domenica 20 novembre 2016

Addentrarsi nella foresta Levertov con il laboratorio di traduzione

Addentrarsi nella foresta Levertov: il laboratorio di traduzione 2016/2017 parte dalla prolifica poetessa inglese naturalizzata americana

Denise Levertov in uno scatto di Chris Felver
Fiorenza Mormile

Rifacendomi a Life in the Forest, titolo di una delle quasi cinquanta raccolte pubblicate da Denise Levertov (1923-1997, poeta, saggista, docente, traduttrice) descrivo la nostra scelta di percorrere all’inizio del quinto anno di attività almeno un sentiero della sua sterminata produzione. Ci ha attratto per prima la sua riflessione sulla scrittura e sulle responsabilità che comporta.
Per dare una panoramica della sua opera sintetizziamo qui le 13 fitte pagine che Poetry Foundation  dedica alla bio-bibliografia. Denise Levertov è stata un’apprezzata e prolifica poetessa americana.
In America arrivò però solo nel 1948, a venticinque anni compiuti, per seguire il marito, lo scrittore Mitchell Goodman. Nata ad Ilford, un sobborgo di Londra, non ricevette una formazione letteraria tradizionale, ma si nutrì delle suggestioni culturali e linguistiche dei genitori immigrati, crescendo in una casa piena di libri di seconda mano comprati dal padre (un ebreo russo convertitosi al Cristianesimo e divenuto pastore anglicano), tra il risuonare dei versi di Tennyson letti ad alta voce dalla madre gallese. Proprio questa mancanza di “accademia” secondo la critica rese il suo stile limpido, chiaro e accessibile a un vasto pubblico.

Levertov ha una precoce consapevolezza del proprio talento: appena dodicenne invia ad Eliot le sue poesie e ne riceve in risposta due pagine dattiloscritte di elogi incoraggianti . A diciassette anni pubblica una poesia nella prestigiosa “Poetry Quaterly”. Durante la guerra il lavoro di infermiera laica in ospedale non interrompe la sua scrittura: nel 1946 esce il  primo libro, The Double Image.
Dopo il trasferimento negli Usa del 1948 continua la pubblicazione di raccolte di poesia e saggi.  Si fa strada attraverso le influenze neo-romantiche una voce personale caratterizzata da maggiore precisione formale e da una forte consapevolezza sociale. Sotto l’influenza di W. C. Williams Levertov si dedica all’esplorazione del quotidiano di cui sa cogliere i lati spiazzanti che spesso vorremmo ignorare. Malgrado le assidue frequentazioni dei Black Mountain Poets Levertov aderisce solo in parte ai loro manifesti costruendo sempre più saldamente la propria cifra individuale, ormai comunque “americana”. Lo scoppio della guerra del Vietnam la vede co-fondatrice di un gruppo di protesta di scrittori, mentre nei suoi scritti prende vigore la trattazione di temi di interesse politico-sociale (il disarmo, la preoccupazione ambientale). Finirà episodicamente anche in prigione per azioni di disobbedienza civile. Questo impegno è particolarmente avvertibile nella raccolta To Stay Alive (1971), dove Levertov inserisce brani quasi prosastici da lettere e documenti in voluta frizione con passaggi decisamente lirici, quasi a rispecchiare le lacerazioni inferte sulla scrittura dagli avvenimenti contemporanei. Il libro suscita nella critica reazioni contrastanti: alcuni, come H. Carruth, ne considerano con entusiasmo il valore poetico e documentario, altri, come M. Perloff, ne censurano con fastidio il tono “predicatorio”. Secondo il critico J. F. Mersmann la guerra in Vietnam  segna  in Levertov un vero spartiacque poetico, inserendo un elemento disgregante anche nella perfezione della forma, che esige  compensazione attraverso uno sforzo morale e spirituale. 

Sorvolando per brevità su molte altre importanti pubblicazioni di natura saggistica citiamo qui l’affermarsi sempre più marcato di una sensibilità religiosa, indubbio portato dell’educazione ricevuta dal padre pastore, ma pure quasi panteisticamente connotata. Levertov avverte se stessa come parte naturale del mondo, e in tutto il complesso della natura coglie la presenza di Dio. 
In Evening Train (1992) esplora con sensibilità e grazia l’invecchiamento, pur non tralasciando  problematiche emergenti come l’AIDS, l’inquinamento, la guerra del Golfo.
Nel postumo This Great Unknowing: Last Poems (1999) – due anni prima Levertov era morta settantaquattrenne per un linfoma – l’approssimarsi della fine viene illustrato con coraggio e dignità, alternando all’inesausta ricerca religiosa  piccoli squarci sul quotidiano.
Riassumiamo in chiusura le considerazioni di Daniel Berrigan (poeta, prete gesuita e pacifista militante, recentemente scomparso) che sembrano attagliarsi particolarmente alle incertezze angosciose del presente: possiamo scegliere di non fare nulla, rischiando l’andar fuori di testa  in modo più o meno eclatante,  rifugiarci nella  frivolezza per evadere dalla paura che ci attanaglia, oppure, sull’esempio di Levertov, farci trascinare verso la salvezza dalla coscienza e dal senso della collettività, riconoscendo la comunanza tra le razze e le culture e la responsabilità di tutti verso il pianeta che condividiamo.


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