domenica 30 aprile 2017

AUTORITRATTO DI EDITORE

Viola Brancatella
Durante gli ultimi mesi Monteverdelegge è stata animata da una nuova iniziativa che ha portato l’associazione nelle scuole di Monteverde. La scommessa del progetto, che si intitola “Autoritratto di editore” ed è fra i vincitori della seconda edizione del bando Io leggo della Regione Lazio, è far incontrare gli studenti delle scuole superiori, medie ed elementari con gli editori di alcune piccole e medie case editrici romane. Nella seconda fase gli studenti sperimentano in prima persona il lavoro editoriale e la divisione dei ruoli all’interno di una casa editrice, ricostruendo – sulla base degli incontri – gli autoritratti degli editori attraverso un montaggio di testi e di immagini. In parallelo, gli editori incontrano gli utenti del centro diurno Giovagnoli dove si svolgono le attività della bibliolibreria Plautilla, per un ciclo di video-interviste sull’editoria che, insieme agli autoritratti, andranno a comporre un sito web ad hoc, da maggio online.
I primi tre incontri con gli studenti hanno visto coinvolti i giovani degli istituti superiori Morgagni e Manara, e i giovanissimi della scuola elementare Francesco Crispi. Dagli otto ai diciotto anni sono le età degli studenti che hanno dedicato circa due ore a ciascun incontro, con divertito distacco adolescenziale unito, il più delle volte, a un autentico interesse.
Gli editori che si sono prestati alle “lezioni” nelle diverse scuole hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa e, nel tempo a disposizione, hanno creato una relazione di scambio con gli studenti, stimolando la loro curiosità e il loro entusiasmo.  I motivi per tornare a scuola da adulti, se non lo si fa per insegnare, possono essere tantissimi e diversi tra loro, ma in tutti gli editori si è percepito il desiderio di svelarsi e di condividere, di raccontare la vita - la propria - in modo credibile, con rispetto, approfittando, forse, di quel momento per fare i conti anche con se stessi. Professionalità e sincerità, ma soprattutto il desiderio di comunicare con le nuove generazioni e di trasmettere informazioni ed esperienze rilevanti, dire quel qualcosa che scateni una reazione propositiva, per lasciare un segno, anche inconscio, in qualche giovane di cui si dimenticherà presto il nome, ma non lo sguardo.

La prima scuola nel percorso di Autoritratto di editore è stata il liceo scientifico Morgagni, in compagnia di Daniela di Sora della casa editrice Voland, pronta a svelare anche i piccoli grandi segreti aziendali che non si rivelano mai ai giornali. Nonostante si parlasse di argomenti lontani dall’universo degli adolescenti, gli studenti si sono fidati e hanno seguito con attenzione. Durante l’incontro Daniela Di Sora è partita dalla genesi della casa editrice, che ha preso avvio dal  suo profilo di slavista, e dalla rilevanza del nome, Voland (il diavolo de Il Maestro e Margherita di Bulgakov), per arrivare ai cambi di rotta, all’arrivo di nuove idee, alla “scoperta” dell'autrice belga Amélie Nothomb che Voland pubblica ancora oggi dopo decenni. In primo piano, il lavoro editoriale prima e  durante la crisi economica e le altalene tra l’amarezza e il desiderio di continuare a lavorare bene. Le scelte lavorative si fondono con la vita e diventano impegno quotidiano e concreto, senza retorica.

Secondo istituto sul nostro cammino, il liceo classico Manara, con Giuseppe Laterza, che ha usato ironia e senso critico per catturare l’attenzione dei ragazzi. Due ore di analisi e riflessione sul nostro paese tramite i libri da lui scelti per raccontare il progetto della casa editrice, intervallate da battute che non nascondevano una passione sfrenata per i libri e per la formazione. Gli studenti sono stati attentissimi e si sono lasciati trascinare nei percorsi labirintici e a tratti foschi del mondo di oggi raccontato da un adulto, senza i filtri normalmente usati per i più giovani e senza la disillusione tipica di certe conversazioni mature.

Il terzo incontro si è tenuto nella scuola elementare Francesco Crispi, dove, in una classe colorata e senza sedie, Carla Ghisalberti, redattrice di Orecchio Acerbo, ha fatto il suo ingresso con venti libri illustrati: un trenino di figure adagiate a terra di fronte ai bambini seduti composti sui tappeti di gomma sistemati apposta per l’evento. Ci si chiedeva come sarebbe stato un incontro con dei bambini e come avrebbero reagito al mondo dell’editoria, che spesso risulta complesso e misterioso anche agli occhi degli adulti. E invece gli scolari delle elementari si sono rivelati uditori attenti e  ricettivi: domande su domande a fine incontro – sanno che dovranno scrivere un autoritratto di editore –, osservazioni profonde sulla scrittura, sulla traduzione, sull’importanza delle storie complesse che sembrano tali soltanto per gli adulti. E poi tanta voglia di partecipare e di farsi notare, contrariamente agli adolescenti che spesso si nascondono o tendono a non voler emergere. Carla Ghisalberti ha raccontato la storia di Orecchio Acerbo come se stesse recitando una pièce a teatro, dalla sua origine – l’orecchio verde e Fausta Orecchio – ai suoi libri più rari, più impegnativi o di grande successo. Una storia colorata e animata, che ha ipnotizzato tutti, adulti compresi.

