Marta Ancona
Era forse il 1974, ’75, quindi. Non
ricordo quale sia stato l’input, che cosa mi sia venuto in mente,
perché abbia improvvisamente deciso di prendermi un cane, e per
giunta dal canile municipale; forse passavo per caso da lì, qualcuno
mi avrà fermato per dirmi che stavano per sopprimere dei cani se non
ci fosse stato qualcuno ad adottarli, mi sarò fatta coinvolgere, che
so, oppure è stato un colpo di testa, uno dei tanti, è probabile
che non vi abbia ragionato su affatto, che non abbia preso in
considerazione né i problemi, né le responsabilità, una decisione
d’istinto cieco.
Era carinissimo, un focato grigiastro a
pelo semilungo, avrà avuto un anno, poco meno, decisi di chiamarlo
Jeep, anche se nulla aveva della robustezza e resistenza del mitico
mezzo militare.
Anche allora non capivo niente, meno
di niente, erano passati troppi anni senza alcun contatto canino, al
massimo qualche gatto, anche sfortunato, come il bellissimo mezzo
persiano nero, di nome Chico che, uscito dalla nostra casa di piazza
Giuditta Tavani Arquati per distrazione dei suoi abitanti, andò a
finire sotto una macchina (o fu preso a calci da qualche imbecille
superstizioso) e ne uscì con la pleura invasa dal sacco addominale,
e fu soppresso perché non poteva vivere in quel modo.
Il guaio di Jeep fu proprio la sua
cagionevolezza. Al canile aveva preso di tutto. Stazionavo dal
veterinario, perché lui non si fece mancare niente. Finché non si
beccò la rogna. Il veterinario mi terrorizzò dicendomi che non
poteva stare con una bambina (Arianna aveva 3 o 4 anni), che era
pericoloso, che sarebbe stato prudente che fosse il suo studio ad
ospitarlo per almeno 15-20 giorni, per somministrare tutte le cure e
i bagni necessari a far cessare l’infezione e quindi il pericolo di
contagio per Arianna. Io mi sentii sopraffatta da tutto
quell’impegno, dalla spesa da affrontare (quel veterinario era
molto caro) e dissi a quel luminare le mie difficoltà,
preoccupazioni. E fu lui a quel punto a propormi di sopprimere il
cane.
Io non sono in grado di dire se quel
veterinario fosse un farabutto o un ignorante (ma mi risultava
esattamente il contrario), come non sono in grado di dire se le cose
che mi disse allora dipendessero dalle cognizioni del tempo: non mi
risulta oggi che la rogna sia così terribile e pericolosa (anche se
solo a nominarla comincio subito a grattarmi, e quando vedo un cane
rognoso istintivamente mi allontano). Fatto sta che il povero Jeep fu
da me abbandonato seduta stante dal suddetto e non ebbi nemmeno il
coraggio di fermarmi per assisterlo, fargli compagnia. Me ne lavai le
mani in modo indegno, fu una vera e propria esecuzione, in piena
regola.
Dire che me ne vergogno è dire troppo
poco. Da allora è stata la mia assenza sul luogo del delitto a farmi
sperare che il veterinario l’abbia curato e salvato, magari
tenendolo lui. Ma io vigliaccamente mi guardai bene dall’informarmi
e mi tenni ben alla larga dal suo studio, e non ricordo nemmeno il
suo nome. Se c’è una cosa per la quale vorrei tornare indietro nel
tempo, per rimediare, è questa.
Ora posso tornare a Paco. Con lui mi
sono impegnata, ho avuto attenzione e capacità di ascolto, e quello
che ho dato mi è stato abbondantemente restituito, con molti
interessi.