mercoledì 26 giugno 2019

Dal laboratorio di traduzione An American Sunrise di Joy Harjo, appena nominata Poet Laureate degli USA

Photo credit - Shawn Miller
Fiorenza Mormile
Per una felice coincidenza al momento di presentarvi l’ultima delle poesie di Joy Hario tradotta dal nostro laboratorio giunge notizia che l’autrice è stata nominata US Poet Laureate: ventitreesima persona (e prima nativa) a detenere l’ambita carica. Come vi abbiamo ricordato in precedenza, Harjo appartiene alla Muskeogean (Creek) Nation ed è un’esponente del movimento letterario Native American Renaissance. 
Al momento della nomina ha dichiarato: “Condivido questo riconoscimento con gli antenati e i maestri che mi hanno ispirato l’amore per la poesia insegnandomi che le parole sono potenti e possono operare cambiamenti quando la comprensione appare impossibile e in una poesia il tempo e l’atemporalità possono coesistere.” 
Meritato vento in poppa per la Harjo: di recente le è stato assegnato il cospicuo premio Jackson e in Italia il suo libro A Delta in the Skin tradotto da Laura Coltelli per Passigli ha vinto il premio Internazionale Camaiore 2018. 
An American Sunrise è il testo che dà il titolo al prossimo libro che uscirà per W.W. Norton incorporated il 10 settembre 2019. 
Alla versione letta dall’autrice aggiungiamo quella musicata in cui Harjo alterna canto ed assolo di sax. 
Diamo velocemente conto della genesi del testo, che secondo quanto spiegato dall’autrice nasce in funzione di un’antologia poetica dedicata alla poetessa Gwendolyn Brooks. I quattordici versi (che a prima vista potrebbero far pensare a un sonetto) costituiscono  un esempio di Golden Shovel, forma poetica sperimentale che collocando a fine verso esclusivamente parole attinte da una poesia “madre” (in questo caso We Real Cool della Brooks) crea una nuova poesia come forma di omaggio a quella di partenza. 
Harjo sa ricavare da uno schema così rigido e predeterminato un testo in perfetta linea con le proprie tematiche chiave: la rabbia, la volontà di riscatto, la rivendicazione del proprio contributo (qui l’influenza musicale della musica nativa sul jazz e sul blues) testimoniando malgrado tutto un senso di appartenenza tanto alle proprie origini che alla nazione: “We are still America”.

Joy: performance - Photograph courtesy of Joy Harjo
Un’alba americana

A furia di correre per ritrovarci, ci mancava il fiato. Noi
facevamo affiorare le lotte dei nostri avi, pronti a colpire.
Era difficile perdere i giorni al bar indiano se eri a posto.
Facile se giocavi a biliardo e bevevi per ricordarti di dimenticare. Noi
puntavamo ad essere professionali — e ci riuscimmo. E alcuni di noi sapevano cantare
così a ritmo di tamburo aprimmo una via di fuoco fino a quelle stelle lucenti. Peccare
è un’invenzione dei cristiani, come pure il demonio, cantavamo. Noi
eravamo i pagani,  ma avevamo bisogno di salvarci da loro — In-
fima possibilità. Sapevamo di esserci tutti dentro questa storia, un goccio di gin
farà luce nel buio e avremo tutti voglia di ballare. Noi
avevamo a che fare con le origini del blues e del jazz
sostenevo con un pueblo riempiendo il jukebox di monetine a giugno,
e quarant’anni dopo ancora chiediamo giustizia. Siamo ancora America. Noi
conosciamo le voci sulla nostra fine. Le sputiamo fuori. Muoiono subito. 

Traduzione di
Maria Adelaide Basile, Marta Izzi, Giselda Mantegazza, Fiorenza Mormile, Michela Pezzarini, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Jane Wilkinson

An American Sunrise

We were running out of breath, as we ran out to meet ourselves. We
were surfacing the edge of our ancestors’ fights, and ready to strike.
It was difficult to lose days in the Indian bar if you were straight.
Easy if you played pool and drank to remember to forget. We
made plans to be professional — and did. And some of us could sing
so we drummed a fire-lit pathway up to those starry stars. Sin
was invented by the Christians, as was the Devil, we sang. We
were the heathens, but needed to be saved from them — thin
chance. We knew we were all related in this story, a little gin
will clarify the dark and make us all feel like dancing. We
had something to do with the origins of blues and jazz
I argued with a Pueblo as I filled the jukebox with dimes in June,
forty years later and we still want justice. We are still America. We
know the rumors of our demise. We spit them out. They die soon.

Source: Poetry (February 2017)
Si ringrazia l’autrice per l’autorizzazione a riprodurre il testo originale.

1 commento:

  1. Ricordarsi di dimenticare….
    molto significativa anche questa poesia, sintetizza il dramma di un popolo.
    Del jazz si sono individuate molte radici di diverse provenienze musicali, ma mai, - che io sappia, ma potrei sbagliarmi - in modo specifico quelle di matrice nativa se non un generico riferimento a un sincretismo culturale di cui fa parte anche la musica dei nativi.

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