Cosa ha detto l'autore
Il titolo: “Amo da sempre Bob Dylan. Ma in questo caso “riportare a casa” ha per me un significato di riscatto generazionale. Se la Storia la scrivono i vincitori, la letteratura spesso si occupa di vinti. E la mia, per adesso, è una generazione messa alle corde, sistematicamente tradita nel corso degli anni, che vive in un paese che non è un paese, con un lavoro che molto spesso non è un lavoro, dentro una vita che non è una vita. È come essere all’indomani del ’45 senza che una guerra vera e propria ci sia stata, stiamo tutti cercando di rielaborare una sorta di trauma senza evento. Eppure, nonostante tutto questo, abbiamo sviluppato un modo completamente nuovo di sentire il nostro tempo, e di tradire, amare, perderci per strada, consumare atti di viltà o di coraggio. Se tutto questo – questo sentimento, questo modo di essere qui e ora – non lo porta in luce la letteratura o le arti in generale, nessun altro può farlo. Ecco cosa significa per me riportare a casa... Riportando tutto a casa vuole indicare il riappropriarsi di qualcosa che è emotivamente informe e metterlo nella forma di un romanzo, finalmente raccontabile”.
Gli anni Ottanta: “Gli anni Ottanta sono stati l’epicentro di un sisma invisibile, l’origine o l’ultima decisiva concausa del disastro (politico, civile, esistenziale, identitario) che oggi è sotto gli occhi di tutti. E lì che si è consumata l’ennesima mutazione antropologica degli italiani, quando, immerso in un’atmosfera di gaia idiozia, un intero Paese ha svenduto ciò che restava della propria anima”.
Bari: “Durante quel decennio, Bari era – nel bene e nel male – ciò che ogni città degna di questo nome dovrebbe essere sin dai tempi di Dickens e Baudelaire: un luogo in cui fare esperienza. Bari è stata la mia Chelsea, la mia Venice Beach, il mio Bronx: bastavano pochi minuti di motorino per passare dai quartieri chic del centro murattiano alle sale-prova del “canalone” stracolme di fanatici del post punk e della new wave con le Clippers ai piedi alle gigantesche zone dormitorio come Japigia dove l’eroina scorreva a fiumi. Molte città in una, insomma, una punta dell’iceberg tirata a lustro sotto la quale si nascondeva un ventre notturno, feroce, sotterraneo”.
Lo stile: “La differenza rispetto a Occidente per principianti non è tanto stilistica, quanto emotiva. In questo romanzo faccio i conti con quel che mi riguarda da vicino... Si tratta, credo, di un controcanto caldo e sanguinante rispetto alla freddezza levigata di Occidente per principianti. Ma sono passati anche cinque anni tra i due libri, e la coscienza del disastro che stiamo vivendo si è fatta più densa. Ho pensato che mettersi in gioco in maniera più scoperta avrebbe potuto avere un effetto liberatorio”.
Cosa hanno detto i critici
Goffredo Fofi / 1: “In mezzo a tanti romanzucoli neri, rosa oppure ombelicali che consolano i lettori, ecco un romanzo sconsolante e sconsolato, che guarda in faccia la nostra disastrosa realtà e ne cerca le cause, trovandole autobiograficamente negli anni ottanta del secolo scorso, quelli della restaurazione, dell’arricchimento facile, della spensieratezza di tutti... Il percorso all’indietro del narratore, uno dei tre, porta lui e noi a capire come è esploso il nostro presente, dell’Italia: tutto torna a una “casa” che non ha più fondamenta. Dopo Occidente per principianti, una commedia itinerante sulla stupidità dello stivale, Nicola Lagioia affronta una narrazione più strutturata e tradizionale, con personaggi indimenticabili (i ragazzi, ma soprattutto gli adulti): un romanzo collettivo su un imbarazzante capitolo di storia italiana che ha distrutto le nostre speranze” (da Internazionale).
Goffredo Fofi / 2: “Lagioia dimostra la difficoltà che si incontra a “fare storia”, e a fare romanzo come storia, per l’impossibilità di mettere ordine in un universo sociale così sgangherato come il nostro, dopo gli anni Ottanta. In un mondo che va voluttuosamente al disastro, e che sembra felice di andarci, l’accettazione dell’età adulta è accettazione di una sconfinata mediocrità e di una sconfinata brutalità: è violenza su di sé, gli altri, la natura, il pensiero” (Lo straniero, novembre 2009, da Puglialibre).
