Maria Cristina Reggio
Il regista Nicola Russo racconta in Vecchi per niente al Teatro Vascello (in scena fino al 14 aprile) la vita di due uomini e due donne non più giovani, e lo fa insieme con gli attori Benedetta Barzini, Sara Borsarelli, Teresa Piergentili Marco Quaglia, Agostino Tazzini, Guido Tonetti: niente è più difficile che superare uno stereotipo così radicato nella società attuale come quello legato alla vita della maggior parte dei vecchi, esiliati dalla tecnologia e dunque da quella che oggi è la dimensione sociale più frequentata, e le cui le cucine e soggiorni sono bombardate dagli spettri televisivi di malattie, dolori muscolari, artrosi e incontinenze che ottundono le giornate trascorse prevalentemente a casa, spesso in compagnia delle badanti.
Lo spettacolo, filtrato dalle teorie di Hilmann sul carattere, si vuole snodare con una prospettiva ribaltata, per cui i personaggi non vivono solo nel presente, ma frequentano continuamente il loro passato, alla ricerca ciascuno del proprio rapporto con i rispettivi genitori. Ma una domanda sorge spontanea: i vecchi veri non hanno sempre uno sguardo rivolto poco al loro presente, ma piuttosto verso il proprio passato individuale più remoto? E non è anche questo un luogo comune? Quante nonne e nonni ripetono con estrema vividezza il racconto di quando erano bambini, senza riuscire e ricordarsi cosa hanno fatto il giorno prima. Ma l'assenza di una vera novità non cambia molto nella resa comunque interessante e problematica di questo breve spettacolo, in cui quattro attori-personaggi che indossano una maschera coincidente con il proprio corpo e il proprio nome, Teresa, Benedetta, Agostino e Guido, si incontrano in scena per intrecciare i propri racconti. Sul palco non ci sono elementi di arredo al di fuori di quattro sedie , mentre lo sfondo è un fondale verde cromakey, come quelli che si usano in televisione dietro ai giornalisti del tg per fare apparire, dietro di loro, le scene registrate in altri luoghi del mondo.
Quindi Teresa, Benedetta, Agostino e Guido abitano in un luogo senza definizioni spaziali e temporali, catapultati in un limbo qualsiasi dove possono attraversare il tempo e lo spazio e dove vengono a loro volta "interpretati", come in uno psicodramma di Moreno, da due attori più giovani, Sara Borsarelli e Marco Quaglia, nel loro rivolgersi ai loro stessi genitori vecchi, dove l'influenza del setting e del linguaggio psicoterapeutico sembra alludere, a tratti, ad un In Treatment di matrice televisiva. In questo attraversamento dello spazio e del tempo trasuda l'intima umanità battagliera di questi personaggi, così come l'ha disegnata il regista insieme agli attori, i cui toni sono volte un po' troppo da caratteristi, ma comunque in bilico precario tra la realtà e la finzione e dunque al tempo stesso comica e sorprendente, ma anche quotidiana, ordinaria, per cui non ci si stupisce se, all'uscita da teatro alcuni attori sembra proprio che indossino gli stessi abiti che avevano in scena. Senza tragedia, questi sei attori-personaggi non sono in cerca di autore, ma sembrano piuttosto alla ricerca di un luogo dove raccontare frammenti delle loro vite: che sembri il set di uno studio terapeutico oppure un confessionale televisivo oppure, senza distinzione, un palcoscenico teatrale, poco importa perché un pubblico li ha ascoltati comunque e questo forse basta a dare voce alle storie di tante persone vecchie che, chiuse nelle loro reumatiche solitudini, si scolorano in un anonimato muto.
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