G. Luca Chiovelli
Antonio Pascale, Le attenuanti sentimentali
Einaudi, pp. 232, euro 19,50
Finalmente
un libro da cui spremere qualcosa. Un libro che non è un romanzo, né un saggio;
forse un pamphlet; sicuramente una raccolta d'impressioni e di scatti umorali.
Antonio Pascale, casertano di Caserta, ora monteverdino (nuovo), dipendente
del Ministero delle Politiche Agricole, ha dalla sua un incedere obliquo,
risentito, polemico, divertito; inusuale. Questo, per me, è già un pregio. Nel
libro rilevano i rapporti con le donne (amiche, mogli, figlie, figlie di
amici), la mezza età, i mutamenti antropologici dell'italiano, la stupidità, gli
scazzi improvvisi, le eccentriche interpretazioni scientifiche della realtà
sociale (eccentriche rispetto alla medietà dei loci communes) e, soprattutto,
l'insofferenza verso la carineria.
La
carineria intellettuale, il buonismo. Il biologico. L'odio verso il biologico,
inteso come modo di vita alternativo, come ritorno all'antico: lo slow food, la
decrescita felice: questo lo fa imbestialire e costituisce il bordone tematico
dell'opera tanto da risuonare in ogni pagina, anche quando l'autore sembra
parlare d'altro. Pascale, infatti, si imbestialisce: non risparmia nessuno. Non
che il Nostro non sia d'accordo con l'istanza prima dei biologici: le risorse
del pianeta sono agli sgoccioli: su questo conviene. È nella risposta che egli
dissente; e lo fa con furia scoglionata lungo l’intero libro. Egli afferma: la
risposta non è nel ritorno alla lentezza, alle macine da mulino, ai muretti a
secco, a tutto il bric-à-brac da Mulino Bianco che informa gli hipster
dell'alimentazione; la risposta, come è sempre stato, risiede nella scienza, o
meglio, nel metodo scientifico d'affrontare i problemi: soppesare le evenienze,
compulsare dati, sparnazzare tomi pieni di statistiche storiche, sceverare
soluzioni, bocciare i passi falsi, farsi cautelosi, ma, sempre, porsi il
problema, perché la realtà – insegna Pascale - va accettata come problema e i
problemi sono fatti per essere risolti; i carini (col vinello biologico, la
paura del nuovo, il misoneismo a priori) rifuggono la realtà per rintanarsi
in un passato idealizzato che, secondo lui, tanto ideale non era: anzi, la figura del contadino felice, arcadica o
goethiana, è una stampa d'Épinal, immaginosa e priva di fondamento: i contadini
di una volta, come i nonni di Pascale, tendevano alla sobrietà forzata, altro
che slow food.
Solo
dalla tecnologia la liberazione: i concimi di sintesi, i diserbanti, gli
agrofarmaci hanno affrancato gli antenati dalle ristrettezze di una condizione
feudale; e lavatrici e frigoriferi hanno operato in tal senso sulle antenate.
Zoppas e Ignis, sono, quindi, le vere femministe del Novecento.