venerdì 28 aprile 2017

Incontri di poesia da Plautilla: venerdì 28 aprile, ore 18, Annamaria Ferramosca



venerdì 28 aprile alle ore 18
bibliolibreria gratuita Plautilla

incontro con la poetessa
Annamaria Ferramosca
a partire dal suo Trittici il segno e la parola

"Ferramosca scrive sulla scia di pitture, ne evoca vissuti, ne amplia sensazioni: «qui si danza una perfezione / si festeggia che cosa? / che cosa si vela nel fondo / degli occhi? o tra i capelli?… /tra poco sulla scena / si scioglieranno i capelli vorticando». La sua parola insegue una morbidezza ipnotica, dove senso e suono si rimandano richiami, e dove la realtà degli incroci fra arti diverse inventa un terzo spazio, mobile e fluttuante, carico di echi e sovrapposizioni, come un rapsodico e contiguo creare “accanto”. Da una "nota di lettura" di Marco Ercolani.
Il sito di Annamaria Ferramosca

mercoledì 19 aprile 2017

L’ultimo Star Wars, o del combattere senza Forza

Valerio De Simone
Rogue One: A Star Wars Story, primo spin off dopo l’acquisto da parte di Disney dei diritti di Star Wars, sa conquistare e divertire, merito soprattutto di aver assunto un tono più estremo nella politicizzazione della saga. Come sostiene Dan Hassler-Forest, “in un certo senso, Star Wars è stato sempre  politico”, anche se Star Wars: Il risveglio della forza (J. J. Abrams, 2015) è apparso assai depoliticizzato, infantilizzando la narrazione per poter venire incontro alle nuove generazioni di spettatori.
Rogue One muta profondamente la visione del precedente, ed è infatti uno dei capitoli più duri e cupi della saga. Di nuovo una giovane protagonista è agente attivo della narrazione, ma in Jyn Erso (Felicity Jones), a differenza che in Luke Skywalker o nella sua neo copia Rey, non scorre la forza. Anzi è la figlia di Galen Erso (Mads Mikkelsen), lo scienziato che ha contribuito attivamente alla realizzazione della Morte Nera, la terribile arma che servirà al neonato Impero per sottomettere tutti i pianeti della galassia. Il percorso di Jyn si discosta in parte dal tradizionale archetipo narrativo femminile analizzato da saggi come quelli di Maureen Murdock, Il viaggio dell’eroina (Dino Audino 2010) e Kim Hudson, La promessa della vergine (Dino Audino 2016). La giovane non dovrà imparare a difendersi né a odiare l’Impero, colpevole di aver distrutto la sua famiglia: “non ho mai avuto il lusso di un’opinione politica”, afferma all’inizio, mostrando come sia individualistica la sua lotta contro il regime totalitario, ma finirà per comprendere che per sconfiggerlo sono necessarie l’unione e la speranza.

L’azione narrativa è dunque nelle mani delle donne (a presiedere il comitato che riunisce tutte le delegazioni dei pianeti nell’Alleanza Ribelle è l’ex senatrice Mon Mothma), dimostrando come nonostante la dura campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, la mainstreamizzazione del femminismo sia ancora attuale (da non dimenticare che a fronteggiarlo vi erano due candidate: la democratica Hillary Clinton e la verde Jill Stein). Ma la politicità del film non si limita a questo. Infatti un’ulteriore innovazione di Rogue One consiste nel raffigurare numerose etnie (umane e aliene) attribuendo loro non solo ruoli secondari (si pensi a Lando Carlissian, uno dei pochi personaggi non-bianchi della prima trilogia). Protagonista maschile è Cassian Andor, interpretato dall’attore messicano Diego Luna (Dirty Dancing 2: Havana Nights; Milk), un ufficiale ribelle che svolge compiti importanti per la causa.
L’Alleanza è colta nella sua fase di nascita; già in Star Wars Episodio III: La Vendetta dei Sith (George Lucas, 2005) alcuni esponenti del senato della Repubblica, comprendendo la deriva totalitaria del Cancelliere Palpatine, gettavano le basi fondative della Ribellione. Si perde l’aspetto romantico che aveva contraddistinto l’Alleanza nella prima saga, guadagnando però un maggiore legame con le esperienze resistenziali storiche: le decisioni vengono prese dal comitato da cui però la frangia più radicale, impersonata da Saw Gerrera (Forest Whitaker) maestro spirituale di Jyn, è stata allontanata.
A rendere ancora più cupa la narrazione è la totale assenza della Forza. Ormai gli jedi sono apparentemente estinti, restano solo un ricordo nella mente di alcuni personaggi; la loro memoria alimenta la speranza ispirando l’azione dei protagonisti, che così sono pronti anche a gesti di cui non vanno fieri, come ricorda Cassian.
Come già aveva mostrato Il risveglio della forza, anche Rogue One vuole stabilire una continuità narrativa e visiva con gli episodi storici ricreandone minuziosamente alcune sequenze. Infatti grazie alla computer graphic è stato possibile “riportare in vita” Peter Cushing, scomparso nel 1994, o ringiovanire la Principessa Leila (questa volta però il modello non è Carrie Fisher, ma l’emergente Ingvid Deila).
Con l’improvvisa e prematura scomparsa di Fisher, che però ha fatto in tempo a vestire di nuovo i panni del Generale Organa nel prossimo Star Wars: L’ultimo Jedi (Rian Jonshon, 2017), si apre alla possibilità dell’utilizzo della CG per mantenere vivo il suo personaggio, aprendo la discussione sull praticabilità etica di una simile scelta. Ma alla fine il cinema non è proprio questo?