Luca Mastranotonio: “Antropologia, non gossip. Tanto per tagliare la testa al toro, non figura mai la parola Berlusconi, né i suoi derivati. Eppure, è proprio la storia di come lo siamo diventati tutti, guardando le televisioni del Biscione, sognando di essere come Agnelli, applicando con euforia da anni ’80 l’imperativo egotico del ’68 e degli anni ’70: la fantasia al potere e il diritto ad avere tutto e subito. Lagioia produce, in un paio di paragrafi, la migliore fenomenologia di Drive in e il suo impatto sulle menti italiane, dalle più sane alle minorate... Anche senza il permesso dell’autore, possiamo rinvenire in questa terza prova narrativa di Nicola Lagioia, la sensibilità del Calvino della Giornata di uno scrutatore nel raccontare, sospendendo ogni giudizio politico o morale, sulle famiglie piene di figli handicappati che irrompono nella scena, all’inizio del romanzo. La carnalità delle visite familiari che si dischiudono al protagonista e al suo genitore, qui un padre, che assomiglia al giro delle iniezioni del protagonista di Conversazione in Sicilia di Vittorini. E se non sono astratti, qui i furori attraversano elettricamente buona parte del romanzo, che è essenzialmente un romanzo di formazione visto con gli occhi malinconici indulgenti di chi sa che la conoscenza è esperienza, che «non si perde quello che non si è mai avuto, non si ha quello che non si è mai perso». Un romanzo di perdizione, e di ritorno, alla vita” (Il Riformista).
Marco Philopat: “Il primo bacio, la prima sgasata sul motorino, la prima volta che vedi i tuoi genitori perdere colpi, sono tutti momenti difficili da scordare. Se poi avvengono in una famiglia in cui il tenore di vita è migliorato improvvisamente e la moralità precedente finita nel cesso, il tuo futuro può diventare un bel rebus. Nicola Lagioia scrive una storia esemplare ambientata nella seconda metà degli anni Ottanta a Bari, una delle capitali del secondo boom economico di un’Italia divenuta sesta potenza del globo. La voce narrante è il classico figlio unico: il padre ex venditore porta a porta è appena entrato nei salotti giusti, la madre, ex veterana del casalingato, sta imparando a usare carte di credito nei negozi dell’alta moda. In ogni stanza una televisione accesa su Drive in schiaccia i miti e le lotte del passato come un rullo compressore... Il romanzo si snoda tra feste tardo new wave e scorribande fuori dal recinto del benessere dove la realtà impatta rovinosamente sui sogni. L'intreccio ben congegnato è raccontato vent’anni dopo i fatti e offre ai lettori diversi livelli narrativi, ma chiusa l’ultima pagina, ci si chiede quali saranno le prossime mosse del protagonista dopo la brillante risoluzione del caso” (da XL Repubblica).
Franco Buffoni: “È stupendo questo nuovo romanzo di Nicola Lagioia. Gli stupori di una Bildung nella descrizione di un ventennio di storia italiana. Siamo a Bari, e sono gli anni ’80. I tre adolescenti che si aggirano per le strade si azzuffano e si attraggono come gatti selvatici, facendo di ogni cosa un contorto esercizio di combattimento. Giuseppe ha i capelli rossi, i brufoli e un’inesauribile riserva di denaro nel portafoglio. Vincenzo invece è bello e tenebroso, come ogni antagonista che si rispetti. Il terzo amico è quello che racconta: l’occhio inquieto che registra con precisione la vertigine dei loro quindici anni, la lunga inerzia del liceo, il precipizio dentro l’età adulta. Negli angoli dei quartieri periferici li aspetta il lato in ombra di quel tempo che luccica: qualcosa che li costringerà a mettere in discussione le loro famiglie, i loro sentimenti, e perfino se stessi. Ci metteranno vent’anni per venirne a capo. Con una scrittura tesa, alta, capace di precisione lenticolare e di accensioni vertiginose, Lagioia racconta una storia di amicizia, di tradimenti, di confitti generazionali – arrivando infine a rappresentare il germe dei giorni che stiamo vivendo, ovvero l’eterna adolescenza di un paese che diventa vecchio senza essere cresciuto” (da Nazione indiana).
Altri materiali sul romanzo si possono leggere a partire dal blog Federico Novaro Libri. Due interviste a Nicola Lagioia in occasione dell'uscita di Riportando tutto a casa, si trovano rispettivamente su Vertigine e nel sito di Giuseppe Genna.
Nicola Lagioia (Bari, 1973) ha esordito nel 2001 con il romanzo Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi) pubblicato da minimum fax. Nel 2004 ha pubblicato per Einaudi il romanzo Occidente per principianti. Nel 2005 ha pubblicato, per Einaudi Stile Libero, 2005 dopo Cristo, un romanzo scritto assieme a Francesco Pacifico, Francesco Longo e Christian Raimo firmato con il nome collettivo di Babette Factory. Sempre nel 2005 è uscito per Fazi il saggio Babbo Natale. Ovvero come la Coca-Cola ha colonizzato il nostro immaginario collettivo. Ha pubblicato racconti in varie antologie, tra cui Patrie impure (Rizzoli, 2003), La qualità dell'aria (minimum fax, 2004), che ha curato assieme a Christian Raimo, Semi di fico d'India (Nuovadimensione, 2005), Periferie (Laterza, 2006), Ho visto cose (Biblioteca Universale Rizzoli, 2008), La storia siamo noi (Neri Pozza, 2008). Dirige nichel, la collana di letteratura italiana di minimum fax. Nel 2010 è alla conduzione di Pagina3, la rassegna quotidiana delle pagine culturali trasmessa da Radio3 (da Wikipedia).
Sabato 12 giugno alle 11 presso il Salone degli affreschi del Dsm di via Colautti 28, Nicola Lagioia sarà ospite di Monteverdelegge per un incontro su Riportando tutto a casa.
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