di Roberta Rondini
Nel centenario della nascita di Luigi Squarzina, alle iniziative messe in campo per ricordare un pezzo da novanta del nostro teatro contemporaneo si aggiunge ora questo corposo numero monografico di ARIEL, curato da Marina Marcellini ed Elio Testoni e presentato lo scorso 24 marzo al teatro Argentina.
Il volume mostra più di
un motivo di interesse, i curatori hanno disegnato infatti un itinerario in tre
parti, non convenzionale, che raccoglie saggi, testimonianze dirette e una
sezione documentale riservata a due carteggi epistolari, in gran parte inediti,
che si scambiarono, fin da giovanissimi, gli amici Luigi Squarzina, Vittorio
Gassman e Luciano Salce.
Un lavoro a più voci e da
più prospettive, ampio e approfondito, che arricchisce di sfaccettature non
secondarie la comprensione della personalità e del molteplice operato di
Squarzina, drammaturgo, regista, studioso, docente universitario, che “ha
inciso profondamente non solo sulla scena teatrale del proprio tempo, ma più in
generale ha contribuito alla crescita culturale del nostro paese.”[1]
Dai saggi ne esce
rafforzato il profilo di un intellettuale che ha dato un contributo
straordinario alla cultura del paese e, con l’attività registica e in veste di Direttore
dei Teatri stabili di Genova e di Roma, ha fiutato e poi assecondato necessità,
criticità, bisogni sociali e collettivi che emergevano negli anni sessanta/ottanta
del secolo scorso.
Il saggio di Edo
Bellingeri e le testimonianze raccolte nella seconda parte - interviste agli
attori Eros Pagni, Giancarlo Zanetti, Tullio Solenghi, al regista Piero
Maccarinelli - approfondiscono in particolare le due esperienze di direzione.
Alla guida dello stabile
di Genova (1962-1976) “porta in dote il successo artistico-professionale
sperimentato nelle sue quarantasei messeinscena, il rilevante bagaglio
culturale e il metodo della ricerca scientifica, acquisiti, specialmente, ma
non solo, nel suo impegno lavorativo all’Enciclopedia dello Spettacolo, la sua
concezione del rapporto tra l’uomo e la storia”.[2]
A Roma (1976-1983) accetta
l’incarico in tempi molto tumultuosi, dominati, a livello nazionale, da
fenomeni politico-sociali impegnativi e laceranti – per tutti, il sequestro
Moro e il terrorismo – e dalla generale crisi dei teatri a gestione pubblica, sul
versante ristretto, locale, dalle forti passività di bilancio e dall’enorme
difficoltà nel governare un teatro stabile dominato da conflitti, sovrapposizioni
e ingerenze enormi della politica. Ma, con lui, “negli anni 1970-1978, Roma
riacquista la sua centralità culturale”, poiché Squarzina lascia un’impronta
originale e produttiva a impostazioni per l’oggi scontate, instaurando “una
rete di relazioni che trasforma il Teatro di Roma nel modello d’una
programmazione che si estende dal centro cittadino alle periferie, ai territori
della provincia e della regione, che spazia dai più avanzati sperimenti della
ricerca artistica all’animazione, alla teatralizzazione degli spazi urbani
nelle piazze e nei parchi.”[3]
Altrettanto stimolanti sono
le analisi sulla sua attività registica, con riferimento alle messeinscena dei
testi di Goldoni e Pirandello, della quale viene sottolineata in particolare
l’originalità dell’orientamento metodologico, innanzitutto nell’approfondimento
filologico dei testi, con lo scomporre e scavare nella scrittura delle opere,
ricercando con metodo scientifico le fonti, analizzando le redazioni originarie
e mettendo in luce aspetti originali e significanze di maggiore attualità rispetto
ai periodi delle originarie stesure.[4]
Squarzina si propone perciò “come esempio di un
modello di regia ‘filologica’, una regia che ha il suo compito più alto nel
fiero corpo a corpo con il testo”. Del resto, ciò è molto evidente dalla
consistenza e dalla composizione della sua biblioteca, ricca di oltre 5000
volumi, ora all’Istituto per il Teatro e
il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini a Venezia, per espressa volontà
dello scomparso regista. Una biblioteca che parla di tutto il suo interesse per
i classici - la tragedia attica, Shakespeare, Goldoni, Pirandello, Brecht e
Sartre - per la drammaturgia contemporanea (soprattutto americana e italiana) e
per gli sperimentalismi delle avanguardie[5].
Uno dei pezzi forti del
volume, tuttavia, è serbato nella terza parte, quella documentale, con la
pubblicazione dei due carteggi Squarzina–Gassman
e Squarzina–Salce che rilasciano il ritratto
di tre forti personalità artistiche - tutti e tre nati nel 1922 - dalla
giovinezza fino alla maturità e dai quali emergono tratti significativi delle
loro vite, del modo di essere e della loro concezione del fare teatro e
cultura. Sono testimonianze preziose di una fase personale e collettiva di tre
figure pubbliche che in modi diversi avrebbero fornito al Paese contributi
culturali degni di nota e indirettamente anche di un’epoca storica nostrana.
Il lavoro effettuato dai
due curatori, Marcellini e Testoni, è notevole per l’accuratezza e la scrupolosità
con la quale hanno rinvenuto, copiato e infine annotato gli epistolari, contestualizzandoli,
un’operazione filologica importante che approfondisce aspetti personali,
professionali e culturali di tre protagonisti della scena pubblica italiana.
