domenica 17 marzo 2024

Alla ricerca delle zone in ombra di Roma

L'incontro con gli autori nella bibliolibreria gratuita Plautilla 

Gianluca Chiovelli 

Sabato scorso ho avuto il piacere di essere ospitato presso la bibliolibreria Plautilla per illustrare il libro La campagna dei Papi assieme agli altri due autori, e soci dell’associazione “Primavalle in Rete”, Alessandro Guarnacci ed Ennio De Risio. 

Non sto qui a riassumere quanto è stato detto poiché si è andati, anche per mia colpa, vagando di argomento in argomento: poiché tante sono le notizie e le scoperte effettuate nel campo d’indagine di “Primavalle in Rete”, il settore di Roma nord-ovest compreso fra l’Aurelia, la Boccea e la Trionfale.

Gianluca Chiovelli, Alessandro Guarnacci e Ennio De Risio

A ogni modo il succo di ciò che si voleva trasmettere era questo: non esiste, a Roma, un luogo anonimo, privo di storia e a cui possiamo guardare con indifferenza. Questo è impossibile. È vero: la Roma più celebre si sviluppa soprattutto sulla riva sinistra del Tevere, sui campi e i colli dove ritroviamo i grandiosi monumenti del periodo imperiale, dal Colosseo ai Fori al Pantheon. È altrettanto incontestabile che tali silhouette dominano l’immaginario collettivo dell’umanità, stimolato anche dai kolossal cinematografici e televisivi. Ed è innegabile che Alberto Angela, se vuole fare un documentario dei suoi, dovrà aggirarsi da quelle parti, anche per sfruttare visivamente il lascito rinascimentale, barocco e ottocentesco di chiese, edifizi nobiliari e quant’altro. 


Eppure esiste anche una Roma più sommessa, archeologicamente segreta, legata a un periodo della vita della città ancora immerso nel politeismo agreste, connesso a una religiosità al limite della superstizione e a un’organizzazione istituzionale, dapprima monarchica e poi repubblicana, in cui gli apporti etruschi sono numerosissimi, ben più di quelli confessati; anche perché l’incontro-scontro tra Roma e la civiltà dei Tirreni-Etruschi, con Veio in particolare (la pulcherrima urbs di Livio che dominava, appunto, sin al Tevere), fu a volte in procinto di trasformarsi in una sconfitta (e in tal caso non avremmo avuto Cicerone, l’Eneide e nemmeno il Colosseo). 

Questa Roma arcaica e rustica la si rinviene nella zona di Roma nord-ovest, ovvero sulla riva destra del Tevere: dal Gianicolo al Vaticano sino a Monte Mario si allargano a raggiera tre principali arterie (Aurelia, Cornelia-Boccea e Trionfale-Cassia) che ricomprendono ex borgate, interi quartieri e antiche parti del suburbio: Castel di Guido e Aranova, Tragliata, Testa di Lepre, Santa Maria di Galeria. 

Di questa Roma in ombra, che vide anche la nascita del primo Cristianesimo, poco rimane, per ovvi motivi. Anzitutto perché le architetture erano più effimere: se l’arco di Tito, tanto per fare un esempio preclare, è ancora in piedi e possiamo ammirarlo nella sua monumentalità, dobbiamo lavorare parecchio di fantasia per ricostruirci nella mente i villaggi di capanne di tipo romuleo ritrovati a Monte Mario alto nel sito di Sant’Agata o nei pressi di Tragliatella: a testimoniarli rimangono, infatti, solo le tracce dei pali infitti nel terreno e qualche brano di legno pietrificato. Vi è poi da dire che gran parte delle invasioni passarono da queste parti, dai Saraceni ai Goti. Un fenomeno che desertificò casali e campagne e distrusse le architetture principali, dalle chiese alle civitas, soprattutto nell’alto Medioevo. 