Rogue One: A Star Wrs Story
regia di Gareth Edwards
USA, 2016, 133’

giovedì 13 aprile 2017

Monteverdelegge teatro: Vecchi per niente al Teatro Vascello

Maria Cristina Reggio
Il regista Nicola Russo racconta in Vecchi per niente al Teatro Vascello (in scena fino al 14 aprile) la vita di due uomini e due donne non più giovani, e lo fa  insieme con gli attori Benedetta Barzini, Sara Borsarelli, Teresa Piergentili  Marco Quaglia, Agostino Tazzini, Guido Tonetti: niente è più difficile che superare uno stereotipo così radicato nella società attuale come quello legato alla vita della maggior parte dei vecchi, esiliati dalla tecnologia e dunque da quella che oggi è la dimensione sociale più frequentata,  e le cui le cucine e soggiorni sono bombardate dagli spettri televisivi di malattie, dolori muscolari, artrosi e incontinenze che ottundono le giornate trascorse prevalentemente a casa, spesso  in compagnia delle badanti.

  Lo spettacolo, filtrato dalle teorie di Hilmann sul carattere, si vuole snodare con una prospettiva ribaltata, per cui i personaggi non vivono solo nel presente, ma  frequentano continuamente  il loro passato, alla ricerca ciascuno del proprio rapporto con i rispettivi genitori. Ma una domanda sorge spontanea: i vecchi veri non hanno sempre uno sguardo rivolto poco al loro presente, ma piuttosto  verso il proprio passato individuale più remoto?  E non è  anche questo un luogo comune? Quante nonne e nonni ripetono con estrema vividezza il racconto di quando erano bambini, senza riuscire e ricordarsi cosa hanno fatto il giorno prima. Ma l'assenza di una vera novità non cambia molto nella resa comunque interessante e problematica di questo breve spettacolo, in cui quattro attori-personaggi che indossano una maschera coincidente con il proprio corpo e il proprio nome, Teresa,  Benedetta, Agostino e Guido, si incontrano in scena per intrecciare i propri racconti.  Sul palco non ci sono elementi di arredo al di fuori di quattro sedie , mentre lo sfondo è un fondale verde cromakey, come quelli che si usano in televisione dietro ai giornalisti del tg per fare apparire, dietro di loro, le scene registrate in altri luoghi del mondo.

Quindi Teresa,  Benedetta, Agostino e Guido abitano in un luogo senza definizioni spaziali e temporali, catapultati in un limbo qualsiasi dove possono attraversare il tempo e lo spazio  e dove vengono a loro volta "interpretati", come in uno psicodramma di Moreno,  da due attori più giovani, Sara Borsarelli e Marco Quaglia, nel loro rivolgersi ai loro stessi genitori vecchi, dove l'influenza del setting e del linguaggio psicoterapeutico sembra alludere, a tratti, ad un In Treatment di matrice televisiva. In questo attraversamento dello spazio e del tempo trasuda l'intima umanità battagliera  di questi personaggi, così come l'ha disegnata il regista insieme agli attori, i cui toni sono volte un po' troppo da caratteristi, ma comunque  in bilico precario tra la realtà e la finzione e dunque al tempo stesso comica e sorprendente, ma anche quotidiana, ordinaria, per cui non ci si stupisce se, all'uscita da teatro alcuni attori sembra proprio che  indossino  gli stessi abiti che avevano in scena.  Senza tragedia, questi sei attori-personaggi non sono in cerca di autore, ma sembrano piuttosto alla ricerca di un luogo dove raccontare frammenti delle loro vite: che  sembri il set di uno studio terapeutico oppure un confessionale televisivo oppure, senza distinzione, un  palcoscenico teatrale, poco importa perché un  pubblico li ha ascoltati comunque e questo forse basta a dare voce alle storie di tante  persone vecchie che,  chiuse nelle loro reumatiche solitudini, si scolorano in un anonimato muto.