L’epistolario Squarzina-Gassman, redatto tra il 1937 e
il 1953, consta di 78 lettere ed è purtroppo squilibrato a favore del primo
corrispondente poiché nell’archivio Gassman sono presenti solo cinque epistole
di Luigi a Vittorio. Le lettere, manoscritte e autografate, sono in gran parte
inedite (69). La corrispondenza è conservata nell’Archivio Squarzina, donato
dal regista alla Fondazione Gramsci
che ha provveduto ad inventariare e a informatizzare tutti i documenti.
Le prime lettere, redatte
tra il 1937 e il 1940, illuminano un’amicizia tra due adolescenti, un rapporto
importante per le loro maturazioni, e sono scritte con toni da affettuosi ad aspri,
tipici degli sbalzi umorali dell’età ma che già denotano una capacità
riflessiva significativa. Sono ragazzi molto giovani eppure guidati da un forte
impegno nelle letture e nella produzione di versi, evidente da ciò che leggono,
dalle citazioni dotte che sono in grado di manifestare e dalla capacità di formulare
critiche e analisi qualificate; ma si scambiano per lettera, anzi per cartolina
postale, anche confidenze e spiritosaggini del quotidiano, insomma si aiutano a
crescere. Sono lettere sorprendenti di due giovanissimi ambiziosi nella loro
contemporaneità che, lette in sequenza, danno il senso del loro essere in quel
momento storico, dei loro desideri, delle loro aspettative e anche dei loro
‘egoismi’ potremmo dire adolescenziali per i quali il mondo per loro rilevante,
quello culturale, non si affacciava nemmeno per un attimo sul mondo storico (drammatico)
del momento, anzi lo snobbava.
“Gassman amava anche la
poesia di Dante, Leopardi, Petrarca, i poeti ermetici e il grande romanzo
dell’Ottocento, Stendhal, Flaubert” e
Squarzina “scrive poesie d’amore, melanconiche, metafisiche, di una
certa musicalità ed eleganza metrica che denotano una maturità creativa e una
serietà d’impegno.” In queste lettere “l’assoluta mancanza di impressioni, di
riflessioni e di valutazioni sulla tragicità del momento storico e sulle
prospettive drammatiche che si annunciano per l’Italia e per l’Europa” è il leit motiv che sorprende.
Le lettere della prima
giovinezza, tra il 1942 e il 1945, mostrano la consapevolezza dei cambiamenti,
la nostalgia per il breve passato ma anche la coscienza della maturazione
progettuale e della creatività che la lettura dei grandi libri consolida e
agevola. Parlano dei primi passi nella formazione professionale e si affacciano
le differenze caratteriali, le conseguenti scelte di vita che matureranno in
seguito, fino alla rottura definitiva della loro amicizia e della loro
frequentazione dal 1953, che diventeranno evidenti nelle lettere dell’età
adulta (1946-1953) quando, a passi lenti ma inesorabili, si approssima la fase
finale di un rapporto che era stato intensissimo ma anche foriero dei
successivi e definitivi allontanamenti.
Dirà Squarzina “accorato”: “era un’amicizia
adolescenziale, evidentemente destinata a finire […] lui era troppo attore ed
io troppo regista.”
Il carteggio Squarzina-Salce è composto da 50
lettere, 43 inedite, manoscritte e autografate tranne una, in un periodo di
tempo che va dal 1940 al 1953. A differenza del primo, è un epistolario
equilibrato (26 a 24), conservato nell’Archivio Squarzina e nell’archivio
privato Salce, messo a disposizione dal figlio, Emanuele. Anche in questo caso,
il carteggio è testimonianza viva e struggente del crescere di due giovani fino
all’età adulta e “racconta la serietà, l’ironia e l’impegno culturale
dell’adolescenza, il dolore, il disagio di Luigi per la partenza di Luciano per
il servizio militare in una guerra ormai perduta, l’orribilità della prigionia
di Luciano in Germania e in Austria, lo struggimento per il tempo passato e
l’angoscia e la disperazione al ritorno in patria e la progettualità e la
strategia per un avvenire teatrale comune.” Come nell’altro epistolario, negli
anni cinquanta le loro strade iniziano a separarsi anche se senza uno strappo
forte, con un affetto nostalgico che rimarrà sempre di sottofondo.
Dice Salce nell’ultima lettera scritta da San Paolo
del Brasile nel febbraio del 1953: “Se riuscissimo a farci, una volta l’anno,
di queste domande, e, ciò è men facile, a rispondervi, penso che salveremo
costantemente il nucleo della nostra amicizia.”
[1] Maria
Ida Biggi, “valorizzare le eccellenze: Luigi Squarzina e l’attività del
Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita”, in Ariel,
n. 7/8, gennaio/dicembre 2022.
[2] Elio
Testoni, “Luigi Squarzina, La direzione artistica del Teatro stabile di Genova
(1962-1976): il punto di vista degli attori”, ivi.
[3] Edo
Bellingeri, “Con Squarzina al teatro di Roma. Regia e registica”, ivi.
[4] Fabio
Nicolosi, “Squarzina e Pirandello. Le regie pirandelliane negli anni della
libera professione come regista indipendente”, ivi.
[5] Emanuela
Chichiriccò, “Nel riflesso della pagina. Il Goldoni di Squarzina nella
biblioteca del regista”. Ivi.
Nessun commento:
Posta un commento