A questa assenza di riferimenti certi e cospicui è dovuta una certa trascuratezza da parte degli studiosi che solo raramente si sono rivolti a questa parte di Roma e mai perseguendo una visione onnicomprensiva. Benché nessuno lo dichiari apertamente, è più facile e remunerativo estendere una monografia su San Giovanni in Laterano che sulla via Boccea. 
Nel compilare i due libri ci siamo benignamente ribellati a questo stato di cose. Facciamo un esempio di tale rivolta. 

Uno dei primi post che scrissi sul blog di “Primavalle in Rete” parlava proprio di San Giovanni in Laterano dato che, nel suo Battistero, esiste una cappella dedicata alle sante Rufina e Seconda. E dove furono martirizzate queste sante, nel 257 d.C.? Sulla Boccea, antica Cornelia. Il loro sacrificio originò un culto via via crescente; Papa Giulio I, perciò, ordinò l’edificazione, nel IV secolo, di una basilica in loro onore attorno a cui si sviluppò una civitas e una diocesi, Silva Candida, che oggi è chiamata Diocesi Suburbicaria di Porto e Santa Rufina. Nel 1100 circa, dalla basilica distrutta dalle incursioni saracene, le spoglie delle sante vennero traslate sin al Battistero Lateranense dove riposano tuttora. Questo è tutto? Non proprio. Perché quel nome, Silva Candida? Perché le due sante furono giustiziate dagli sgherri degli imperatori Valeriano e Gallieno in una foresta così fitta che il sole non riusciva a penetrare sin a terra tanto da chiamarsi “nigra” (cioè oscura): il passaggio da oscura, “nigra”, a “candida” avvenne per celebrare la purezza del martirio. E questa Silva Nigra, poi Candida, che si estendeva dalla Boccea sin al litorale, coincideva probabilmente con la Sylva Mesia, il bosco sacro degli Etruschi. E “silva” si chiamano ancor oggi i due quartieri che si trovano da queste parti: Selva Nera e Selva Candida. E la Boccea perché si chiama così Probabilmente (è una mia ipotesi) perché trae il nome dal germanico “būsk” o “bōsk” (assimilato dai Goti o dai Longobardi) che significa, appunto, bosco, foresta, selva inestricabile di alberi e piante e arbusti. Abbiamo, quindi, dall’esame di questo singolo episodio, dimenticato persino dall’agiografia cristiana, la rivelazione di una continuità straordinaria di questa parte di territorio – continuità che tenacemente riemerge nella storiografia, nell’archeologia, nella toponomastica, dagli Etruschi sin ai toponimi che ancor oggi vengono usati dall’amministrazione della moderna città. 

Questo sforzo di rendere conto di tale “durata”, spinge, poi, all’azione vera e propria. Da circa quattro anni “Primavalle in Rete”, infatti, in collaborazione con un’altra associazione nata a Boccea, “Cornelia Antiqua”, è alla ricerca dell’ubicazione della basilica delle SS. Rufina e Seconda, di cui si sono perse le rare tracce sin dal XVIII secolo. Nelle more della ricerca si son operate numerosissime scoperte (cippi funerari, cimiteri e necropoli, acquedotti, cunicoli idraulici, torri medioevali), riscoperte (la chiesa di San Basilide, mitrei) e organizzati archivi fotografici e bibliografici. E, pare, è notizia fresca, si sono finalmente scoperte anche le vestigia della basilica. Pochi resti: alcune colonne inglobate in un casale più moderno, aperture nella roccia che lasciano presagire le catacombe; utili, però, a ricostruire la mappa del passato. Questo tentativo di riunificare, al di sotto delle apparenze della città moderna, un quadro più vasto, è stato intrapreso da cittadini singoli e appassionati della Storia. Lentamente, però, anche l’istituzione, dai Municipi alla Sovrintendenza alle scuole, sta manifestando il suo apprezzamento verso la nascita di un rapporto nuovo con i luoghi in cui si abita e si vive. La prossima campagna di scavi d’una villa romana presso Valle Santa, fra via Boccea e Castel di Guido, con la partecipazione congiunta di cittadini di ogni età sotto la guida della Sovrintendenza, è un esempio notevole di tale fermento.

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