preso la libertà di sedermi.»
«Non ha importanza, Robert. Intendevo chiederti prima o poi che cosa pensi di quel quadro.»
«Ecco; signore, naturalmente non voglio paragonare le mie opinioni alle sue, ma non è il tipo di quadro che terrei appeso dove potesse vederlo mia figlia, signore.»
«No, Robert? E perché?»
«Ecco, signore; la povera bambina una volta ha visto un libro con delle illustrazioni neanche paragonabili a questa, e poi abbiamo dovuto stare con lei per
due o tre notti, mi creda; e se dovesse dare un’occhiata a quello scheletro, o quello che è, che rapisce il povero piccolino, le verrebbe una crisi. Sa come sono i bambini, come si agitano per una cosetta da nulla, eccetera. Ma vorrei dirle che non mi sembra un quadro da tenere in giro, signore, non dove potrebbe capitare qualcuno che si spaventa facilmente. Ha bisogno di qualcosa questa sera, signore? Grazie, signore.»
Con queste ultime parole quell’uomo eccellente continuò a fare il giro dei suoi padroni, e credete pure che i gentiluomini che aveva appena lasciato non persero tempo prima di radunarsi attorno all’incisione. C’era la casa, come prima, sotto la luna calante e gli strappi di nuvole. La finestra che era stata aperta era chiusa, e la figura era di nuovo sul prato: ma questa volta non si trascinava cautamente a mani e piedi. Ora era in piedi e camminava a passi rapidi e lunghi verso il davanti dell’immagine. La luna era alle sue spalle, e il mantello nero le copriva il volto, di cui si poteva vedere soltanto qualche accenno, ma quel che si vedeva ispirò pensieri di profonda gratitudine ai tre uomini al pensiero di non poter vedere altro che una ampia fronte bianca e pochi capelli scomposti. La testa era china e le braccia stringevano un oggetto che si vedeva appena e che poteva venir identificato come un bambino, morto o vivo non era comprensibile. Si vedevano con chiarezza soltanto le gambe dell’apparizione, e erano orribilmente esili.
Dalle cinque alle sette i tre compagni sedettero a turno a osservare l’incisione. Ma non cambiò mai. Infine decisero che potevano lasciarla e che sarebbero rientrati dopo cena in attesa di nuovi sviluppi.
Quando tornarono a riunirsi, al più presto possibile, l’incisione era sempre al suo posto, ma la figura era sparita e la casa era quieta sotto la luna. Non potevano fare altro che trascorrere la serata consultando dizionari geografici e guide turistiche. Il fortunato fu Williams, e forse lo meritava. Alle undici e mezzo lesse nella Guida dell’Essex di Murray le righe seguenti:

"Sedici miglia e mezzo, Anningley. La chiesa era un edificio interessante di epoca normanna, ma è stata ampiamente restaurata in stile classico nel secolo scorso. Vi si trova la tomba della famiglia Francis, la cui dimora, Anningley Hall, una bella casa in stile Regina Anna, sorge immediatamente dietro il cimitero in un parco di circa 80 acri. La famiglia è ora estinta; l’ultimo erede è scomparso misteriosamente nella prima infanzia nell’anno 1802. Il padre, Arthur Francis, era noto a livello locale come buon incisore dilettante di mezzetinte. Dopo la scomparsa del figlio visse in completa solitudine e venne trovato morto nel suo studio il giorno del terzo anniversario della sciagura, subito dopo aver completato un’incisione della casa, i cui esemplari sono ora rarissimi."

Finalmente qualcosa di concreto; infatti, al suo ritorno, Green riconobbe subito nella casa Anningley Hall.
«È possibile spiegare in qualche modo la figura, Green?» chiese, comprensibilmente, Williams.
«Non saprei proprio, Williams. Quello che si diceva sul posto quando ci andai per la prima volta, prima di venire qui, è questo: il vecchio Francis era molto severo con i bracconieri, e appena poteva faceva cacciare dalla proprietà chiunque sospettasse di cacciare di frodo; a poco a poco finì per liberarsi di tutti tranne uno. Gli squires allora
potevano fare molte cose che adesso neppure si azzarderebbero a pensare. Dunque, l’uomo rimasto era, come succede spesso in quella contea, l’ultimo di una famiglia molto antica. Credo che in qualche periodo fossero stati loro i signori del castello. Ricordo che lo stesso è accaduto nel mio comune.»
«Come l’uomo in Tess dei d’Urberville»12 osservò Williams.
«Già, immagino; non è un libro che riuscirei mai a leggere. Quel tale poteva mostrare tutta una fila di tombe in chiesa che appartenevano ai suoi antenati, e questo lo inacidiva un poco; ma Francis, sembra, non lo coglieva mai sul fatto – era molto attento a non violare apertamente la legge – finché una sera lo colsero i guardacaccia in un bosco ai confini della proprietà. Potrei mostrarvi il posto; confina con una terra che apparteneva a un mio zio. Immaginerete che ci fu una bella lotta e quel tale, Gawdy (si chiamava così, certo – Gawdy; ero sicuro di ricordarmelo – Gawdy), ebbe la sventura, povero diavolo!, di sparare a uno dei guardacaccia. Era quello che voleva Francis, e le giurie... lo sapete come erano allora; il povero Gawdy venne impiccato in men che non si dica. Mi hanno mostrato il posto in cui è stato seppellito, sul lato nord della chiesa... conoscete l’usanza di quelle parti: chi è stato impiccato o si è ucciso viene sempre seppellito sul lato nord. E si diceva che un amico di Gawdy – non un parente, perché non ne aveva, povero diavolo!, era l’ultimo della sua famiglia: come dire spes ultima gentis – avesse deciso di impadronirsi del figlio di Francis per metter fine anche alla sua discendenza. Non so – è un modo piuttosto insolito di pensare per un bracconiere dell’Essex – ma adesso, vedete, sembra piuttosto che sia stato il vecchio Gawdy a fare le cose da sé Mah! Detesto pensarlo! Prenda un whisky, Williams.»
La cosa venne riferita da Williams a Dennistoun e da questo a diverse persone, tra cui me e lo scettico professore di ofiologia. Mi duole dire che quest’ultimo, richiesto di che cosa ne pensasse, si limitò a osservare: «Oh, la gente di Bridgeford dice qualsiasi cosa», commento che ottenne l’accoglienza che meritava.
Aggiungerò soltanto che la mezzatinta è ora nello Ashleian Museum; che è stata trattata in modo da scoprire se fosse stato usato inchiostro simpatico, ma senza alcun risultato; che il signor Britnell non ne sapeva nulla, se non che era, non aveva dubbi, un pezzo raro; e che, sebbene attentamente osservata, non si è saputo che sia cambiata mai più.

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